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    SICAV. SocietĂ  di investimento a capitale variabile

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    Verso un miglior rapporto fra maggioranza e minoranze

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    C’è una ratio per i limiti all’acquisto di proprie azioni?

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    La molteplicità - e la contraddittorietà - degli interventi del legislatore sulla disciplina delle società per azioni spesso rendono difficile l’opera dell’interprete che voglia identificarne la ratio. Di ciò la disciplina dei limiti all’acquisto di azioni proprie è un esempio evidente. Tradizionalmente l’ordinamento italiano non era contrario all’acquisto di azioni proprie. I limiti imposti dal legislatore erano volti solo ad evitare alcune conseguenze patologiche di tale acquisto: (i) l’eccesso di potere degli amministratori; (ii) l’annacquamento del capitale sociale. Il primo limite quantitativo, poi confermato dalla c.d. riforma organica del diritto societario del 2003, fu introdotto dal legislatore comunitario che impose agli Stati membri di non consentire alle società di acquistare proprie azioni per un valore eccedente la decima parte del capitale sociale. Gli interventi legislativi successivi del legislatore comunitario lasciano intravedere un cambio di rotta, ma denotano come ancora oggi il diritto dell’Unione europea conservi la propria avversione nei confronti del fenomeno. Nell’attuare l’ultima delle direttive rilevanti in materia, il legislatore italiano ha distinto tra società chiuse ed aperte prevedendo che solo per le società che fanno ricorso al mercato del capitale di rischio si applichi il limite del 10 per cento. Tuttavia, con un intervento del 2009 lo stesso legislatore ha nuovamente alzato il limite dal 10 al 20 per cento. Tale ultimo intervento è forse ispirato ad una ratio protezionista e, comunque, non in linea con la ratio tradizionale della disciplina dei limiti all’acquisto di azioni propri
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