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    A paso distinto. Arte y feminismo en Italia desde los años setenta

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    Este ensayo analiza la relación entre el feminismo y los mundos del arte en Italia partir de la década de los setenta. A través de este recorrido, se perciben las constantes divergencias que se produjeron entre la cultura política del movimiento, los mundos del arte y los ambientes académico-institucionales, lo que conllevó que los Women’s- Gender Studies no se incorporasen a la universidad sino tardíamente, en la segunda mitad de los noventa. Una vía italiana intermedia es la que representó la creación de una difusa red de estructuras/instituciones/asociaciones de feminismo cultural que funcionaron como ambientes de militancia, investigación y producción cultural. Las tres matrices teóricas del término “Cultura” (deconstructiva, esencialista e histórico-psiconanalítica) tuvieron también repercusiones significativas sobre las relaciones entre arte y feminismo. Las artistas participaron también de este contexto contradictorio de militancia e investigación, pero carecieron de una explícita elaboración teórica así como de una genealogía de género a la que remitirse. En lo que respecta a las investigaciones sobre arte y género, se publicaron escasos estudios en Italia en los años ochenta. Habrá que esperar al inicio del siglo XXI para que se consolide un interés histórico y cultural en torno a las relaciones entre arte y feminismo, con la aparición de numerosas publicaciones académicas, el surgimiento de una nueva generación de docentes e historiadoras del arte y, por último, el acceso de estudiosas y expertas a puestos de dirección en importantes museos y centros de arte nacionales

    Introduzione

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    Dopo i silenzi e le rimozioni della storia, le donne d’arte sono figure oggi visibili e legittime: artiste, critiche, curatrici, storiche dell’arte. I saggi di questo libro ne raccontano le presenze e i passaggi nell’arte italiana del Novecento e contemporanea: dalle futuriste alle molte attive durante il Ventennio, dalle designer e imprenditrici (da Rosetta Depero a Bice Lazzari) ad alcune “signore” del secolo scorso apparentemente solitarie (Regina, Edita Broglio, Paola Consolo); per arrivare, nei movimentati anni Sessanta e Settanta, a Carla Lonzi, e a quel suo “divagato” e profetico libro Autoritratto, in cui, facendo parlare gli artisti, tentava nuove forme di relazione fra critico/a e artista. Quella ricerca - allora in parte fallita - di “superare le partizioni rigide dei mestieri a favore della prossimità e dell’intromissione” ha successivamente aperto la strada a una nuova generazione di artiste e critiche. Nei gesti semplici di un’arte del quotidiano o negli interventi, a volte spiazzanti, realizzati in luoghi non tradizionali, molte artiste (Liliana Moro, Monica Bonvicini, Eva Marisaldi, solo per citarne alcune) pongono oggi al centro del loro lavoro proprio gli spazi della relazione, creando così inediti punti di vista e di esperienza. I saggi del libro - di studiose, critiche, artiste: G. Bertolino, A. Cattani, E. De Cecco, L. Giachero, L. Iamurri, A. Pansera, E. Pontiggia, S. Spinazzè, M. A. Trasforini - testimoniano la pluralità di sguardi sulla presenza delle donne nell’arte e tracciano un panorama teorico e narrativo in cui il genere è mescolato alle molte dimensioni della modernità liquida e alle molte differenze: ovvero alle storie, alle geografie e alle generazioni non solo di chi l’arte la fa, ma anche di chi la racconta, la cura, la comunica

    Le "Flâneuses". Corpi e spazi di genere fra modernità e post-modernità

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    L’articolo considera la donna artista flâneuse di fine ottocento e inizio novecento come figura ‘rin-tracciante’ del rapporto fra spazio e genere nella modernità. Nel fenomeno della flânerie si può infatti leggere l’azione di confini simbolici e spaziali che ha governato le costruzioni dei corpi di genere e dunque le leggi della visibilità/invisibilità sociale di uomini e donne, dichiarando visibile il flâneur, e invisibile la flâneuse. In realtà la flâneuse ha attraversato la città moderna lasciando le proprie tracce: dal cross-dressing allo shopping, dal cinema come ‘spazio di mezzo’ fino ai molti luoghi frequentati da sole donne. Come le loro recenti antenate, ancor oggi le artiste contemporanee, come post-moderne flâneuse, continuano a percorrere e a interrogare lo spazio urbano, con performance e opere che, in particolare a partire dagli anni ‘70 del ‘900, evocano le memorie culturali e comunitarie che esso contiene e che spesso sono state cancellate

    Away from the monumentalization of art. Women artists in Brazil and Italy

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    The paper focuses the work of three artists, Lygia Clark (1920-1988) from Brazil, Maria Lai (1919-2013) and Ketty La Rocca (1938-1976) from Italy, using the concept of “zeroing the artist” . They are women artists in very different time-space environments and contexts such as the Brazilian one of Neo-concretism for Clark (within a collective and collaborative environment) and the relatively 'solitary' Italian art environment for Lai and La Rocca. Nevertheless they developed artistic practices in which the artist's authorial role lost its centrality: the art work becomes an organic line and eye-body for Lygia Clark, an asemantic writing in the looms and woven books of Maria Lai, and finally the emptying of images for Ketty La Rocca. Away from the monumentalization of art as well as from abstraction and modernism, for Clark and Lai the works are 'living organisms', almost transitional objects to create / reiterate social bonds, in an era - from the 60s to the 80s both in Italy and in Brazil – of rapid and often culturally depleting processes of social modernization. In just a few years, Ketty La Rocca's brief and intense artistic life has gone from visual poetry and actions/performances in which the silent language of gestures denounces the inauthenticity of consumer society to a definite form of corrosion and crumbling of images, suggesting a radical rewriting of social life itself

    "Perchè non posso andare a studiare lì?.."Scuole e Accademie d'arte nell'Europa ottocentesca e questione di genere

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    Nella seconda metà dell’Ottocento un sempre maggior numero di donne in Europa cercano di entrare in percorsi scolastici artistici per imparare le tecniche e la teoria dell’arte, in drammatico contrasto con un’organizzazione sociale della produzione artistica che è invece fondata, in larga parte, sulla loro esclusione. La questione di genere nelle Scuole e nelle Accademie d’arte è un filo rosso che percorre in maniera conflittuale quel secolo, suscitando polemiche, dibattiti e scandali e mettendo in luce una delle numerose contraddizioni della modernità : da un lato l’emancipazione delle donne, dall’altro la costruzione per loro di ben codificati ruoli familiari. L’articolo analizza le fasi di questo fenomeno, i dibattiti interni ed esterni ai mondi dell’arte, i modi i cui le diverse istituzioni reagirono nei vari paesi (ad es. Francia, Inghilterra, Italia) sullo sfondo delle trasformazioni sociali, culturali, demografiche e professionali che la modernità stava tracciando in maniera irreversibile

    The Longue Durée. The Making of Biennale Donna in Italy

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    A detailed history and analysis of the foundation, growth and development of the Biennale Donna in Italy - one of the very few international biennales dedicated to women artists. The situation of the Biennale is explored in three phases of development 1984-1994, 1996-2006 and post-2008. The conditions and organisation politics of the running and curating an international biennale of contemporary art are explored in relation to the rediscovery of women artists; the expansion of an international programme; and the engagement with globalisation in the art market. The unique development of this Biennale is considered in relation to the involvement and activities of the women in the organising committee

    Genre, modèles,peintres et entrepreneuriat d'art . Le cas de l'Académie Vitti a Paris (1889-1914)

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    l’Académie Vitti, 49 Boulevard Montparnasse, en activité pour 25 ans de 1889 à 1914, represente un cas singulier d’une école d’art parisienne. Fondée par l’Italien Cesare Vitti avec son épouse Maria Caira et les soeurs de Maria, Anna et Giacinta, l’Académie se caractérise pour son ouverture par rapport au genre avec la possibilité - rare pour les femmes étudiantes d’art de cette époque - de travailler dans des classes mixtes et de représenter le modèle vivant nu. Son histoire indique des processus complexes: une certaine fluidité des environnements sociaux dans les mondes de l’art de cette époque, un entrelacement inattendu entre genre, parcours professionnels, carrières de modèles et de peintres et une forme d'entrepreneuriat culturel, telle que l'organisation d'une école d'art, comme celle qui a concerné les trois sœurs Caira et Cesare Vitti même, tou(te)s les quatre ex modèles, originaires d’une région italienne près de Rome, la Ciociaria, à l’époque terre d’émigration «spécialisée» à ‘fournir’ des modèles masculins et féminins aux nouveaux marchés professionnel de l’art (peinture, sculpture, photographie) soit à Paris, soit à Londres que à Rome même

    R.M. Arbour, Le champ de l'art moderne et les femmes artistes au Québec dans les années 1960 (Titolo italiano del saggio : Per un attimo nel mainstream. Artiste in Québec negli anni Sessanta)

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    L'articolo di Rose Marie Arbour(inedito) analizza il ruolo svolto dalla critica d'arte maschile nel creare la fortuna temporanea di un gruppo di artiste pos-automatiste del Québec negli anni '60. Tale 'fortuna' critica era in realtà una forma di sessisemo rovesciato, che usava gli stereotipi di genere legati alla 'donna artista' ed al suo essere 'naturalmente' puro istinto,vita ed emozione. Fin quando questi valori concisero con quelli che ispiravano il progetto politico di autonomia del Québec, le artiste fecero parte del mainstream. Qando invece questa coincidenza terminò, essere vennero rapidamente dimenticate

    Archivi e arte contemporanea. Fra repertorio, performance e produzione di nuovi archivi

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    Sempre più frequenti nel panorama internazionale dell’arte contemporanea sono le opere di artisti e artiste che usano materiali d’archivio, sia come ‘canovaccio’ da reinterpretare, sia come una nuova azione da mettere in scena. Variamente e criticamente collocabile all’interno dell’Archival Impulse (Foster 2004) o dell’Archive fever (Derrida 1995; Enwezor 2008) , l’arte archiviale non usa documenti come supporto estetico ma come strumento per ripensare il significato di identità, storia, memoria e perdita, cercando di rendere fisicamente presente un’informazione storica spesso perduta o dislocata, attraverso una rielaborazione di immagini, oggetti o testi ritrovati. Spesso intercettando il campo degli studi post-coloniali, gli/le artisti/e in questione usano archivi fisici ricatalogati, biografie immaginarie di persone fittizie, collezioni di fotografie anonime, versioni filmiche di album fotografici, o fotomontaggi di fotografie storiche (Foster 2004). I documenti – è in particolare il caso delle foto di archivio – vengono usati sia come ‘canovaccio’ da reinterpretare, sia come nuove azioni da mettere in scena, dando luogo a ciò che può essere definita una performance culturale, nella accezione antropologica di Turner (1986): ovvero una azione critica e riflessiva rispetto a quello che già esiste, aprendo nuovi sguardi su quelli consolidati, insieme a nuovi interrogativi e nuovi punti di vista
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