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    Innocenzo III, Dig. 2.2 e un aspetto del principio di equità

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    In due costituzioni, la prima del 1198 inserita nel titolo De Constitutionibus (X. 1,2,6 Omnes) e l’altra del 1204 compresa nel titolo De iudiciis (X. 2,1,13 Novit ille), Innocenzo III riprende – senza però fare alcun richiamo alla fonte da cui trae evidentemente ispirazione –, il principio di equità contenuto nel titolo 2.2 dei Digesta di Giustiniano, secondo il quale deve farsi valere contro di sé quello stesso diritto, novum ius, che è stato stabilito ed applicato ad altri. Mi sembra quindi di grande interesse analizzare queste decretali, molto studiate in storiografia ma per altri aspetti, al fine di dimostrare come la monarchia pontificia tra il XII e il XIII secolo abbia preso in prestito dal diritto romano, nel nostro caso dai Digesta, espressioni per definirsi. Il Papa, infatti, usa proprio le parole della rubrica del titolo 2.2 dei Digesta (quod quisque iuris in alterum statuerit, ut ipse eodem iure utatur) per sancire quel principio in base al quale ‘a ciascuno deve applicarsi lo stesso diritto che vale contro di lui’(X. 1,2,6 Omnes: Quum igitur quod quisque iuris in alterum statuit ipsi debeat uti eo; X. 2,1,13 Novit ille: … quod quisque iuris in alterum statuit alius eo uti valeat contra illum). Inoltre richiama la regola Catonis, ‘patere legem, quam ipse tuleris’, già ripresa da Accursio nella glossa Summam ad Dig. 2.2.1 per stabilire che la legge divina dà precetti positivi obbliganti e condanna coloro che non osservano quanto impongono agli altri (X. 1,2,6 Omnes: … et sapientis dicat auctoritas ‘patere legem, quam ipse tuleris’; X. 2,1,13 Novit ille: … et sapiens protestetur: ‘patere legem, quam ipse tuleris’)

    Su alcuni modi di estinzione delle servitù: del non usus e dell’usucapio libertatis

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    Tra i modi di estinzione dei diritti reali parziari è prevista la inattività del titolare che non eserciti il suo diritto per un anno (nell’usufrutto di cose mobili) o per due anni (in tutti gli altri casi). I Romani conoscevano due diversi modi in cui si attuava tale estinzione: il non usus che si applicava alle servitù rustiche e all’usufrutto e l’usucapio libertatis propria delle servitù urbane. La lezione ha avuto ad oggetto il rapporto tra non usus e usucapio libertatis, rapporto che ha costituito oggetto di ampia discussione nella romanistica contemporanea, ed ha coinvolto, in Italia, personalità di primo piano della ricerca storico-giuridica (bastino i nomi di Grosso, Branca e Biondi, da ultima Moeller), generando approfondimenti particolarmente significativi sul problema della genesi, del fondamento e del campo di applicazione dei modi di estinzione delle servitù

    Riflessioni sulla dote: a proposito di D. 23.3.75

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    L’incertezza interpretativa del noto passo di Trifonino (D. 23.3.75), «esempio di incontestabile illogicismo» (P. Bonfante), sembra ripercuotersi sugli orientamenti storiografici e giurisprudenziali che, con una varietà di ipotesi, spesso addirittura opposte, rendono ancora oggi attuale la questione «quis ergo dominus dotis etiam constante matrimonio»
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