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    Overnight surgery in proctologia e tipo di anestesia: nostra esperienza su 320 pazienti

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    Nell’ambito della chirurgia proctologica, numerose evidenze dimostrano che l’ anestesia generale associata a quella loco-regionale presenta maggiori vantaggi rispetto all’anestesia spinale. Scopo del nostro studio è stato quello di verificare l’efficacia dell’ anestesia generale associata alla loco-regionale in una serie di pazienti affetti da malattia emorroidaria e ragade anale. Pazienti e metodi. Sono stati selezionati pazienti con emorroidi sintomatiche di III e IV grado e ragade anale senza storia di reazioni allergiche o suscettibilità farmacologica naropina, propofol e simili. Tutti i pazienti (gruppo A) sono stati sottoposti ad anestesia generale e loco-regionale. Nei pazienti di controllo (gruppo B) è stata praticata anestesia spinale. Alla fine di ogni intervento chirurgico sono state valutate le complicanze precoci e tardive mediante la classificazione da noi recentemente proposta. Risultati. Sono stati inclusi nello studio 320 pazienti, 240 operati per prolasso emorroidario e 80 per ragade anale. L’anestesia ottenuta è stata sempre soddisfacente e non sono state osservate complicanze post-operatorie permanenti. Fra quelle precoci si è osservata ritenzione urinaria nel 9% dei casi e dolore nel 30%. Fra le complicanze tardive sono state osservate dolore nel 8% e ritenzione urinaria nel 1% dei pazienti. In due casi si è formato un ascesso in corrispondenza del punto d’infiltrazione dell’anestetico locale. L’effetto dell’anestetico locale è durato in media circa 4-8 ore. Conclusioni. La tecnica anestesiologica locale con blocco posteriore, associata ad anestesia generale, si è dimostrata efficace per il trattamento delle più frequenti patologie proctologiche. Tale metodo ha comportato una bassa incidenza di complicanze precoci e tardive e una più rapida risoluzione dei postumi clinici legati all’intervento

    Riflessioni sulla malattia emorroidaria in gravidanza e nel puerperio

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    a malattia emorroidaria (ME) in gravidanza e nel puerperio costituisce un problema di rilevante interesse ^non solo dal punto di vista teorico, ma anche e soprattutto clinico-terapeutico'. Durante la gravidanza le emorroidi vengono trattate in presenza di sintomi e in genere con terapia medica che prevede la correzione della stipsi associata. La chirurgia viene riservata solo alle fasi più avanzate della gravidanza nelle quali il feto è già vitale 0 limitata a casi selezionati^ La necessità quindi di una conoscenza dettagliata delle basi fisiopatologiche della malattia e di un approccio terapeutico il più possibile conservativo da parte di tutto il personale medico e infiemeristico, ha indotto gli Autori a condurre un'inchiesta rivolta a 165 ostetriche della regione Lazio proprio per valutare non solo i dati epidemiologici relativi alla ME in gravidanza ma anche le principali modalità di gestione della malattia da parte di questa categoria professionale. Il campione intervistato ha potuto monitorare quindi un totale di circa 20 000 parti espletati nella nostra regione. I dati principali hanno evidenziato come il 95% delle ostetriche riferisce di aver osservato sintomi riferibili alla ME soprattutto nel terzo trimestre di gravidanza nel 57% delle pazienti che espletano il parto naturalmente e nel 41% di quelle che lo eseguono per via vaginale. La crisi emorroidaria e il prolasso anale insorto durante il parto viene gestito nel 57% dei casi personalmente dall'ostetrica 0 dal ginecologo, mentre soltanto nel 42% dei casi le gestanti con complicanze legate alla ME vengono indirizzate al personale specializzato. 11 dato più importante riguarda sicuramente il fatto che solo il 42% delle ostetriche si rivolge allo specialista in caso di ME e che circa la metà delle intervistate non conosce il ruolo del perineologo o la possibilità di utilizzare metodiche riabilitative pelviche. La vastità del campione esaminato, per quanto riferibile solo alla regione Lazio, sembra evidenziare come la gestione della ME da parte delle ostetriche risulti limitata a un approccio empirico forse a causa di una mancata collaborazione con i ginecologi e i procto-perineologi che invece potrebbe rappresentare la base operativa per una migliore conoscenza del problema e per l'utilizzo di più efficaci misure terapeutiche

    Nuovo dilatatore anale graduato per la terapia della ragade anale: studio clinico

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    La dilatazione dello sfintere anale mediante dilatatori rappresenta una tecnica efficace, economica e di solito ben tollerata dal paziente per il trattamento dell’ipertono sfinteriale idiopatico o secondario a ragade anale, ma non sempre eseguita correttamente con ripercussioni negative sui risultati della tecnica. Scopo del nostro studio è stato quello di confrontare l’efficacia di un nuovo dilatatore con diametro graduato usato con schema terapeutico predefinito, oppure secondo uno schema terapeutico libero rispetto all’utilizzo della classica combinazione di dilatatori anali a calibro variabile attualmente in commercio, nella terapia conservativa della ragade anale. Un gruppo di 60 pazienti, 35 femmine e 25 maschi, affetti da ragade anale acuta con anamnesi negativa per ipotonia sfinteriale, ascesso o fistola perianale, trombosi emorroidaria, malattie infiammatorie croniche intestinali o neoplasia del grosso intestino è stato valutato preliminarmente con test della sfera solida. Successivamente, i pazienti sono stati randomizzati in tre gruppi: il primo trattato con il nuovo dilatatore a diametro graduato con schema predefinito (20 pazienti), il secondo trattato con dilatatori multipli a calibro variabile (20, 23, 27 mm; 20 pazienti) seguendo uno schema terapeutico predefinito e il terzo (20 pazienti) trattato con un nuovo dilatatore graduato con schema terapeutico libero. Dopo 4 settimane di trattamento, nel 91% dei pazienti trattati si è avuta una risoluzione della ragade anale. I pazienti trattati sia con dilatatore graduato sia sottoposti a terapia con dilatatori tradizionali secondo schema hanno avuto una risoluzione della ragade nel 90% dei casi rispetto al 92% dei pazienti trattati con dilatatore graduato a schema terapeutico libero. La tollerabilità e la maneggevolezza del dilatatore graduato è stata giudicata buona da tutti i pazienti dei gruppi trattati. L’uso del nuovo dilatatore anale graduato a schema libero sembra indurre una risoluzione duratura nel trattamento della ragade anale simile a quella ottenuta con dilatatori tradizionali risultando però più facilmente tollerato con un minore discomfort per il paziente

    Osteoporosis in celiac disease and in endocrine and reproductive disorders

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    As the increase in lifespan brings to light diseases that were previously not clinically detectable, osteoporosis has become an issue of worldwide significance. The disease is marked by a loss of bone mass; the bones become less dense, fragile and more prone to fracturing. Because it is regulated by endocrine and environmental factors, osteoporosis presents a multifactorial etiopathogenesis, with the genetic component accounting for 70% of an individual variation in bone mass density (BMD), the principal determinant, with age, of fracture risk. Pathological conditions such as celiac disease (CD) exacerbate the process of bone loss, so that the occurrence of osteoporosis in celiac subjects is of particular note: indeed, the screening of osteoporosis patients for this disease is advisable, since it may be the only sign of undiagnosed CD. An increase in interleukin IL-1β, of the IL-1 system, in the relatives of celiac patients confirms the genetic predisposition to osteoporosis and its presence is evidence of an association between the two conditions. The direct effect on the bones of CD is secondary to poor absorption of calcium and vitamin D. In women osteoporosis is indirectly associated with early menopause and amenorrhea, and it may follow prolonged breast-feeding and frequent pregnancies, while in men it is associated with hypogonadism and GH deficit. These endocrine and non-endocrine factors exert their effects on bones by modulating the RANK/RANK-L/OPG system. An appropriate lifestyle from adolescence onwards, together with early diagnosis of and treatment for CD and primary and secondary endocrine pathologies are important for the prevention of damage to the bones

    Efficacy of two different surgical techniques combined in the treatment of rectocele

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    Rectocele is defined as the herniation of rectal wall due to a rectovaginal septum defect in direction of the vagina. In most of cases it is a result of vaginal delivery or repeated increases of intra-abdominal pressure due to chronic constipation. Some patients can develop rectocele as a consequence of congenital or inherited weakness of the pelvic support system. The rectopexy procedure by a single mechanical stapler allows to ablate the exceeding tissue. This surgery is performed through transanal access without laparotomy, by means of a circular stapler which simultaneously resects portion of the rectal wall and re-anastomizes it. Also the technique of sequential transfixed stitches (TSTS) represents a minimally invasive procedure for the rectocele treatment, allowing the performance of a complete plasty of rectal wall through transanal access. Hence, starting from a more effective stadiation of rectocele, the authors of this study will show the advantages of an endorectal approac

    Robotic colonoscopy: efficacy, tolerability and safety. Preliminary clinical results from a pilot study

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    BACKGROUND: Robotic colonoscopy (RC) is a pneumatically-driven self-propelling platform (Endotics System®) able to investigate the colon, in order to reduce pain and discomfort. AIMS: (1) to describe the progress in gaining experience and skills of a trainee in RC; (2) to show the clinical outcomes of RC. METHODS: Pilot study. An experienced endoscopist started a training on RC whose progress was assessed comparing the results of 2 consecutive blocks of 27 (Group A) and 28 (Group B) procedures. CIR (Cecal Intubation Rate), CIT (Cecal Intubation Time) and Withdrawal Time (WT) were measured. Polyp Detection Rate (PDR), Adenoma Detection Rate (ADR) and Advanced Neoplasia Detection Rate (ANDR) were calculated. Possible adverse events were recorded. At the end of the procedure all patients completed a visual analog scale (VAS) to measure their perceived pain during RC and reported their willingness to repeat RC. RESULTS: General CIR was 92.7%, reaching 100% in Group B. Comparing the two groups, CIT significantly decreased from 55 to 22 min (p value 0.0007), whereas procedures with CIT ≤ 20 min increased (p value 0.037). WT significatively reduced from 21 to 16 min (p value 0.0186). PDR was 40% (males 62.5%, females 14.3%). ADR was 26.7% (males 27.5%, females 14.3%). Most of patients judged the procedure as mild or no distress, with high willingness-to-repeat the RC (92.7%). CONCLUSIONS: Our results about RC are encouraging as preliminary experience, with clear individual learning progress, accurate diagnosis in a painless or comfortable procedure and with possibility to remove polypoid lesions. Studies with larger populations are needed to confirm obtained results
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