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    I rischi della competizione regolativa e valoriale fra i diversi poteri dello Stato (riflessioni a margine del «caso Englaro»)

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    Il «caso Englaro» è stato caratterizzato da un’innaturale concorrenza fra i diversi poteri chiamati a vario titolo a colmare la (apparente) lacuna normativa riguardante il caso di specie; ciò ha provocato una sorta d’inedita competizione regolativa sui valori, sulla loro giuridicizzazione e sulla sintesi tra i principi in cui essi assumono rilievo nell’ordinamento, a discapito del tradizionale assetto della divisione dei poteri e dello Stato di diritto. Quest’ultimo continua a essere declinato in termini di competenze distinte, ciascuna delle quali connotata da una titolarità, da un procedimento e da atti tipici, tali da escludere che funzioni diverse siano cumulate dallo stesso soggetto nel medesimo ciclo funzionale. Tuttavia, divenuti assai più fluidi e mobili i confini fra l’attività dei diversi poteri, è emersa la sostanziale impraticabilità del tradizionale strumentario giuridico a fronteggiare le nuove dinamiche istituzionali e sociali. Di qui, le difficoltà a riconoscere i conflitti in corso e a ricomporli in sistema, specialmente nel caso di eventuali degenerazioni normative per via giudiziaria, come pure, di rimando, il conseguente squilibrio fra i diversi poteri, tale da far lucrare alla regola giurisdizionale un’ingiustificata preminenza materiale su quella parlamentare. A caratterizzare la straordinarietà del caso Englaro, ha certamente contribuito l’inedita combinazione fra l’invincibilità materiale lucrata della regola giurisdizionale e la lettura «globalizzata» dei diritti coinvolti, dimostrata dalla decisione finale della Suprema Corte (I Sez. Civ., n. 21748 del 2007), recettizia di opzioni interpretative extra-stastali, formulate da Corti straniere sulla scorta di differenti sistemi valoriali e veicolate dalla rete della «globalizzazione giudiziaria». Ciò ha consentito la formulazione di una regola perfetta da immettere nel circuito precettivo dello Stato di diritto; una regola finalmente conforme alle opzioni culturali e giuridiche oramai maturate nella giurisprudenza transnazionale e respinte fino a quel momento in sede tanto legislativa quanto giurisprudenziale. Di talché, in definitiva, il metodo dell’integrazione «globalizzata» delle lacune fittizie pone lo strumento ermeneutico approntato dall’art. 12 disp. prel. cod. civ. non più a «chiusura» bensì ad «apertura» dell’ordinamento, rendendo lo stesso il grimaldello attraverso cui disapplicare la legge vigente ed immettere nel circuito precettivo dello Stato di diritto un diverso ed alternativo materiale normativo

    La dimensione istituzionale dei diritti dei coniugi e la pretesa dei diritti individuali dei conviventi

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    La questione del riconoscimento dei diritti individuali dei conviventi non può essere considerata solo in sé, ma anche alla luce della complessiva prospettiva coinvolta, che attiene a una relazionalità non già meramente affettiva, solidaristica e assistenziale, bensì più propriamente istituzionale e, segnatamente, familiare. Non potendo esprimersi se non in una forma (comprensiva anche della dimensione) istituzionale, solo formalmente i diritti possono essere riconosciuti e considerati in senso meramente individuale e con una destinazione rivolta solamente al singolo titolare. In realtà, la capacità e la forza d’afferenza all’organizzazione di riferimento sono tali da manifestarsi per proprio conto, anche nel caso in cui detta organizzazione sia solo presupposta e non ancora giuridicamente tipizzata. Sicché, in definitiva, non potendo esprimersi se non in una forma (comprensiva anche della dimensione) istituzionale, i diritti rinviano comunque a un modello di riferimento speculare alle necessità coinvolte; modello che, ove non appositamente formalizzato ed anche nel caso di una difforme volontà legislativa, è destinato in ogni caso ad assumere una consistenza di risulta, derivante dalle potenzialità e dall’esercizio del (profilo istituzionale del) diritto implicato. L’istanza di garanzia sociale dei diritti dei conviventi, per tale via, introduce nel fenomeno delle unioni di fatto una dimensione sinora estranea, se non proprio antitetica, qual è quella istituzionale. Essa si traduce nel riconoscimento di un nuovo modello di famiglia, alternativo e concorrente a quello costituzionale; un modello tale da vanificare le ragioni poste dal Costituente a fondamento del regime premiale adottato per la famiglia legittima, per via dell’introduzione di condizioni – per così dire - più vantaggiose dal punto di vista dei diritti e meno gravose da quello dei doveri, rispetto a quelle statuite per l’istituto matrimoniale. Di conseguenza, divenendo irragionevole l’alternativa fra i due differenti “modelli di famiglia”, il riconoscimento dei diritti dei conviventi tende a risolversi nell’effettiva sostituzione di quello legittimo con quello di fatto. Il tutto, a “Costituzione invariata”
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