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IL BIOMONITORAGGIO AMBIENTALE TRAMITE LICHENI COME BIOINDICATORI: STUDIO METODOLOGICO ED APPLICATIVO DEL NUOVO PROTOCOLLO ANPA
2001/2002La presente tesi di ricerca si basa sull'utilizzo applicativo e sull'analisi critica di una nuova metodologia per l 'uso di licheni come bioindicatori di gas fitotossici. La metodica si basa essenzialmente sul rilevamento della biodiversità di licheni epifiti e sulla sua interpretazione in termini di alterazione dello stato dell'aria. Nell'anno 2000, durante un workshop internazionale tra ricercatori ed operatori del settore, è stato promosso un nuovo protocollo di rilevamento il cui scopo è superare gli elementi di soggettività insiti in quelli precedentemente adottati. Il protocollo è stato recentemente recepito dal' ANP A (Agenzia Nazionale per la Protezione dell'Ambiente) ed è stato saggiato nel presente studio. Esso si divide in una parte metodologica ed una applicativa.Si riportano i risultati del lavoro di ricerca inteso a verificare l'applicabilità del nuovo protocollo di rilevamento della biodiversità lichenica per scopi di biomonitoraggio ambientale. Il protocollo, sviluppato da operatori e ricercatori del settore nel corso di un workshop internazionale n eli' estate 2000, è stato adottato recentemente dali' ANP A (Agenzia Nazionale per la Protezione dell'Ambiente). La metodica di rilevamento riportata nel protocollo è stata confrontata con quella precedentemente adottata in Italia. Le due metodiche (di seguito citate come metodica "Nuova" per la più recente, metodica "Vecchia" per la precedente) differiscono profondamente per le caratteristiche del reticolo di rilevamento della diversità lichenica e per il suo posizionamento sul tronco d'albero. Il reticolo "Nuovo" è costituito da quattro subunità , ognuna delle quali costituita da 5 celle di dimensioni l Ox l O cm, da posizionare in corrispondenza dei punti cardinali dell'albero. Questo permetterebbe di superare la soggettività insita nella metodica "Vecchia" dal momento che il reticolo di rilevamento, costituito da l O celle di l Ox 15 cm, veniva posizionato arbitrariamente dali' operatore nel punto di massima densità lichenica. Le due metodiche sono state testate in 61 stazioni di campionamento in due diverse aree del Friuli - Venezia Giulia e della Slovenia, caratterizzate da condizioni climatiche simili ed ampio range di pressione antropica. I due set di dati sono stati sottoposti a test di regresswne lineare. Essi sono significativamente correlati, tuttavia i dati ottenuti dalle due metodiche non sono direttamente comparabili (e quindi convertibili) dal momento che esse analizzano aspetti diversi delle comunità licheniche presenti nei reticoli di rilevamento. I rilievi fioristi ci eseguiti in aree ritenute "naturali" (ovvero pnve di evidenti fenomeni di inquinamento), ottenuti con entrambe le metodiche in 11 stazioni, sono stati sottoposti ad analisi multivariata al fine di individuare eventuali gradienti florisitici, nonché per verificare la dispersione dei valori di diversità lichenica in aree ritenute naturali. I risultati indicano una buona coerenza interpretativa dei dati fitosociologici ottenuti dalle due metodiche. I risultati indicano anche che le situazioni ritenute altamente naturali non sono necessariamente correlate ai massimi valori di diversità lichenica. Dall'analisi è emersa una certa variabilità dei valori dovuta principalmente ai tipi vegetazionali. Le comunità di Parmelion presentano valori di diversità inferiori rispetto a quelle di Xanthorion, se calcolati con la metodica "Nuova". La metodica "Vecchia" non rivela particolari differenze tra i due tipi vegetazionali, seppur si noti maggiori valori di diversità lichenica per comunità di transizione. Tale variabilità , distinta tra le due metodiche, può essere imputabile anche alle diverse caratteristiche dei reticoli di rilevamento. I dati ottenuti sono stati utilizzati per costruire una nuova scala di interpretazione della biodiversità lichenica, in termini di alterazione dello stato dell'aria, per la regione bioclimatica submediterranea nord-adriatica. La scala si basa essenzialmente sull'interpretazione dei valori di diversità licheni ca in condizioni naturali ed in condizioni di "alterazione" (deviazione dalla naturalità ). La scala, come quella precedentemente utilizzata in Italia, è divisa in sette classi delimitate da specifici valori di biodiversità lichenica, che esprimono il grado di deviazione da condizioni naturali identificando eventuali stati di alterazione ambientale. Durante la fase di campionamento e nelle successive elaborazioni dei dati, sono state individuate le seguente differenze tra le due metodiche. l) Il tempo richiesto da due operatori per rilevare una stazione di campionamento con la metodica "Nuova" sino a due volte superiore rispetto alla metodica "Vecchia". Questo è dovuta a due principali fattori: • la nuova metodica di rilevamento è basata su quattro rilievi floristici per albero invece di uno solo, pari ad un incremento di superficie di rilevamento del 35 % • il posizionamento del reticolo "Vecchio" nel punto di masstma copertura riduceva la possibilità di trovare talli lichenici poco sviluppati o deteriorati, la cui determinazione è difficile e richiede molto più tempo. La metodica "Nuova" costringe più spesso a rilevare zone del tronco con una flora deteriorata e talli poco sviluppati. 2) La metodica "Nuova" richiede maggiori conoscenze floristiche delle specie. Come già accennato, essa costringe più frequentemente a rilevare talli malamente o poco sviluppati, di difficile riconoscimento tassonomico. La metodica "Vecchia" invece consentiva di rilevare nei punti di massima copertura, che spesso coincidono con un migliore sviluppo dei talli licheni ci. 3) Le due metodiche forniscono informazioni floristiche comparabili. Tuttavia l'elevato numero di dati prodotti dalla metodica "Nuova", quattro volte superiori a quella "Vecchia", rende le elaborazioni statistiche e multivariate eccessivamente laboriosi per scopi di biomonitoraggio ambientale. Concludendo, il nuovo protocollo di campionamento si dimostra un valido metodo per valutare la diversità lichenica. Il suo maggior punto di forza è indubbiamente la oggettività di esecuzione. Il margine d'errore dell'operatore viene ridimensionato e "ridotto" esclusivamente alla capacità di riconoscimento delle specie licheniche. Il metodo è quindi appropriato per studi routinari di biomonitoraggio ambientale.Si presentano i risultati dello studio di biomonitoraggio ambientale tramite licheni come bioindicatori di inquinamento da gas fitotossici, commissionato nell'agosto del 2001 dalla Provincia di Gorizia al Dipartimento di Biologia dell'Università degli Studi di Trieste. La ricerca è stata eseguita nel comprensorio transfrontaliero costituito dai comuni di Gorizia (I), Nova Gorica (Slo) e Sempeter-Vrtojba (Slo ), per un totale di 31 stazioni di campionamento. Il presente lavoro è uno dei primi in Italia in cui si adotta il nuovo protocollo promosso dali' ANP A per studi di biomonitoraggio tramite licheni. Esso rappresenta inoltre un primo esempio italiano di collaborazione transfrontaliera nell'ambito di studi di biomonitoraggio ambientale. I risultati sono riassunti come segue: • La flora dell'area di studio, moderatamente ricca, e la presenza di specie sensibili all'inquinamento indicano uno stato di buona naturalità , dovuta ad una moderata pressione antropica che si identifica con attività agricole non intensive, attività industriali non consistenti e un tessuto urbano lasso, escludendo l'agglomerato urbano di Gorizia-Nova Gorica. • La bassa frequenza di specie comuni nella fascia fitoclimatica considerata, indica la presenza di fattori di disturbo di probabile origine antropica. • I valori di Biodiversità Lichenica sono medio alti in tutta l'area di studio, con un progressivo deterioramento avvicinandosi alla sua porzione centrale dove si fondono i tre maggiori centri urbani: Gorizia, Nova Gorica e Sempeter. Come da risultati del presente studio, si suggerisce di non sottovalutare nell'interpretazione della diversità lichenica in termini di alterazione ambientale, il fattore di disturbo rappresentato dallo stress igrico cui le specie possono essere sottoposte in ambiente urbano. • Le fasce di maggiore alterazione dello stato dell'aria seguono i regimi prevalenti dei venti e la morfologia del territorio, suggerendo fenomeni di deriva di gas fitotossici da fonti esterne al territorio considerato. Le ristrette dimensioni dell'area indagata non consentono di fornire informazioni più dettagliate su natura ed ubicazione di queste fonti inquinanti.XV Ciclo1972Versione digitalizzata della tesi di dottorato cartacea
Sequential monitoring of lymphocyte subsets and of T-and-B cell neogenesis indexes to identify time-varying immunologic profiles in relation to graft-versus-host disease and relapse after allogeneic stem cell transplantation
T and B lymphocyte subsets have been not univocally associated to Graft-versus-host disease (GVHD) and relapse of hematological alignancies after stem cell transplantation (SCT). Their sequential assessment together with B and T cell neogenesis indexes has been not thoroughly analysed in relation to these changing and interrelated immunologic/clinic events yet.
Lymphocyte subsets in peripheral blood (PB) and B and T cell neogenesis indexes were analysed together at different time points in a prospective study of 50 patients. Principal component analysis (PCA) was used as first step of multivariate analysis to address issues related to a high number of variables versus a relatively low number of patients. Multivariate analysis was completed by Fine-Gray proportional hazard regression model. PCA identified 3 clusters of variables (PC1-3), which correlated with acute GVHD: PC1 (pre-SCT: KRECs 656608/ml, unswitched memory B 44%, CD8+TCM cells>4%; HR 1.9, p = 0.01), and PC3 (at aGVHD onset: CD4+TEMRA69%, switched memory CD19+ = 0 cells and KRECs<6614/ml at +90; HR 0.1, p = 0.008). All these immunologic parameters were independent indicators of chronic GVHD and relapse, also considering the possible effect of previous steroid-therapy for acute GVHD. Specific time-varying immunologic profiles were associated to GVHD and relapse. Pre-SCT host immune-microenvironment and changes of B cell homeostasis could influence GVH- and Graft-versus-Tumor reactions. The paradoxical increase of EM Treg in PB of patients with GVHD could be explained by their compartmentalization outside lymphoid tissues, which are of critical relevance for regulation of GVH reactions
Postremission sequential monitoring of minimal residual disease by WT1 Q-PCR and multiparametric flow cytometry assessment predicts relapse and may help to address risk-adapted therapy in acute myeloid leukemia patients
Risk stratification in acute myeloid leukemia (AML) patients using prognostic parameters at diagnosis is effective, but may be significantly improved by the use of on treatment parameters which better define the actual sensitivity to therapy in the single patient. Minimal residual disease (MRD) monitoring has been demonstrated crucial for the identification of AML patients at high risk of relapse, but the best method and timing of MRD detection are still discussed. Thus, we retrospectively analyzed 104 newly diagnosed AML patients, consecutively treated and monitored by quantitative polymerase chain reactions (Q-PCR) on WT1 and by multiparametric flow cytometry (MFC) on leukemia-associated immunophenotypes (LAIPs) at baseline, after induction, after 1st consolidation and after 1st intensification. By multivariate analysis, the factors independently associated with adverse relapse-free survival (RFS) were: bone marrow (BM)-WT1 ≥ 121/10(4) ABL copies (P = 0.02) and LAIP ≥ 0.2% (P = 0.0001) (after 1st consolidation) (RFS at the median follow up of 12.5 months: 51% vs. 82% [P < 0.0001] and 57% vs. 81%, respectively [P = 0.0003]) and PB-WT1 ≥ 16/10(4) ABL copies (P = 0.0001) (after 1st intensification) (RFS 43% vs. 95% [P < 0.0001]) Our data confirm the benefits of sequential MRD monitoring with both Q-PCR and MFC. If confirmed by further prospective trials, they may significantly improve the possibility of a risk-adapted, postinduction therapy of AML
Effects and outcome of a policy of intermittent imatinib treatment in elderly patients with chronic myeloid leukemia.
none25We report a study of an alternative treatment schedule of imatinib (IM) in chronic myeloid leukemia (CML). Seventy-six Philadelphia-positive (Ph+), BCR-ABL-positive patients aged 65 years or older who had been treated with IM for more than 2 years and who were in stable complete cytogenetic response (CCgR) and major molecular response (MMR) were enrolled in a single-arm study to test the effects of a policy of intermittent IM (INTERIM) therapy for 1 month on and 1 month off. With a minimum follow-up of 4 years, 13 patients (17%) lost CCgR and MMR and 14 (18%) lost MMR only. All these patients resumed continuous IM and all but one (lost to follow-up) regained CCgR and MMR. No patients progressed to accelerated or blastic phase or developed clonal chromosomal abnormalities in Ph+ cells or BCR-ABL mutations. In elderly Ph+ CML patients carefully selected for a stable CCgR (lasting >2 years), the policy of INTERIM treatment affected the markers of residual disease, but not the clinical outcomes (overall and progression-free survival). This trial was registered at www.clinicaltrials.gov as NCT 00858806.noneRusso D; Martinelli G; Malagola M; Skert C; Soverini S; Iacobucci I; De Vivo A; Testoni N; Castagnetti F; Gugliotta G; Turri D; Bergamaschi M; Pregno P; Pungolino E; Stagno F; Breccia M; Martino B; Intermesoli T; Fava C; Abruzzese E; Tiribelli M; Bigazzi C; Cesana BM; Rosti G; Baccarani M.Russo D; Martinelli G; Malagola M; Skert C; Soverini S; Iacobucci I; De Vivo A; Testoni N; Castagnetti F; Gugliotta G; Turri D; Bergamaschi M; Pregno P; Pungolino E; Stagno F; Breccia M; Martino B; Intermesoli T; Fava C; Abruzzese E; Tiribelli M; Bigazzi C; Cesana BM; Rosti G; Baccarani M
Effects and outcome of a policy of intermittent imatinib treatment in elderly patients with chronic myeloid leukemia
Key Points
INTERIM treatment affects cytogenetic and molecular response, but not the outcome. No patients treated with INTERIM progressed to accelerated or blast phase.</jats:p
Circulating endothelial cell count: a reliable marker of endothelial damage in patients undergoing hematopoietic stem cell transplantation
The physio-pathologic interrelationships between endothelium and GvHD have been better elucidated and have led to definition of the entity 'endothelial GvHD' as an essential early phase prior to the clinical presentation of acute GvHD. Using the CellSearch system, we analyzed circulating endothelial cells (CEC) in 90 allogeneic hematopoietic stem cell transplantation (allo-HSCT) patients at the following time-points: T1 (pre-conditioning), T2 (pre-transplant), T3 (engraftment), T4 (onset of GvHD) and T5 (1 week after steroid treatment). Although CEC changes in allo-HSCT represent a dynamic phenomenon influenced by many variables (that is, conditioning, immunosuppressive treatments, engraftment syndrome and infections), we showed that CEC peaks were constantly seen at onset of acute GvHD and invariably returned to pre-transplant values after treatment response. Since we showed that CEC changes during allo-HSCT has rapid kinetics that may be easily missed if blood samples are drawn at pre-fixed time-points, we rather suggest an 'on demand' evaluation of CEC counts right at onset of GvHD clinical symptoms to possibly help differentiate GvHD from other non-endothelial complications. We confirm that CEC changes are a suitable biomarker to monitor endothelial damage in patients undergoing allo-transplantation and hold the potential to become a useful tool to support GvHD diagnosis (ClinicalTrials.gov NCT02064972).Bone Marrow Transplantation advance online publication, 11 September 2017; doi:10.1038/bmt.2017.194
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