139 research outputs found

    Il Palazzo delle Assicurazioni Generali: un nuovo modello edilizio di Ernesto Basile nel piano di riforma positivista della Città di Palermo

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    L’immobile progettato da Ernesto Basile nel 1912 per conto delle Assicurazioni Generali di Venezia ha avuto un ruolo nevralgico nella storia della produzione edilizia e delle dinamiche urbane di Palermo nel tardo periodo della Belle Èpoque. Eretta su un’area ad isolato la fabbrica appena ultimata si imponeva per consistenza stereometrica e, al tempo stesso, per equilibrio compositivo sul limitrofo pregevole contesto edilizio della nascente via Roma. Ad angolo fra le strategiche via Roma e via Cavour il fabbricato delle Assicurazioni Generali di Venezia finì per assumere il ruolo di segnale urbano identificabile come “soglia” dell’attraversamento, proprio tramite via Roma, della città storica verso la Stazione Centrale e, al tempo stesso, di smistamento, nel percorso di senso opposto, del flusso che da quest’ultima, dalle borgate suburbane meridionali e dai mandamenti della città andava verso il porto

    Il diorama simbolico del Salone degli Specchi di Villa Igiea

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    Villa Igiea, costruita fra il 1899 e il 1901 nella contrada costiera dell’Acquasanta a nord di Palermo, è un’opera paradigmatica dell’Arte Nuova Italiana; in essa la celebrazione della “misura umana” attraverso l’esaltazione estetizzante del quotidiano assume toni da epifania dell’epopea della rinascita dell’individuo e della sua lotta contro il “mal sottile”. La trasformazione da sanatorio in albergo, avvenuta in corso d’opera, avrebbe in realtà comportato una semplice “correzione del tiro” nelle fasi finali di definizione di alcuni degli arredi (essenzialmente delle suite più esclusive e di qualche salone d’uso collettivo), rimanendo legata alla destinazione originaria l’impronta simbolica, con l’esaltazione struggente della nuova misura introspettiva di “luogo del non essere”, deputato alla passione di una società di eletti ormai nello status di superamento del proprio apogeo. La realizzazione di questo complesso sanatoriale, che impegna Basile per un biennio alquanto intenso, è il risultato della fortunata convergenza degli interessi e dei moventi ideologici dei suoi tre artefici. Oltre a Basile, infatti, il carattere di questa architettura, nei suoi più particolari risvolti (non ultimi quelli simbolici ed ergonomico-sanitario), deve la sua eccezionalità anche alla collaborazione apportata dal committente, Ignazio Florio, e dall’ideatore della funzione originaria, il medico Vincenzo Cervello. La decisione di realizzare un sanatorio di lusso era stata innescata dai successi dei procedimenti farmacologici ottenuti da Cervello nella cura dei malati di tisi ricoverati nell’ospedale della Guadagna, da lui diretto. Villa Igiea avrebbe dovuto costituire una sorta di privilegiato laboratorio di ricerca applicata per il lancio clinico del metodo curativo di Cervello. Contemporaneamente avrebbe dovuto fornire, con i proventi, parte dei necessari finanziamenti e, soprattutto, promuovere un continuo miglioramento nella terapia della lotta alla tisi, da riversare nell’impresa, di stampo filantropico, del Sanatorio Popolare istituito dallo stesso Cervello e per il quale Ernesto Basile progetterà dal 1903 il complesso della contrada dei Petrazzi (realizzato entro il 1909). Anche alla realizzazione di questa impresa contribuirà Ignazio Florio che, nel quadro delle iniziative umanitarie condivise con la moglie (Franca Iacona di Notarbartolo), è uno dei principali e più attivi sostenitori dell’Associazione Siciliana per il Bene Economico. E’ certo, pertanto, che l’avventura di Villa Igiea si colloca nell’alveo di un movimento di interessi molteplici; da quelli per il turismo a quelli scientifici, da quelli industriali a quelli umanitari. Opera prima del modernismo italiano il complesso sanatoriale dell’Acquasanta viene ideato con una configurazione volumetrica articolata; il suo controllato ordinamento generale per aggregazione di corpi fabbrica prismatici, risulta alquanto insolito nel panorama italiano (per quanto riguarda le tipologie alberghiere, termali o sanatoriali). Anche per Ignazio Florio Villa Igiea è carica di significati complessi, che non si limitano alla strategia imprenditoriale e trascendono i diretti interessi economici. Il complesso avrebbe dovuto rappresentare, infatti, un’ineguagliabile testimonianza della rinascita siciliana quale opera tra le più prestigiose e “moderne” fra quelle salutifere delle località elitarie deputate ai rituali mondani della société du plaisir. Oltre alla consapevolezza che il sanatorio di lusso avrebbe promosso l’immagine di Palermo come stazione climatica invernale, si palesava la previsione di una positiva ricaduta commerciale nel settore dell’industria farmaceutica, con il potenziamento della produzione di sostanze da utilizzare nella cura della tisi che avrebbe permesso un’estensione del fatturato della vicina Chimica Arenella, non molto distante dall’antica residenza dei Florio della tonnara dei “Quattro Pizzi” e dalla stessa Villa Igiea. È con il contributo Vittorio Ducrot per la realizzazione degli arredi e delle decorazioni lignee di Giuseppe Enea per le pitture decorative, di Gaetano Geraci per le sculture decorative e, soprattutto, di Ettore De Maria Bergler, autore con Luigi Di Giovanni e Michele Cortegiani del ciclo di figurazioni allegoriche del Salone degli Specchi (la Sala da Pranzo), che Basile sperimenta con successo l’idea dell’“opera d’arte in tutto”. È in particolare il Salone degli Specchi, che nella sua complessità accoglie le molteplici componenti che vanno dalla metafora tensionale delle capriate al plasticismo ergonomico delle maniglie, a connotare con la “perfetta fusione” tra decorazioni architettoniche e pittoriche (anche su un piano sintattico coerente persino nei reconditi significati alchemici legati al mito della dea Igiea e della Rinascita) l’operare di Basile comune il più originale contributo del modernismo italiano di inizio XX secolo

    Secondo Concorso per il Palazzo del Parlamento a Roma, area dei Mercati Traianei, 1888, Ernesto Basile

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    SECONDO CONCORSO PER IL PALAZZO DEL PARLAMENTO, ROMA 1888-1889, ERNESTO BASILE Redatto tra la fine del 1888 e il 1889, in parte presso lo studio palermitano del padre e prevalentemente nel suo studio di Roma, il progetto presentato al II Concorso per il Palazzo del Parlamento del Regno d’Italia constava di sedici tavole di grandi dimensioni. Il corpus dei disegni (a matita, inchiostro di china e acquerello monocromo, con presenza di inchiostri colorati solamente per le indicazioni distributive e per le percorrenze veicolari) elencati e descritti nella memoria autografa allegata al progetto, e datata “Roma, 31 ottobre 1889”, comprendeva: una planimetria generale “con le adiacenze” in scala 1/1000; cinque planimetrie in scala 1/200 (del piano “in parte sotterraneo”, del piano terreno, del piano ammezzato, del primo e del secondo piano); tre piante parziali in scala 1/100 (rispettivamente per le sedute dei senatori, per le sedute dei deputati e per le sedute congiunte alla presenza del re); quattro alzati dei fronti (il principale è in scala 1/100, mentre il posteriore, con la sezione trasversale sull’aula delle Sedute Reali, e i due laterali sono in una stessa tavola in scala 1/200); sei sezioni longitudinali e trasversali in scala 1/200; un alzato parziale del prospetto principale in scala 1/20; un alzato del “Capitello dell’ordine principale” in scala 1/4. Di questo progetto, oltre ad alcuni documenti, si conservano prevalentemente le tavole presentate al concorso e una serie di schizzi e studi (nell’Archivio Disegni della Dotazione Basile-Ducrot della Facoltà di Architettura di Palermo e nell’Archivio della famiglia Basile). Vincitore del Premio di Primo Grado (di £ 5000) assegnatogli dalla Commissione Esaminatrice con parere unanime, come soli altri due dei cinque premiati, il progetto di Basile non avrà alcun seguito, nonostante la positiva eco registrata presso la critica nazionale e l’interesse suscitato presso l’ambiente professionale e accademico dalla pubblicazione della sua relazione di accompagnamento. La crisi politica che il 31 gennaio 1891 porterà alla caduta del primo governo presieduto da Francesco Crispi e la successiva congiuntura politico-economica italiana causeranno il definitivo abbandono dell’idea di un grande Palazzo del Parlamento comprendente un’aula per le sedute del Senato, un’aula per la Camera dei Deputati e quella per le “adunanze” comuni presiedute dal sovrano. Il tema del concorso, sostanzialmente analogo a quello della precedente edizione del 1883, rifletteva, nel programma del bando di invito (Gazzetta Ufficiale n. 256 del 30 ottobre 1888), orientamenti affini a quelli perseguiti dalla commissione parlamentare nominata dal governo dell’Impero di Germania il 9 gennaio 1882 (e presieduta direttamente dal ministro von Böttischer) per redigere il programma del secondo concorso internazionale (bandito l’uno febbraio 1882), per il Palazzo del Parlamento Tedesco da erigersi a Berlino. Su questo concorso Basile pubblica, proprio nel 1888, uno studio analitico relativo alle premesse e alle modalità di svolgimento dell’evento stesso; ma principalmente lo studio è una relazione scientifica sul progetto vincitore di Paul Wallot, del quale analizza il “carattere artistico”, l’assetto distributivo e l’iter ideativo, le vicende costruttive e gli aspetti tecnici e amministrativi delle sue fasi realizzative (stampato a Roma nel 1889, dalla Tipografia Centenari, il fascicolo di Basile, intitolato Il Palazzo del Parlamento di Berlino, è estratto da «Annali degli Ingegneri e Architetti Italiani», III, II, 1888). Nella proposta di Basile il parlamento era pensato come complesso architettonico risultante dall’aggregazione, attorno ad un gigantesco cortile d’onore, di quattro compiuti comparti edilizi: un corpo di fabbrica monumentale con valenze di segno urbano, sia per la presenza del grande loggiato bilanciato rispetto all’avancorpo centrale (con frontone) sia per la rilevanza della grande torre loggiata; due complessi speculari, ognuno dei quali sviluppato su pianta di forma rettangolare e caratterizzati da una forte impronta palazziale, con due cortili rettangolari ai lati di un nucleo interno di base quadrangolare con inscritte le rispettive aule emicicliche per le sedute dei Senatori e dei Deputati; un ulteriore complesso, anch’esso con pianta di forma rettangolare (di uguale ampiezza, rispetto ai precedenti, ma di maggiore profondità) e analogo impianto planimetrico che presenta, incasellato in un sistema di corridoi e separato dalle ali minori laterali tramite due cortili rettangolari, un nucleo con monumentale aula, dalla pianta di forma rettangolare, per le sedute congiunte alla presenza del sovrano. Lo schema compositivo planimetrico, dunque, presenta un impianto distributivo ordinato su un sistema di corridoi-gallerie, con sviluppo a T, risultante dalla intersezione ortogonale di due rettangoli. Al cortile d’onore risultante sono raccordati, tramite l’ordito di corridoi-gallerie, i tre complessi architettonici che contengono le tre aule, disposte in corrispondenza degli assi mediani del cortile d’onore e individuate in esso da altrettanti avancorpi (di tre tipi, essendo uguali i due avancorpi affrontati dell’aula del Senato e della Camera dei Deputati, e diversi quello corrispondente all’aula delle Sedute Reali e il prospiciente partito centrale aggettante rispetto al retroprospetto del corpo di fabbrica monumentale sulla via Nazionale). Per le tre aule, su una riconoscibile base comune classicista (in una distillata edizione eclettica), agiscono altrettante dominanze stilistiche diversificate, ma compatibili e omologate da uno stesso tenore fisiognomico: di tipo neoellenistico per l’aula del Senato e neoromano per la Camera dei Deputati, entrambe pensate in forma emiciclica (e con soffitto a velario) esplicitamente esemplate sul modello dei teatri dell’antichità o dei bouleuteria (ma fra di loro diversificate anche nei rapporti dimensionali, oltre che sul piano formale e dell’ordinamento architettonico); neorinascimentale per la monumentale aula con pianta di forma rettangolare destinata alle adunanze comuni alla presenza del re (con palese richiamo stilistico ai valori dell’ideale politico unitario del nuovo “rinascimento” italiano)

    Ernesto Basile

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    ERNESTO BASILE Ernesto Basile (Palermo 1857-1932) architetto, docente di Architettura Tecnica presso gli Atenei di Roma e di Palermo, è uno dei principali protagonisti della lunga stagione del modernismo italiano. Allievo del padre Giovan Battista Filippo ne interpreta con problematicità quella «ricerca del nuovo» che ne aveva distinto l’operato nell’ambito della cultura architettonica italiana dell’arco temporale compreso fra il tramonto dei neostili e del romanticismo e la maturità dell’eclettismo. Di quest’ultimo lo stesso Ernesto Basile sarà uno dei più interessanti protagonisti nella stagione di transizione verso il modernismo. Personalità di spiccate qualità intellettuali e di considerevole potere accademico Ernesto Basile sarà uno dei principali promotori e sostenitori della svolta culturale di fine Ottocento che permette anche in Italia la fioritura di una eccezionale stagione Arte Nuova. Sarà lui uno dei pochi architetti italiani a costituire un vero e proprio cenacolo interdisciplinare ed a perseguire quell’unità delle arti che distingue le più avanzate coeve manifestazioni del modernismo europeo. Sostenuto da una facoltosa committenza siciliana, colta e di respiro internazionale, e da quella parte della classe politica nazionale votata al progresso del giovane stato italiano e alla promozione di una cauta riforma meliorista della società, Basile fece della ricerca della qualità la misura di una professione dedicata all’azione educatrice dell’arte intesa come componente fondamentale del cammino della civiltà. La ricerca di un’eccellenza della normalità distingue, per controllo e robusta semplicità degli ordinamenti, la sua linea progettuale dagli effimeri exploit del Liberty degli altri progettisti italiani; questo sia nei confronti delle insistite riforme vitalistiche delle strumentazioni formali sia in relazione a quel gusto per l’iperbolico che avrebbe portato a sviluppi inattesi del modernismo italiano. Definito dalla critica coeva pioniere del “rinnovamento” artistico e architettonico nazionale degli anni della Belle Époque, raggiunge fama internazionale nel periodo compreso fra il 1900 e il 1918, con opere come il Villino Florio, Villa Igiea, la propria casa in via Siracusa, il Villino Fassini e la Villa Deliella (tutte a Palermo), e come il Palazzo dell’Aula dei Deputati a Montecitorio (Roma). Partecipa con successo alle esposizioni internazionali d’arte e di arti decorative moderne svoltesi a Torino nel 1902 e a Venezia dal 1903 al 1909, nonché a Milano nel 1906. Le riviste inglesi, tedesche, austriache e, naturalmente, italiane dell’epoca testimoniano l’attenzione riservata alla sua produzione architettonica (e alla sua originale declinazione siciliana dei principi della progettazione integrale e dell’ideale estetico della Gesamtkunstwerk), riconoscendone il ruolo di punta avanzata (in ambito italiano), per la modernità del linguaggio e per la sensibilità verso il nuovo gusto estetico. Anagraficamente più anziano degli altri protagonisti del Liberty, operò con autorevolezza accademica nel tentativo di promuovere il movimento di rinnovamento in Italia e (fra i pochi in Europa) dette vita ad una qualificata scuola del “progetto moderno”, presto ricondotta, però, in un indirizzo di maniera che, negli anni Venti, finì per isolarne i componenti dai nuovi orientamenti della cultura architettonica internazionale; un processo parallelo alle sorti della società civile siciliana, dei cui fasti (come esemplare fenomeno di rinascita economica e culturale nel periodo a cavallo dei due secoli) era stato sottile e inappuntabile interprete. La sua attività professionale, diffusamente praticata in tutta la nazione, ma soprattutto a Palermo, a Roma e in un gran numero di città della Sicilia, è stata esaltata da una singolare capacità progettuale e da una eccezionale resa grafica che fanno dei suoi disegni delle autentiche opere d’arte

    Ernesto Basile y la variable latina del modernismo italiano

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    [SPA] Detta “villino Ida”, la casa-studio di Basile, dalla volumetria discreta e dalla calligrafica strumentazione formale astila, si distingueva rispetto alla circostante edilizia di eleganti, ma convenzionali, residenze costruite, nel quartiere di espansione settentrionale di Palermo, nella fase matura della Belle Époque. La casa Basile - con le sue bianche facciate su basamento continuo in mattoni rossi - prendeva le distanze dai compromessi imitativi, dalle metafore e manipolazioni del patrimonio storico dell’architettura e, infine, dallo stesso slancio di formulazione di nuovi codici stilistici. A questo “apparire” singolare corrispondeva una razionale logica distributiva nel segno di un moderno comfort non dimentico, come per tutto l’ordinamento della fabbrica, di una civiltà abitativa mediterranea. Con il villino Basile, di colpo, la nascente tendenza modernista italiana sembra accorciare le distanze con le più mature espressioni del modernismo internazionale. [ENG] Also called “villino Ida” in homage to his wife, Basile’s home -study, in spite of the discreet volume and formal calligraphic instrumentation of unspecific style standard , stood out from the surrounding buildings of elegant and yet conventional structure, built in a mature phase of the Belle Époque, in the blocks traced on either sides of the first section of via Libertà, the northern expansion of Palermo. In this urban environment Villino Basile - with its white facades on a continuous red brick base, which in a single solution also encircled the garden and enhanced the emergence of the sharp and eurhythmic stereometry of the manufacture, was distancing itself from imitative compromises, from the historical architecture heritage metaphors and manipulation and, finally, from the very formulation momentum of new stylistic codes

    Domenico Lo Faso Pietrasanta duca di Serradifalco ed Eugène Viollet-le-Duc: apprendistato medievalista e iniziazione all’arte regia

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    Viollet-le-Duc’s journey in Italy is marked not only by the maturation of his critical principles – that lead him to abandon his studies on ancient times and the Renaissance in favour of a problematic reflection on the Middle Ages – but also by the encounter with important interlocutors, who were crucial for his education. Among these, Domenico Lo Faso Pietrasanta, Duke of Serradifalco, whom he met in Sicily, probably represents the intellectual voice closest to Viollet’s revision process of architecture. The duke was transforming the approach to the study of local culture, definitively overcoming the tendency to encyclopaedism, adopting philological criteria and methodologies of research which were very close to the positivist historiography approach. When Viollet arrived in Palermo, Serradifalco was developing a process of revision of medieval Sicilian architecture, with the purpose of finding a “new architecture” for the future. Viollet-le-Duc became involved in this process. The essay underlines the similarities between the experience of Serradifalco and the contemporary activity of Viollet-le-Duc after his stay in Sicily. Apart from differences due to their cultural and political background, they both identified the basis to create a new architectural language in medieval architecture.Il viaggio in Italia di Viollet-le-Duc non è caratterizzato solo dalla maturazione dei suoi principi critici – che lo portano ad abbandonare gli studi sull'antichità e sul Rinascimento in favore si una riflessione prblematica sul Medioevo – ma anche dall'incontro con importanti interlocutori, di fondamentale importanza per la sua formazione. Tra questi, Domenico Lo Faso Pietrasanta, duca di Serradifalco, incontrato in Sicilia, e che rappresenta probabilmente la voce intellettuale più vicina al processo di revisione dell'architettura di Viollet. Il duca stava trasformando l'approccio allo studio della cultura locale, superando definitivamente la tendenza all'enciclopedismo, adottando criteri e metodologie di ricerca che erano molto vicine al metodo storiografico positivista. Quando Viollet arrivò a Palermo, Serradifalco stava sviluppando un processo di revisione dell'architettura medievale siciliana, con lo scopo di trovare una "nuova architettura" per il futuro. Viollet-le-Duc venne coinvolto in questo processo. Il saggio sottolinea le somiglianze tra l'esperienza di Serradifalco e l'attività contemporanea di Viollet-le-Duc dopo il suo soggiorno in Sicilia. A parte le differenze causate dal loro diverso background culturale e politico, entrambi individuarono le basi per creare un nuovo linguaggio architettonico nell'architettura medievale

    Sistemazione degli spazi urbani e politica dell'immagine fascista nell'Albania degli anni Trenta

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    La breve ma intensa attività professionale di Gherardo Bosio in Albania comincia con la stesura del Piano Regolatore di Tirana e con la fondazione dell’Ufficio Centrale per l’Edilizia e l’Urbanistica dell’Albania; ufficio che dirigerà a partire dal mese di luglio del 1939 fino a pochi mesi prima della morte, avvenuta nel 1941 dopo meno di un anno di malattia, e durante il quale sarà coadiuvato da Ferrante Orzali e Ferdinando Poggi. In realtà, solamente il 12 ottobre del 1939 il Luogotenente Generale Francesco Jacomoni di San Sovino avrebbe ratificato, con Decreto Luogotenenziale, l’atto costitutivo di questo importante organo tecnico che però, già nel giugno del 1942, verrà declassato a semplice Sezione Tecnica del Ministero dei Lavori Pubblici d’Albania. Al suo arrivo a Tirana nell’estate del 1939, con l’incarico di redigerne il Piano Regolatore, Gherardo Bosio ha appena consumato, con considerevole successo non suffragato però da adeguato riscontro da parte delle autorità coloniali, l’esperienza di progettazione urbanistica nel recente possedimento italiano dell’Abissinia. Fra il 1936 e il 1938 redige, infatti, i piani regolatori di Gondar, capitale dell’Amara, di Dessiè e di Gimma; nello stesso arco temporale è chiamato anche ad Addis Abeba per progettare la villa Vicereale, la residenza del governatore, sedi di istituzioni culturali e altre opere. Nella prima fase del suo mandato Bosio si occuperà personalmente anche della ridefinizione a Tirana del viale dell’Impero, ribattezzato così dopo l’unione del Regno d’Albania con il Regno d’Italia. Per quanto attiene all’attività dell’Ufficio Centrale, oltre all’intervento su Tirana, la gestione di Gherardo Bosio e i progetti di massima per le aree centrali di Coritza, Scutari e Valona. A questa intensa attività, condivisa con validi collaboratori, si aggiungono i progetti per sistemazioni di spazi urbani di notevole rilevanza e per architetture istituzionali o d’uso collettivo fra cui: l’Hôtel Dajti; l’ampliamento e la riforma della ex Villa Reale, poi Villa Luogotenenziale (in collaborazione con Ferdinando Poggi); gli Uffici Luogotenenziali (in collaborazione con Ferrante Orzali); lo stadio; il piano particolareggiato per la parziale riforma di piazza Skanderberg; la sistemazione di piazzale Littorio (oggi Sheshi Nene Tereza). Ad onta della dichiarata volontà di richiamasi alle forme e ai modi di costruire della tradizione locale, Bosio, verosimilmente affetto da una deriva ideologica, innesta in Albania la sua visone di un’architettura etica ed essenziale, maturata in Abissinia con rigore in una sorta di esistenziale cimento progettuale da frontiera. I richiami alla tradizione edilizia albanese sono da lui sottoposti ad un processo di metabolizzazione secondo una gerarchica taratura in subordine rispetto alle componenti della cultura architettonica italiana (anche in ossequio agli orientamenti in materia di architettura d’Oltremare, formulati in seno al primo congresso nazionale di urbanistica di Roma). La silente spazialità del piazzale Littorio, fondata su squadrature stereometriche e sul contrappuntistico ordinamento dell’insieme e delle singole fabbriche, annuncia un nuovo corso della progettazione architettonica e urbanistica di Bosio, che la sua morte prematura interrompe

    Architetti, ingegneri, decoratori e costruttori italiani in Tunisia

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    France of the Third Republic (1870 -1940) - by that time distant from the uncertain and patchy colonial beginnings of the Grand Siècle (mainly oriented towards America and the Indian ocean) and from the discontinuous and loser policy of acquisitions of vast territories overseas of the XVIII century - in the fifty years after the occupation of Tunisia (1881) renews the intentions of the Second Republic and of the Second Empire to expand the dominoes in Africa, Asia and Oceania. Officially denominated Second Empire Colonial Français and endowed with a specific motto ("Trois couleurs, une drapeaus, un empire") the "French World" of overseas at the beginning of the second decade of the XX century was become a territorial entity of thirteen million square kilometers with more than one hundred million inhabitants. It was, therefore, an extraordinary intercontinental dominion, second only to the much larger British colonial empire (whose extension, in the same period, was of around 36 million square kilometers with almost half a billion people). Already in the mature stage of the Belle Èpoque, once crushed the last pockets of resistance, the French colonial policy’s goals were: a more efficient organization of the economic exploitation (including the reemploy of resources in the single possessions for infrastructural improvements and in order to reach higher life standards); an incentive to the immigration of French citizens (aimed to an expansion of the metropolitan presence); a more careful treatment of the natives; and a better administrative and institutional organization of the territories. At this point, the Third Republic not only arrogated the role of global power but also claimed the primogeniture of the modern idea itself of colonial empire (actually realized only in truth a small part of its dominoes). The new course of its colonial policy was aimed to make the "Douce France" the leading nation in the process of modernization of the subdued populations. No more by proclaiming itself as the executor of a civilizing task (in the name of which the Europeans, in the second half of the XIX century, claimed the right to impose their order to the local realities), but by respecting their cultures and peculiarities. No wonder, then, if, during the mature phase of the Belle époque (and later between the two world wars), in the Europeanized cities of the Maghreb (and namely in the colony of Algeria and in the protectorates of Tunisia and Morocco), the most representative French building production, both public and private, abandoned the classicist Beaux Arts - a clearly imposed architectural culture - to adopt the new style arabisance, rather adaptable and well related to the context. Before in Tunisia, with the foundations of the French Villes Neuves conceived as conspicuous additions juxtaposed to the ancient nucleuses of Tunisi, Sousse, Biserta and Sfax, then in Morocco, with the enlargements of Casablanca, Fez, Marrakech, Meknes and Rabat promoted by the marshal Louis Hubert Gonzalve Lyautey, the management of the French protectorate sharpen methodologies and operational strategies creating a complex urbanistic story, passing from a coercive behavior (also in terms of formal choices, of systems of planning and building production) to conscious interventions careful to the contexts. It is mainly Lyautey the one who inaugurated this new course, also engaging himself in the safeguard of the historical architecture (not necessarily "monumental") and the urban order of the medinas; an intention pursued along with the attempt to control the European penetration (in the business and in the development of the new districts) and with the creation of a fundamental document of urbanistic legislation. Even associating his farsighted administrative action to the excellent activity of Henri Prost, as co-opted planner by the gubernatorial authority for the planning of the urban amplifications promoted by the protectorate, Lyautey would have promoted a modern development (but compatible with the local traditions), of the principal historical cities of French Morocco in the full respect of the preexisting installations

    Ernesto Basile. 1857-1932. Fra accademismo e "moderno", un'architettura della qualità

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    Educated in Palermo at the Regia Scuola di Applicazione per Ingegneri e Architetti, where he began his university career as an assistant of his father, Giovan Battista Filippo Basile (Palermo 1825-1891) holder of the chair of Technical Architecture, Ernesto Basile, after a short assistantship (which started in 1882) at the University chair held by Enrico Guj in Rome, became a professor and later (in 1891) an academic of Technical Architecture first at Rome University (until 1890) and then at Palermo University (basically until his death on August 26, 1932). He was born in Palermo on January 31, 1857 the first of six children - three boys, Alceste and Edoardo were born later, and three girls, Benedetta, Marcella and Maria, born after their father's second marriage, to Alessandra Vasari, the sister of his first wife who died prematurely in 1867. A genuine interpreter, in the last two decades of the 19th century, of a problematic eclecticism, well anchored to a leading Sicilian tradition in search of "new architectural systems" (that he had inherited from his father), Ernesto Basile had been considerably motivated, since his debut, by innovative methodological aspirations and a will to meet the most advanced international cultures. An example is offered by the Roman projects of the 1880s and, the following decade, by Sicilian production (worthy of note, the Ossario di Calatafimi, the fabric complex for the IV National Exposition in Palermo, Villa Bordonaro, Palazzo Francavilla, for its interiors deco¬rations and the furnishings above all, and the kiosks Ribaudo and Vicari in Piazza Verdi). His journalistic output during the years of his collaboration with the review Pensiero ed Arte within the column Letteratura, Arte e Critica was considerable. His articles ranged from theory and treatises to studies of art history and the history of architecture, and criticaI and technical essays. He used the pseudonym "Astragalo" for his serious writings and theoretical essays, which were already symptomatic of both his later scientific production and architectural modes and in which he delineated some of his explanatory variations on the arts. He used the pseudonym "Zambajon" for his social criticism articles, and used "Volando" for his essays. To this latter category belongs the article Arte Accademica e Arte Personale, an early manifesto of a program of the aesthetic reestablishment of a culture of architectural planning and artistic thinking. In 1882 he wrote, in the form of a treatise (not completed, and published in 1891), Architettura: dei suoi principi e del suo rinnovamento in which he rehandled made coherent his ideas on architectural planning and the history of "styles," providing it with numerous architectonic sketches, facade elements, and geometrical shapes that explain the optical relations between straight lines and systems of perspective constructions. Of interest, also, are his dissertations on coeval architectural planning, such as Il Concorso per il Monumento a Vittorio Emanuele in Torino (1879), Sulla costruzione dei teatri: Le dimensioni e l'ordinamento dei palchi in rispondenza al costume italiano (1883), Sui mezzi atti a garantire la sicurez¬za dei teatri in caso d'incendio (1889), and Il Palazzo del Parlamento di Berlino. Notizie storiche, artistiche e tecniche (1889). Among his several memoirs of the bids projects he worked on, he published an article entitled Per il mio progetto del palazzo di Giustizia e per l'Arte (1884) as an answer to the observations on the style he had adopted. Lastly, his essay on Giacomo Serpotta (1656-1732) (in R. Lentini, Le sculture e gli stucchi di Giacomo Serpotta, Torino 1911) is remarkable, and one of the first critical and historical revaluations of Sicilian Baroque art, in the style of writings by Gioacchino Di Marzo and Vincenzo Pitini. Defined by the contemporary critics as the pioneer of the national artistic and architectural "renewal" of the years of Belle Époque, Basile achieved his international popularity in the period been 1899 and 1918, principally for some buildings in Palermo, most of them with a definition of the interior spaces (entirely or affecting only the principal guest rooms) , such as the Palazzina Paternò, the Villino Florio, the Grand Hòtel villa Igiea, the second Utveggio residence, the complex of pavilions for the First Agricultural Exposition, his house in Via Syracuse, the Villino Fassini, the Villa Deliella, the seat of Cassa di Risparmio, the Kursaal Biondo, the second kiosk Ribaudo, (and a remarkable number of aristocratic chapels) and with such Roman works as the Palazzina Vanoni, the villa of the marquis of Rudinì, the palace of the Chamber of Deputies in Montecitorio, and the Gran Caffè Faraglia (Roma). He successfully participated in the modern international arts and decorations expositions, taking place in Turin (1902) and in Venice (in 1903, 1905 and 1909), as well as the one in Milan (1906), which confirmed his commitment and inventiveness in both the application of the modernist principle of integral architectural planning (applied to several sectors of applied arts, though with a notable prevalence in the furnishing field, the latter leading, beginning in 1899, to the successful association, lasting for little more than a decade, with the renown Palermo furniture factory Golia-Ducrot), and in the aesthetic ideal of the equality of the arts, in whose name he organized an interdisciplinary circle. This involved some of Palermo's best artists in the realization of some of the most meaningful Italian expressions of the "total work of art" (his most assiduous co-workers were the sculptors Antonio Ugo and Gaetano Geraci and the painters Ettore De Maria Bergler, Giuseppe Enea, Rocco Lentini, Luigi Di Giovanni, Michele Cortegiani and Salvatore Gregorietti). The English, German, Austrian and, of course, Italian reviews of the epoch bear testimony to the attention given to his architectural production (and to his singular Sicilian conjugation of the principle of Gesamtkunstwerk) acknowledging, thus, his leading role (in Italy) in the modernity of language and his sensitivity to the new aesthetic taste that replaced 19th century eclecticism. Concerning this, he was one of the most problematic Italian figures in the transition phase towards the new "artistic sensibility." Though older than the other protagonists of the Liberty style, he acted with academic authoritativeness with a view to promoting the renewal movement in Italy, and supported the phenomenon in its premature expressions (among the fewest in Europe) by giving birth to a school of the "modern architectural project" (whose best disciples and assistants, besides some qualified protagonists of late Sicilian modernism (see, Ernesto Armò, Francesco Fichera, Saverio Fragapane, Salvatore Benfratel¬lo, Giovan Battista Santangelo, Enrico Calandra, Francesco La Grassa, Salvatore Caronia Roberti, and Giuseppe Samonà). Soon brought back to a mannered current, the school ended up, in the1920s, isolating most of its members from the new international orientations of the architectural culture. A process, this latter, parallel to the future of Sicil¬ian society, of whose magnificence (as an exemplar phe¬nomenon of economical and cultural rebirth in the period between the two centuries) Basile had been a subtle and impeccable interpreter. His professional activity, carried out in several Italian towns and cities, above alI in Palermo, Rome and a large number of Sicilian towns, rose through a peculiar skilfulness in architectural planning and an exceptional graphic rendition, which make his designs authentic works of art
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