11 research outputs found
Aspects de la réception des classiques dans la Renaissance italienne : le monologue lyrique et la narration épique
Un cas fascinant de la reprise du monde classique dans la culture italienne est celui de Pétrarque. Le grand écrivain toscan donna vie à un idéal de renaissance du monde antique qui inaugura l’humanisme : le retour à une langue latine purifiée des sédiments du latin médiéval, la possibilité d’aborder de nouveaux genres se rattachant directement à ceux qui existaient dans l’Antiquité, l’idée même d’une autobiographie idéale, rythmée par une activité épistolaire en latin qui devait promouvoir le rôle nouveau que l’intellectuel européen allait jouer au XVe siècle. Cependant, l’activité littéraire de Pétrarque recèle des aspects moins évidents. Sa production en langue vulgaire surtout, de dimension très réduite par rapport à celle en latin, se concentre sur les thèmes romans de la lyrique amoureuse, dans laquelle le sujet est doté d’une tension tragique tout à fait étrangère à la tradition classique et où la reprise de structures latines dans l’organisation syntaxique elle-même crée des effets d’ambiguïté extraordinaires, signes de l’inquiétude du désir du sujet. Un second aspect est en lien avec le récit chevaleresque du XVe siècle, un genre très éloigné de la tradition épique latine sur le plan des thèmes et de l’intrigue. Toutefois, les auteurs de poèmes chevaleresques italiens, et parmi eux surtout Matteo Maria Boiardo, récupèrent une figure de style caractéristique de l’épopée antique, de l’Enéide, par exemple, ou de la Thébaïde : l’allitération. Les structures allitératives sont employées, comme dans la littérature latine, pour accentuer la tension produite par le récit, pour créer des effets acoustiques qui puissent accompagner la force évocatrice des images, leur impression dans la mémoire
Il canto I dell’Orlando Furioso del 1516
Presentiamo qui un saggio del commento all’Orlando furioso del 1516, nella edizione in corso di preparazione per «I classici italiani annotati» della Einaudi: un lavoro ancora in fieri e soggetto pertanto ad aggiustamenti e ripensamenti. Ci si può chiedere innanzitutto perché commentare la prima forma di un’opera che una consuetudine di secoli ci ha abituato a leggere e conoscere nella sua ultima forma. C’è una ragione culturale sufficiente a farci leggere il Furioso del ’16 autonomamente? Non può bastare un commento al Furioso del ’32 che richiami in nota le lezioni precedenti, come quello per esempio curato da Emilio Bigi per l’edizione Rusconi (1982), che riporta le varianti a giudizio del curatore più significative delle edizioni 1516 e 1521? In tal modo però c’è il rischio, come riconosce Bigi, di considerare le varianti «solo come testimonianze di un cammino verso la “perfezione” raggiunta nel terzo Furioso» (Introduzione, p. 9). Se è vero che ogni fase di elaborazione di un’opera costituisce un testo in sé, ciò è tanto più vero per il poema ariostesco, le cui successive edizioni, curate dall’autore stesso, possiedono una propria originalità e organicità . La distanza poi tra la prima e l’ultima edizione implica inevitabili mutamenti di progetto sul piano letterario, linguistico e ideologico, in considerazione anche dei forti e veloci cambiamenti che segnano la letteratura volgare in quel periodo: trasformazione di generi e forme, assestamento del toscano letterario come lingua nazionale, un nuovo ordine che ridisegna anche il poema cavalleresco.E il Furioso del ’16, che ora e finalmente ha anche una sua edizione critica, curata da Marco Dorigatti per Olschki 2006 (qui citata come DORIGATTI), possiede necessariamente ragioni diverse da quelle del Furioso del ’32. Come osserva felicemente Segre nella Introduzione alla sua edizione mondadoriana (1976), «si può e si deve ritornare alla prima redazione per cogliere nel suo momento di freschezza vitale l’invenzione ariostesca. Percorrere questo secondo tracciato retrogrado (meno battuto dai critici) significa lasciare indietro le aggiunte celebrative e gli aggiustamenti diplomatici, uscire dall’incanto dell’armonia e recuperare le articolazioni fantastiche nel loro nativo movimento, riportarsi nell’orizzonte più raccolto e familiare della prima esperienza ariostesca. D’accordo sulla bellezza di molte aggiunte del 1532, sulla perfezione dei ritocchi di stile e di struttura; ma nel primo Furioso c’è una libertà , una gioia di esprimersi, una felicità che il totale impegno formale forse sacrificò in parte» (p. XXIX)
Teoria e modelli di scansione
Riflessione generale sul problema della scansione ritmica dell'endecasillabo italiano e repertorio di criteri operativi per procedere alla medesima, con particolare riferimento al verso del Canzoniere di Petrarc