18 research outputs found

    LE CARATTERISTICHE DEL CONTESTO LAVORATIVO

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    INTRODUZIONE. Studiare il comportamento nei contesti lavorativi significa non solo tenere conto delle caratteristiche che l’individuo mette in gioco o di cui è portatore come ad esempio la personalità, la motivazione, le competenze e le conoscenze, ma anche esplorare quali fattori ambientali lo influenzano e dunque contribuiscono a modellarlo e definirlo. Ciò risulta particolarmente cruciale quando si intende sviluppare o piuttosto scoraggiare un certo comportamento o quando lo si vuole prevedere e anticipare. A fronte di questo scenario spesso la prospettiva privilegiata parlando di comportamento, sia nella ricerca come nella pratica, è stata quella “individualista”, ovvero quella centrata sulla persona e sulle sue caratteristiche. In realtà l’ambiente al quale l’individuo è esposto o decide di esporsi è significativo per far si che tragga il meglio dall’esperienza e da se stesso, o ancora per modellare e dunque far crescere ciò che nella persona è più malleabile. Le ragioni per le quali non si è data la giusta importanza allo studio del contesto possono essere diverse ma riguardano fondamentalmente la difficoltà a circoscrivere il concetto, che effettivamente si presenta complesso e sfaccettato, dunque soggetto a molteplici interpretazioni, e la conseguente difficoltà ad operazionalizzarlo. A riprova della scarsa attenzione data al contesto, Johns (2018) ha esaminato diverse rassegne che hanno preso in considerazione centinaia di studi nel campo dei gruppi di lavoro, della leadership, dell’imprenditorialità e del knowledge sharing, rilevando che, a seconda del dominio, solamente tra il 5% ed il 25% degli studi riportava chiare informazioni di contesto e prevedeva al contempo l’analisi dello stesso. Inoltre, come sostengono Mowday e Sutton (1993), del suo studio se ne occupano indifferentemente economisti, sociologi, psicologi e ricercatori di Organizational Behavior (OB), ognuno secondo la propria prospettiva e questo contribuisce ad aumentare la complessità dell’oggetto di studio. Un’altra questione che ha reso difficile lo studio del contesto è stata la variabilità del peso da attribuire alle diverse situazioni, rispetto alle caratteristiche individuali, nel determinare il comportamento. In questo senso, seguendo una prospettiva che approfondisce lo studio della personalità, Mischel (1977), attraverso il concetto di “forza situazionale”, spiega come i tratti di personalità, i vissuti, i valori e i bisogni individuali possano interagire con il contesto e influenzarne il cambiamento a seconda che si tratti di situazioni definite deboli o forti. Nelle situazioni “deboli” le differenze individuali sono più significativamente legate alla produzione di un certo comportamento rispetto alle situazioni “forti” che invece lo condizionano, lo influenzano e in definitiva limitano l’influenza di queste ultime su di esso. In ambito organizzativo ad esempio, un superiore estremamente autoritario verrà percepito tale dalla maggior parte dei suoi dipendenti, facilitando così un’interpretazione univoca di una situazione di per sé forte. Viceversa un capo con caratteristiche meno definite lascerà più spazio alle differenti interpretazioni dei soggetti, che dipenderanno piuttosto dalle caratteristiche, dalle risorse e dalle esperienze di ognuno e la produzione dei comportamenti dipenderà maggiormente dall’individuo. Un ulteriore contributo teorico che approfondisce l’analisi della personalità in interazione con il contesto è la Trait Activation Theory di Tett e Burnett (2003). Essa descrive un modello di fit persona-ambiente in cui i tratti di personalità, operazionalizzati secondo il modello dei Big five, vengono attivati, o al contrario inibiti, da determinate caratteristiche contestuali (richieste lavorative, elementi di facilitazione, di disturbo oppure vincoli), declinate su più livelli (lavorativo, sociale e organizzativo). Ad esempio, la richiesta lavorativa relativa all’interazione con gli altri, può aumentare la prestazione di una persona con alta estroversione, ma non in tutti i casi. Difatti possono essere presenti nel contesto elementi di disturbo, come ad esempio l’interazione con altre persone casuali piuttosto che con persone che già si conoscono, oppure vincoli, come l’isolamento fisico piuttosto che la prossimità di altre persone. Tali elementi contestuali possono inibire l’effetto positivo derivato da determinati tratti di personalità in risposta a specifiche richieste lavorative, avendo conseguentemente un impatto negativo sulla performance individuale. Dunque, secondo la teoria di Tett e Burnett (2003), alcuni tratti possono trovare una consistente espressione nel comportamento, o non trovarne affatto, a beneficio o discapito della performance ed in dipendenza di determinate caratteristiche contestuali che attivano i tratti attraverso meccanismi affettivi e motivazionali. Di fronte a tale complessità è comunque possibile attestare che diversi autori abbiano cercato di rendere ragione dell’influenza del contesto nella determinazione del comportamento individuale. Prendendo dunque in considerazione la letteratura di riferimento in questo ambito a partire da quella più classica relativa all’interazionismo (Schneider e Reichers, 1983; Magnusson e Stattin, 1998) per arrivare alla teoria social cognitiva (Bandura, 1997; 2000), il comportamento è stato effettivamente concepito come il prodotto di un incontro tra individuo ed ambiente, tra le caratteristiche personali ed il contesto entro il quale l’azione si dispiega. In questo capitolo ci si propone di restituire importanza al contesto nella produzione dei comportamenti sia individuali che organizzativi, cercando di descrivere la varietà di definizioni e concettualizzazioni presenti in letteratura. Attraverso una rassegna della stessa ci si propone di riportare le diverse concettualizzazioni e definizioni, di descriverne le caratteristiche distintive e i più importanti effetti sul comportamento. In particolare ci si soffermerà sul lavoro di Johns (2006), il quale descrive il contesto declinandolo in caratteristiche dell’attività lavorativa (task context), caratteristiche del contesto sociale (social context) e caratteristiche fisiche del contesto (phisical context), classificazione adottata anche per la trattazione dei paragrafi a seguire

    Soddisfazione e burnout nei lavoratori in somministrazione in Italia

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    Il presente studio effettua un’analisi esplorativa all’interno di un grande campione di lavoratori in somministrazione (n=7391). Tale analisi ha l’obiettivo di aumentare la consapevolezza circa lo stato di salute e di qualità del lavoro in un settore, quello delle agenzie per il lavoro, ancora scarsamente studiato in Italia. Attraverso la selezione di una serie di costrutti salienti, identificati tramite una rassegna della letteratura, sono state misurate una serie di dimensioni (caratteristiche del lavoro, supporto organizzativo e discriminazione, tipologie di commitment, soddisfazione e burnout) e di queste sono state rilevate, a fine esplorativo, le differenze nelle medie sulla base di alcune caratteristiche socio-demografiche e lavorative (genere, area geografica, tipologia contrattuale). Inoltre sono stati analizzati gli antecedenti della soddisfazione e del burnout, descritto nelle sue componenti di esaurimento e di interpersonal strain. Dai risultati delle ANOVA emergono una serie di differenze significative sulla base dei fattori presi in considerazione. Inoltre, dalle regressioni gerarchiche presentate, si evidenzia da una parte il ruolo cruciale del supporto organizzativo percepito nella spiegazione della soddisfazione lavorativa e dall’altra il ruolo delle caratteristiche lavorative, in particolar modo di natura sociale, nel determinare il burnout nei lavoratori in somministrazione

    Combining absenteeism and presenteeism: A person-centred approach

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    Purpose Despite starting evidence showing a positive relationship between absenteeism and presenteeism (Miraglia & Johns, 2016), the two attendance behaviors have been primarily investigated separately. We aim to fill this gap by identifying profiles of individuals based on their levels of absenteeism and presenteeism. Furthermore, we are interested in examining the association of such profiles with well-established correlates of working while ill, including productivity loss and subsequent attendance behavior. Design/Methodology Employees’ responses (N = 506) to a self-report questionnaire were matched with recordbased absence data at Time 1 as well as productivity loss and subsequent absenteeism and presenteeism at Time 2. Latent profile analysis (LPA) was used to identify attendance profiles, and ANOVA was employed to explore initial differences among profiles with regard to individual characteristics, employee attitudes, and outcomes. Results The optimal LPA model for the sample indicated three profiles. Significance differences among profiles emerged with regard to individual characteristics (e.g., Psychological Capital), perceptions of the supervisor and colleagues, employee attitudes (e.g., work engagement), and future absenteeism and presenteeism. Limitations We could not control for the individual health status. Moreover, correlates of profiles were investigated cross-sectionally. Research/Practical Implications The study contributes to the relatively-recent presenteeism literature by analyzing presentees’ profiles. It also offers insights for absence management in organizations, by showing how individuals may substitute absenteeism with presenteeism and the factors able to exacerbate such tendency. Originality/Value To our knowledge, this is the first study using a person-centred approach to understand the interplay between absenteeism and presenteeism

    Secondo rapporto sul benessere e sulla qualitĂ  della vita lavorativa dei lavoratori in somministrazione in Italia (2017)

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    Il rapporto presenta i risultati della seconda ricerca sul benessere e sulla qualità della vita lavorativa dei lavoratori in somministrazione in Italia. Lo studio è stato commissionato da EBITEMP, Ente Bilaterale per il Lavoro Temporaneo e da Forma.Temp., Ente bilaterale per la formazione dei lavoratri temporane

    Managing diversity in the workplace: Organizational Diversity & Inclusion Scales (ODIS)

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    Purpose. Although the diversity and inclusion topics are attracting growing interest in recent years, the existing scales mainly measure the perception of discrimination or specific attitudes towards individual diversity categories (such as gender or age or race etc..). This study presents a new instrument, Organizational Diversity & Inclusion Scales (ODIS, Menatta, Caligiuri, Bianchi, Borgogni, 2018), that measures concurrently the perceived discrimination, the attitudes towards main types of diversities (gender, disabilities, aging, ethnicity, LGBT) and the perceptions of inclusive organizational policies. Methodology. The analyses were carried out on a sample (n=1784) from both public and private Italian organizations. Face and content validity were examined through a jury of experts who evaluated clarity and appropriateness of each item. In order to verify the internal validity, EFA and CFA were carried out by randomly split-half the collected sample. The validity of construct and criterion were examined through correlation analyses with other scales already validated in the Italian context. Results. The results show good psychometric properties of the instrument confirming factorial structure. Limitations. A cross-sectional study design was used. Research/Practical Implications. The present study proposes a new instrument to measure the degree of inclusion and diversity within the organizational context and also the perception of organizational policies allowing to plan targeted actions. Originality/Value. ODIS represents the first instrument that measures organizational diversity and inclusion on three levels simultaneously: self-reported individual level (perceived discrimination), hetero-referenced individual level (attitudes towards specific diversities) and organizational level (perceptions of diversity management)

    Dual commitment profiles and job satisfaction among temporary agency workers

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    Temporary agency workers (TAWs) are an ever-increasing type of employees which establish a double work relationship with both the agency and the client organization. Within this context, the concept of dual commitment has received considerable attention in the last years. The present contribution integrates dual commitment line of research with the one adopting a person-centered approach to the study of commitment configurations, to investigate commitment profiles on a large sample of TAWs. According to Sinclair et al.'s framework, we aimed to identify TAWs' commitment profiles based on their levels of dual affective commitment (to the agency and to the client organization) and on their general continuance commitment and to investigate differences in job satisfaction among profiles. Latent profile analyses on 7225 TAWs revealed 5 distinct profiles, namely Dually Free Agents, Dually Involved, Dually Allied, (Unilaterally) Client Allied and (Unilaterally) Agency Invested. The Dually Involved profile, followed by the Dually Allied profile, had the highest level of job satisfaction, whereas the Dually Free Agent profile and the (Unilaterally) Agency Invested had the lowest. Furthermore, the (Unilaterally) Client Allied group had a higher level of job satisfaction as compared to the (Unilaterally) Agency Invested profile. Implications are discussed

    Insicurezza lavorativa e burnout in un campione di lavoratori in somministrazione: Il ruolo moderatore dell’autoefficacia

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    L’insicurezza lavorativa percepita è considerata attualmente uno dei più potenti stressor. Gli ultimi due decenni di ricerche empiriche hanno evidenziato come i suoi effetti siano deleteri per il benessere degli individui e delle organizzazioni. L’insicurezza lavorativa risulta in particolar modo correlata negativamente alla salute psicologica e fisica delle persone. Nell’ambito della teoria dello stress è possibile evidenziare alcuni fattori moderatori degli agenti stressogeni, pertinenti a risorse interne (p.es. differenze individuali) o presenti nel contesto (p.es. lavoro, famiglia). In questo contributo ci focalizziamo sul ruolo moderatore dell’autoefficacia personale nella relazione tra insicurezza lavorativa e burnout. I partecipanti allo studio sono 7225 lavoratori interinali equamente distribuiti per genere (50.7% di uomini) a cui sono state somministrate le scale di insicurezza lavorativa, burnout (esaurimento e strain interpersonale) e autoefficacia. I risultati hanno evidenziato come l’insicurezza lavorativa sia positivamente correlata ad entrambe le dimensioni del burnout, esaurimento e strain interpersonale. L’efficacia personale, al contrario, risulta negativamente correlata a esaurimento e stress interpersonale. L’ipotesi di moderazione viene confermata. Controllando per alcune importanti variabili socio-demografiche come genere, età, tipo di contratto e livello istruzione, l’interazione tra insicurezza lavorativa e autoefficacia risulta significativa sia per le entrambe dimensioni del burnout. I risultati confermano gli effetti nocivi che l’insicurezza lavorativa esercita sul benessere psicologico e relazionale degli individui. Tuttavia, il ruolo moderatore che l’autoefficacia può avere nel ridurre tali effetti negativi appare di fondamentale importanza sia dal punto di vista teorico sia per ciò che riguarda le implicazioni pratiche. I risultati qui presentati, infatti, evidenziano come interventi mirati all’aumento del senso di autoefficacia possano fornire un valido contributo per fronteggiare il burnout in individui con un’elevata insicurezza lavorativa percepita

    La mediazione dell'employability nella relazione tra risorse personali ed esiti occupazionali: uno studio su Garanzia Giovani

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    Nello scenario incerto che caratterizza il mercato del lavoro attuale sempre più rilevanti diventano le risorse personali a disposizione dell’individuo nell’affrontare l’ingresso nel mondo del lavoro e le transizioni di carriera, e l’employability percepita, ossia il modo in cui l'individuo percepisce le proprie opportunità all’interno del mercato del lavoro. Nonostante il crescente bacino di proposte teoriche e ricerche empiriche sul tema dell’employability risultano ancora scarsi i contributi che indagano il ruolo di tale dimensione in situazioni di disoccupazione. Questo gap risulta particolarmente critico se si considera la nascita di fenomeni come quello dei giovani inattivi, etichettati con l’acronimo NEET (Not in Education, Employment or Training), in rapida crescita in Europa negli ultimi anni. In Italia, dove ci sono più di due milioni di giovani attualmente in questa condizione, è stata lanciato il Programma “Garanzia Giovani”, cofinanziato dallo Stato e dell’Unione Europea e rivolto a giovani inoccupati fra i 15 e i 29 anni. In collaborazione con la Regione Lazio è stata avviata un’attività di ricerca su un campione di 317 giovani che avevano da poco terminato le attività previste dal Programma (orientamento, formazione, bonus per le imprese, tirocinio), con l’obiettivo di analizzare il ruolo svolto dalla perceived employability, definita come la percezione che l’individuo ha circa le proprie possibilità di ottenere un impiego, nel mediare la relazione tra risorse personali ed esiti occupazionali da un lato, e valutazione del programma dall’altro. I risultati dello studio confermano la mediazione della perceived employability nella relazione tra risorse personali ed outcomes evidenziando il ruolo cruciale che hanno le percezioni circa le proprie possibilità di trovare un nuovo lavoro nel convogliare le risorse a disposizione dell’individuo verso esiti occupazionali favorevoli e percezioni più favorevoli del programma
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