34 research outputs found
Globalization and Economic Crisis
This book derives from a fortunate series of research seminars held at the University of Salento during 2011. They were devoted to the theme “Globalization and Economic Crisis”. The seminars were organized by the two editors, Cosimo Perrotta and Claudia Sunna, and by the Centre for Economic Studies, for the Degree Course of Political Sciences, of the University of Salento.
Those meetings provided a world survey of general processes of globalization together with specific analysis of regional contexts. The latter approach allows to see the effects of these processes in very different national contexts. The collection of all these written texts will be certainly useful to people interested in this topic
Chi ha paura della teoria dello sviluppo?
ItQuesto articolo propone uno schema per una visione unitaria del pensiero sullo sviluppo economico dagli inizi ad oggi. Nell'antica Grecia e nel Medioevo solo un pugno di pensatori elogiò lo sviluppo, o alcuni suoi aspetti, in coincidenza con momenti di forte sviluppo dell'economia reale. Fino all'inizio dell'età moderna dominò l'ostilità di Aristotele per lo sviluppo, la sua condanna del desiderio di arricchire e la sua convinzione, propria di un'economia statica, che l'arricchimento di uno fosse l'impoverimento di un altro. Nel sec. XV iniziò un lungo processo di legittimazione del desiderio egoistico di ricchezza come la vera causa dello sviluppo. Nel sec. XVI, laddove il capitalismo stava decollando, si affermò una cultura favorevole ai progetti mercantilisti di sviluppo nazionale. Ma solo con gli illuministi, e soprattutto con Smith, si arrivò a una teoria generale dello sviluppo. Tuttavia la teoria di Smith trascurava l'investimento in capitale umano, che proprio allora stava diventando il motore dello sviluppo. Gli economisti classici aggravarono questa carenza con la legge del salario al limite di sussistenza. Per di più essi rigettarono le tesi del sottoconsumo, di Sismondi e Malthus, senza però fornire alcun argomento valido contro di esse. La spiegazione offerta da J.S. Mill del business cycle confonde le crisi strutturali con le fluttuazioni di mercato e non risolve il problema del sottoconsumo, dovuto ai bassi salari. Tuttavia gli economisti successivi, compresi i più grandi teorici dello sviluppo (Marx, Schumpeter e Keynes) hanno abbracciato la tesi di Mill e, così, si sono preclusi la possibilità di elaborare una teoria dello sviluppo di lungo periodo. Infine, le nuove teorie chiamate "economia dello sviluppo", degli anni 1940-70, nonostante avessero dimostrato gli errori della legge dei costi comparati e l'inconsistenza della teoria dell'equilibrio economico generale, vennero emarginate o ridotte a qualche caso speciale della teoria mainstream.EnThis article sketches a global view of the thought on economic development since the beginning up to now. In ancient Greece and the Middle Ages only a few thinkers praised development, or some of its aspects, in the occasion of some strong development in real economy. Until the beginning of the Modern Age, Aristotle's hostility to development dominated, together with his condemnation of the attempt to get rich and his conviction, proper of a static economy, that the enrichment of someone was the impoverishment of some other. In the XV century a long process started that in the end legitimised the selfish tendency towards wealth as the very cause of development. In the XVI century, in the countries of the capitalist take-off a new culture spread, favourable to the mercantilist projects of national development. But only the Enlightenment authors, and Smith above all, provided a general theory of development. Smith, however, neglected the investment in human capital, which in that very period started driving development. Classical economists worsened the previous flaw by formulating the law of wages tending to the subsistence level. Moreover, they rejected Sismondi's and Malthus' underconsumption view, but did not provide any valid argument against it. J.S. Mill's explanation of the business cycle confuses structural crises with market fluctuations. It does not solve the underconsumption problem, due to low wages. Nevertheless all later economists accepted Mill's view, including the greatest theorisers of development (Marx, Schumpeter and Keynes). Then these authors missed the chance of elaborating a long run development theory. The new theories called development economics of the 1940s-1970s - although they showed the flaws of the comparative advantages law and the insubstantiality of the general equilibrium theory - were marginalised and reduced to some special case of the mainstream theory
Il capitalismo è ancora progressivo?
This book explains the nature of capitalism both as a production system and as a historical process. Capitalism has superseded the systems based on rent and privileges, has freed up enterprise, brought in competition, set merit above corporative relations and patronage; has created a steady increase in wealth. The process has generated the development of the middle classes, a critical culture civil rights and democracy. However, the pursuit of profit has always tended to op-press the weaker categories and rob the less advanced economies. These two contrary trends cannot coexist indefinitely. Today the essential clash is between welfare for all and neoliberalism, based on increasing inequalities, rising financial rents and the exploitation of workers
La tradizione europea del pensiero economico
Spalletti \ue8 segretario organizzativo, membro del collegio dei docenti del dottorato e co-curatore della cotutela del titolo di dottorato con l'Universit\ue0 Sorbona di Parigi.
Lo scopo \ue8 formare studiosi con una preparazione adeguata alla complessit\ue0 che la ricerca nella Storia del pensiero economico ha raggiunto negli ultimi anni, conformemente anche con le nuove funzioni che la disciplina ha assunto nella formazione di economisti e scienziati sociali. La Storia del pensiero economico svolge infatti il ruolo di riflessione critica sui fondamenti della teoria economica; di riconoscimento dell\u2019influenza esercitata dall'evoluzione delle altre scienze; di approfondimento della teoria che nasce dall\u2019inquadramento del contesto culturale e storico che l\u2019ha determinata. In altre parole, la Storia del pensiero contribuisce a mantenere viva la tradizione europea di considerare la scienza economica come una scienza sociale. Tuttavia i corsi di laurea attuali non sono in grado di fornire un\u2019adeguata preparazione alla ricerca \u2013 ed eventualmente all\u2019insegnamento universitario \u2013 in questo settore. La materia richiede sia la conoscenza della teoria economica contemporanea (non fornita dai corsi di laurea propriamente umanistici) sia un\u2019adeguata preparazione alla ricerca storica (non fornita dai corsi di laurea in economia). Studi recenti hanno messo in evidenza i limiti di un approccio alla Storia del Pensiero economico confinato alla tradizione nazionale (considerata come un\u2019esperienza isolata poich\ue9 sovente gli Italiani studiano gli economisti italiani, i Tedeschi studiano gli economisti tedeschi etc.) ovvero alla tradizione anglosassone dominante. Ci\uf2 ha fatto passare in secondo piano interessanti correnti di pensiero che hanno avuto meno fortuna, o che sono legate a realt\ue0 nazionali diverse. La diffusione delle idee economiche tra i Paesi europei e la ricostruzione delle reti internazionali di
collaborazione e di influenze costituiscono i campi di ricerca pi\uf9 innovativi e interessanti e sono ancora quasi interamente da esplorare. In particolare i rapporti tra Germania, Francia, Spagna e Italia sono tutti da ricostruire. Occorre, dunque, essere pronti ad accogliere le indicazioni provenienti dalla Comunit\ue0 scientifica internazionale, che gi\ue0 da tempo ha cominciato a interrogarsi sui meccanismi di trasferimento delle idee economiche attraverso i confini nazionali. Proprio l'istituzione scientifica pi\uf9 autorevole in materia, la Societ\ue0 Europea per la Storia del pensiero economico (ESHET), ha organizzato nel 1999 il convegno: "National Traditions in Economic Thought and the Diffusion of Ideas". Si tratta di filoni di ricerca che richiedono una complessa preparazione (disciplinare e linguistica) per essere adeguatamente affrontati. Non esistono dottorati in Europa che abbiano queste caratteristiche di apertura internazionale e di interdisciplinarit\ue0 tra economia e storia. In Italia i giovani studiosi/e che nutrono interesse in questo campo vi accedono generalmente tramite dottorati in economia e sono costretti ad acquisire faticosamente e isolatamente la strumentazione necessaria e a dedicare tempo e risorse ad approfondire conoscenze che non sono funzionali ai loro interessi di ricerca. Inoltre l\u2019alta specializzazione di questo dottorato, che ha quasi come solo sbocco professionale la ricerca, rende efficiente la scelta di concentrare gli sforzi tra diversi Paesi in un unico corso di studio a valenza internazionale
"La scienza è una curiosità". Scritti in onore di Umberto Cerroni
Raccoglie saggi scientifici di giuristi, filosofi, politologi, storici del pensiero economico, sociologi, teorici politici; tutti allievi di Umberto Cerroni, illustre scienziato della politica e del diritto. Contiene anche la bibliografia delle principali pubblicazioni di U. Cerroni
The four 18th century streams on productive labour
This article first recalls our previous research on the original approach on productive labour, which goes from Petty to Genovesi (1767). That approach, being mainly empirical, divided jobs into more or less productive. The other most important approaches came later: Quesnay founded productive labour on surplus, Condillac on utility, Smith on exchange value. All of them gave the concept a more rigorous, but also more rigid shape: jobs were divided into productive or unproductive once and for all. Moreover social utility and productive nature of labour became separated qualities. Smith’s concern was to fight the waste of the aristocrats, which fed unproductive labour and subtracted resources from investment and productive labour. But for Smith public services and intellectual labour are unproductive because their product is not material. So, he puts the seeds of the dissolution of his own theory. The following decades witness a confrontation between the physiocratic and the Smithian approach. In the end the latter prevails, but its inconsistencies emerge