5 research outputs found

    The bacterial toxin CNF1 as a tool to induce retinal degeneration reminiscent of retinitis pigmentosa.

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    Retinitis pigmentosa (RP) comprises a group of inherited pathologies characterized by progressive photoreceptor degeneration. In rodent models of RP, expression of defective genes and retinal degeneration usually manifest during the first weeks of postnatal life, making it difficult to distinguish consequences of primary genetic defects from abnormalities in retinal development. Moreover, mouse eyes are small and not always adequate to test pharmacological and surgical treatments. An inducible paradigm of retinal degeneration potentially extensible to large animals is therefore desirable. Starting from the serendipitous observation that intraocular injections of a Rho GTPase activator, the bacterial toxin Cytotoxic Necrotizing Factor 1 (CNF1), lead to retinal degeneration, we implemented an inducible model recapitulating most of the key features of Retinitis Pigmentosa. The model also unmasks an intrinsic vulnerability of photoreceptors to the mechanism of CNF1 action, indicating still unexplored molecular pathways potentially leading to the death of these cells in inherited forms of retinal degeneratio

    Neurotrophin-conjugated nanoparticles prevent retina damage induced by oxidative stress

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    Glaucoma and other optic neuropathies are characterized by a loss of retinal ganglion cells (RGCs), a cell layer located in the posterior eye segment. Several preclinical studies demonstrate that neurotrophins (NTs) prevent RGC loss. However, NTs are rarely investigated in the clinic due to various issues, such as difficulties in reaching the retina, the very short half-life of NTs, and the need for multiple injections. We demonstrate that NTs can be conjugated to magnetic nanoparticles (MNPs), which act as smart drug carriers. This combines the advantages of the self-localization of the drug in the retina and drug protection from fast degradation. We tested the nerve growth factor and brain-derived neurotrophic factor by comparing the neuroprotection of free versus conjugated proteins in a model of RGC loss induced by oxidative stress. Histological data demonstrated that the conjugated proteins totally prevented RGC loss, in sharp contrast to the equivalent dose of free proteins, which had no effect. The overall data suggest that the nanoscale MNP-protein hybrid is an excellent tool in implementing ocular drug delivery strategies for neuroprotection and therapy

    Laboratory approaches to Retinitis Pigmentosa: novel therapeutic strategies and animal models

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    Col termine Retinite Pigmentosa (RP) si designa un gruppo di patologie ereditarie dovute a mutazioni che avvengono di solito in geni fotorecettore-specifici e che portano alla morte primaria dei bastoncelli, necessari alla visione scotopica. In seguito anche i coni, responsabili della visione fotopica e dei colori degenerano progressivamente, per cui l’esito di questa patologia è la cecità. La terapia genica, che permette la sostituzione del gene mutato con una copia sana, rappresenta l’unica cura propriamente detta per le malattie genetiche; tuttavia data l’estrema eterogeneità dei geni di cui più di 60 noti al momento attuale e delle centinaia di mutazioni che possono causare la RP è necessario mettere a punto terapie alternative per il trattamento di questa patologia. Nei pazienti la patologia di solito è diagnosticata intorno all’adolescenza e tra la comparsa dei primi sintomi e la perdita della totale della vista possono passare diversi anni. Tra i vari approcci terapeutici in fase di attiva sperimentazione alcuni mirano a rallentare ulteriormente il decorso della malattia consentendo ai pazienti di guadagnare anni di visione utile. Rallentare la morte dei fotorecettori può offrire anche un altro vantaggio in quanto la conservazione della retina in salute mantiene comunque aperte le possibilità per i pazienti di essere sottoposti con successo a nuove ed eventuali forme di trattamento basate sull’integrità della circuiteria neuronale retinica (i.e. le protesi elettroniche) Scopo di questa tesi è stato appunto investigare un paradigma sperimentale che si è già dimostrato in grado di rallentare la degenerazione dei fotorecettori in un modello di RP, il mutante murino rd10 (Barone et al., 2012, Barone et al., 2014). Il paradigma usato consiste nell’esporre gli animali da laboratorio ad Arricchimento Ambientale (AA), una manipolazione basata sulla aumentata stimolazione di tipo sensoriale, sociale e motorio. In una prima fase dello studio abbiamo analizzato alcune delle componenti dell’AA per capire se l’effetto positivo fosse da ascrivere principalmente ad un aspetto particolare di questo paradigma sperimentale. Si sono studiate sia l’attività fisica volontaria che l’effetto delle cure materne, notoriamente aumentate in ambiente arricchito. I risultati del nostro studio hanno mostrato che entrambe queste componenti sono in grado di rallentare la degenerazione dei fotorecettori nei topi rd10, rispetto ai controlli tenuti in condizioni di stabulazione standard (ST), ma che l’AA completo ha un effetto maggiore sulla sopravvivenza dei fotorecettori. Per conoscere i meccanismi alla base degli effetti positivi dell’AA, in collaborazione con l’unità di genomica della Fondazione Pisana per la Scienza, abbiamo eseguito un’analisi del trascrittoma di retine provenienti da animali wild type (WT), rd10 ST ed rd10 AA a due punti temporali biologicamente significativi per il modello rd10, ossia al picco di morte dei bastoncelli e a quello dei coni, rispettivamente 24 e 45 giorni dopo la nascita. I risultati conseguiti hanno mostrato in entrambi i punti temporali sia dati attesi, già noti dalla letteratura, come la diminuzione di espressione di geni specifici dei fotorecettori negli rd10, che dati nuovi, in particolare la marcata attivazione della risposta immunitaria e infiammatoria nelle retine degeneranti. Abbiamo anche osservato che le retine AA mostravano un livello di espressione minore di queste molecole proinfiammatorie; pertanto, abbiamo ulteriormente indagato questo aspetto con la qRT PCR, una metodica particolarmente sensibile a variazioni di espressione genica. Sono state utilizzate piastre predisposte per l’analisi contemporanea di 84 geni appartenenti ai pathways delle citochine e chemochine. I risultati ottenuti hanno confermato i dati preliminari dei trascrittomi: la componente infiammatoria presente nelle retine rd10 ST risultava ridotta nelle retine AA; in particolare al picco della morte dei coni si osservava una reversione dell’espressione genica del mutante rd10 AA a livelli molto vicini a quelli dei WT. Analisi morfologiche delle retine a P45 hanno mostrato una minore attivazione delle cellule microgliali negli AA rispetto agli ST. Nell’insieme, i dati morfologici e biomolecolari permettono di espandere risultati precedenti che dimostravano come l’allevamento in ambiente arricchito stimoli una maggiore sopravvivenza dei fotorecettori nel mutante rd10, modello di Retinite Pigmentosa autosomico recessiva; in aggiunta, si può affermare che l’aumentata sopravvivenza di queste cellule si associa ad una diminuita espressione di markers molecolari dell’infiammazione e della risposta immunitaria, che comunque si rivela una determinante fondamentale e finora poco conosciuta di questa patologia. Gli studi condotti aprono nuove prospettive nel management di questa patologia, tuttora incurabile. Un'altra parte della tesi è stata rivolta allo sviluppo di un modello inducibile di RP ottenuto tramite l’iniezione di una tossina batterica, il cytotoxic necrotizing factor 1 (CNF1). La necessità di generare un modello di questo tipo è emersa dal fatto che nei comuni modelli genetici di RP, tra cui il mutante rd10, la degenerazione retinica si sovrappone temporalmente alle ultime fasi dello sviluppo della retina. Un modello inducibile offre dei vantaggi in termini di analogia alla patologia umana, in particolare permette: da un lato di indurre la degenerazione retinica in animali adulti, avvicinandosi ad una condizione più simile a quella dei pazienti umani, dall’altro di usare animali taglia maggiore permettendo di testare trattamenti farmacologiche in occhi di dimensioni più vicine a quelle umane. Il modello indotto presenta interessanti analogie con la patologia umana e in più, basandosi sull’impiego di una tossina con bersagli molecolari conosciuti, apre la strada alla possibilità di indentificare nuovi geni-malattia responsabili per forme di RP ancora senza una base genetica nota

    Analisi del ruolo del fattore di trascrizione Xbh1 nel patterning neurale durante l'embriogenesi di Xenopus laevis

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    L’oggetto del tirocinio è stato indagare l’effetto del gene Xbh1 sul patterning e sulla formazione della piastra neurale in Xenopus laevis . Il gene Xbh1 è l’omologo di Xenopus del gene Bar H di Drosophila melanogaster. Il suo prodotto genico, la proteina Xbh1, è un fattore di trascrizione contenente un omeodominio. Xbh1 è espresso a partire dallo stadio di neurula. Trascritti di Xbh1 sono rilevati inizialmente in una ristretta regione corrispondente al diencefalo presuntivo e in una regione più posteriore della piastra neurale e del mesoderma dorsale in corrispondenza della linea mediana ( Offner et al 2005).; successivamente l’espressione si estende ad altre aree dell’encefalo mesencefalo e rombencefalo (Patterson et al., 1999). L’espressione a livello del mesoderma sembra correlata con fenomeni di EPCD ( early programmed cell death) che coinvolgono le cellule della piastra neurale ( Offner et al. 2005). A partire da bottone caudale (st. 26), Xbh1 viene anche espresso nella retina presuntiva; in questo contesto, esperimenti svolti nel nostro laboratorio hanno dimostrato che Xbh1 svolge un importante ruolo nella specificazione delle cellule gangliari (Poggi et a., 2004). La proteina Xbh1 è soggetta a sumoilazione, una modificazione post-traduzionale che media vari processi quali la localizzazione nucleare, le interazioni proteina-proteina e la modulazione dell’attività di fattori di trascrizione. La sumoilazione avviene preferenzialmente, ma non esclusivamente, a carico di specifici siti di lisina (K) presenti in sequenze amminoacidiche definite sequenze canoniche di sumoilazione, la cui successione amminoacidica è Ψ( Psi)KXE. In corrispondenza di tali sequenze, un polipeptide di circa 100 aa, detto SUMO (small ubiquitin-related modifier) viene legato covalentemente alla proteina, ad opera di enzimi specifici. Esperimenti su cellule in coltura hanno confermato l’esistenza di quattro siti potenzialmente sumoilabili, due canonici e due non canonici. L’eliminazione, per mutagenesi sito-diretta, dei due siti canonici di sumoilazione, abolisce completamente l’attività di Xbh1 in retina. Il presente lavoro di tesi mira a chiarire il possibile ruolo di Xbh1 sui geni del patterning espressi nella piastra neurale, estendendo i risultati ottenuti da Offner et al. (2005). Mi sono dedicata ad esperimenti di microiniezione di mRNA di Xbh1 e ho verificato se la sua sovraespressione alterasse il pattern di diversi marcatori neurali precoci allo stadio di neurula (st. 15-16). In particolare ho esaminato Xotx2 (espresso inizialmente nella porzione anteriore della piastra neurale e a stadi più avanzati nel proencefalo, nel mesencefalo e nella retina), Xen2 (omologo di engrailed di Drosophila, espresso al confine tra mesencefalo e rombencefalo), Xkrox20 (espresso in due territori distinti già dallo stadio di neurula che diventeranno i rombomeri 3 e 5), Rx1 e Pax 6 (entrambi espressi nel territorio presuntivo della retina) e due marcatori pan neurali Xsox2 e N tubulina. I risultati ottenuti dimostrano un generale effetto inibitorio di Xbh1 sugli altri geni presi in esame, anche se con alcune eccezioni per i marcatori del campo dell’occhio. Dato che è stato dimostrato un ruolo importante della sumoilazione sulla attività biologica di Xbh1 nel differenziamento dei progenitori retinici, ho utilizzato dei costrutti mutanti di Xbh1in cui i siti di sumoilazione sono stati mutagenizzati nei residui di lisina dove normalmente avviene l’attacco di SUMO. I corrispondenti mRNA sono stati iniettati negli embrioni, allo scopo di verificare se la sumoilazione sia necessaria per l’attività e gli effetti di Xbh1 in piastra neurale. Inoltre ho prodotto costrutti mutanti per altri siti di sumoilazione non canonici e ho risultati preliminari anche per l’iniezione di questi mutanti
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