8 research outputs found

    Note sulla biblioteca jacksoniana

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    Fra l'eterogenea umanitĂ  che nella prima metĂ  del XVIII secolo componeva la "Nazione Inglese" a Livorno e includeva mercanti, agenti, ricevitori, marinai e molti altri, fa spicco un personaggio che sebbene avesse operato nella cittĂ  labronica dapprima come funzionario consolare e poi come mercante, Ăš passato alla storia soprattutto per le sue doti di bibliofilo colto e pertinace e per la doviziosa collezione di libri e di manoscritti che seppe raccogliere in oltre quarant'anni di ricerche sia in Italia sia all'estero. Il personaggio in questione Ăš George Jackson, fondatore e possessore della preziosa raccolta privata nota appunto come "Libreria o Biblioteca Jackson"

    Joyce antifemminista?

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    Questo saggio ha per oggetto la posizione di Joyce nei confronti del femminile, di cui vengono rilevate le contraddizioni, particolarmente in rapporto ai romanzi autobiografici giovanili, e le motivazioni connesse al rifiuto del conformismo borghese e alle esigenze di emancipazione dalla famiglia, dalla religione e dall'Irlanda

    Il Salotto mentale di Prufrock

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    Nel Convivio Dante scrive che «sanza conversazione o familiaritade impossibile Ú a conoscere li uomini» [Conv. I, vi, 10] e direi che questa affermazione Ú particolarmente vera nel caso del «Love Song of J. Alfred Prufrock» [Eliot 1974 (1963)]. Il titolo del poemetto infatti introduce con nome e cognome un personaggio il quale, tuttavia, rimane per chi legge un illustre sconosciuto finché, per gradi, non si svela appunto conversando; poco importa che lo «you» al quale si rivolge altro non sia se non il risultato di uno sdoppiamento della sua personalità schizoide

    "Limina": considerazioni sul paratesto

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    Dal nome (“Seuil”) della casa editrice presso la quale ha pubblicato diverse opere, Genette ha mutuato il titolo (Seuils) per uno studio sul paratesto nel quale tale nome designa metaforicamente non solo la posizione del paratesto stesso rispetto al testo ma anche la sua funzione. Esso infatti, se da un lato comprende tutto ciĂČ che demarca e circonda il testo - il nome dell'autore, il titolo, il sottotitolo, il nome della collana e della casa editrice, la veste editoriale, le dediche, le epigrafi, i titoli o la suddivisione numerica dei capitoli, gli intertitoli, l'introduzione, la prefazione, le note autoriali, ecc. - dall'altro consente o almeno facilita l'accesso al testo medesimo orientando l'atteggiamento del lettore nei suoi confronti. Tutti questi elementi, ai nostri giorni in misura molto piĂč rilevante che in passato a causa di una serie di modificazioni epocali e culturali, identificano il testo e contemporaneamente adempiono al loro stesso compito istituzionale di incuriosire, attirare, sedurre il potenziale lettore, condizionandone altresĂŹ, spesso soltanto a livello inconscio) le modalitĂ  di fruizione

    Industrialism as "tragedy of ugliness": D.H. Lawrence's ecological consciousness

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    «It was in 1915 the old world ended», wrote D.H. Lawrence in Kangaroo (1923). According to Virginia Woolf’s (Mr Bennett and Mrs Brown, 1924), it was instead «In or around December, 1910, [that] human character changed». To grasp the meaning of the ‘end’ or ‘change’ announced by these two Modernist writers, it is perhaps sufficient to mention here their intimate reaction against the exasperated materialism of the 19th century. In fact they wrote their works of rupture – and in a ‘language of rupture’ – a few decades after the deflagrating echo of the triumph of progress in England (celebrated in 1851 by means of the daring architectural structure of the Crystal Palace built for the Great Exhibition of London), after the 19th century boom in industrial production, after the rapid expansion of railway lines all over the country and the increase in British merchant navy tonnage, after the frantic growth of industrial areas and, consequently, the multiplication of the slums where the masses of citified workers coming from the country were forced to live

    «Stairs», «Steps», «Staircases»: dislivelli epifanici per il lettore di Joyce

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    Insieme ad altri elementi costruttivi ad esse collegati funzionalmente e architettonicamente – quali la rampa, il pianerottolo, i gradini, il parapetto, il corrimano – le scale costituiscono uno degli elementi spaziali che spesso (e da sempre) il lettore incontra non solo nelle arti visive e nel teatro, ma anche nella narrativa e nella poesia. Soprattutto nella produzione letteraria del Novecento, esse non rappresentano mai un dettaglio introdotto a puri fini descrittivi o narrativi, ma sono messe al servizio della strategia autoriale. E dunque se, per usare le parole di Zoran, ù indubbiamente vero che lo spazio “is first and foremost a central aspect of the world, whether real or fictional and in whatever medium it may be transmitted”1, pure le scale, in quanto parti integranti dello spazio in cui si colloca il “mondo” evocato dal testo, possono costituire un elemento centrale per la semiosi e per l’esegesi del testo stesso

    Canone e contro-canone nel romanzo inglese del Settecento: il paratesto in Defoe e Sterne

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    This essay focuses on the important, explicative and seductive role performed by paratextual elements in the 18th century English novel that addressed to an audience mainly composed of the rising middle class. Through an analytical reading of a series of title pages, first it investigates the narrative and proleptic strategies invented by Daniel Defoe and turned into the epochal canon; then it points out how that canon was later subverted and parodied in the paratext (as well as in the text) of Tristram Shandy by Laurence Sterne, a great and innovative writer who was to remain an isolated phenomenon until the beginning of the 20th century

    IASIL Bibliography 2014

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