27 research outputs found

    Citizens of Europe

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    Il titolo della collana esprime la volont\ue0 di approfondire i profili legati al processo di integrazione europeo, non ignorandone i risvolti pi\uf9 discutibili e burocratici ma sapendo guardare al di l\ue0 di essi, nella logica che traspare dal gioco di assonanze indicato dal titolo. In questo terzo volume Citizens of Europe, dedicato ai temi delle identit\ue0 e della cittadinanza culturale, viene in rilievo la tensione tra i limiti delle politiche, culturali e di cittadinanza, perseguite dalla UE e l\u2019imporsi progressivo \u2013 malgrado le cupe ombre proiettate dalla drammatica attualit\ue0 \u2013 di una pi\uf9 ampia nozione di \u2018cittadinanza d\u2019Europa\u2019, scandita in particolare da quei recenti strumenti giuridici del Consiglio d\u2019Europa attraverso i quali l\u2019afflato europeo, non imprigionato nelle pastoie dei meccanismi della EU citizenship, si sviluppa pi\uf9 significativamente

    Quali strumenti giuridici statali e regionali per le comunit\ue0 patrimoniali?

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    The Framework Convention on the Value of Cultural Heritage for Society (Faro Convention, 2005) recognizes a central role to heritage communities in the process of identification, study, interpretation, protection, conservation and presentation of the cultural heritage. As a signatory State of the Convention (signed on 27th February 2013, still waiting for ratification), Italy has in any case to ensure its contribution to the safeguarding of the tangible and intangible cultural heritage by adequate policies. Currently, a State law providing a general regulation of the participation of civil society to the protection and the enhancement of cultural heritage in the Italian legal system has not been adopted yet. Nevertheless, communities, groups and individuals have a wide range of instruments available, which can be drawn by an accurate interpretation of the Constitution and of many State and regional laws. In the long run, the persistent lack of common rules on this subject may be a source of uncertainty, capable of weakening, instead of strengthening, the role of heritage communities, in contrast with the principles of the Faro Convention

    The Italian Draft Law on the \u2018Provisions Concerning the Safeguarding of the Intangible Cultural Heritage\u2019

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    Intangible cultural heritage in Italy is still in need of a unified approach, capable of providing reliable criteria for identifying its assets and for indicating timescales and means by which they should be safeguarded. In the continued absence of up-to-date, ad hoc state legislation (since the content of those laws which do implement international Conventions is too generic in nature to be sufficiently effective), the Regions have proceeded to act in a somewhat scattered manner, giving rise to an extremely fragmented and very disorderly regulatory framework. The draft law N. 4486, "Provisions Concerning the Safeguarding of the Intangible Cultural Heritage", presented on 12th May 2017 at the Chamber of Deputies of the Italian Republic - as the result of the work of an interdisciplinary and inter-university research team coordinated by Marco Giampieretti, who has drafted the final text with the collaboration of Simona Pinton - seeks to fill the serious void that exists in Italian legal system by aligning it to the principles of international and European law, by redirecting the relevant State and Regional legislation, and by satisfying the fundamental requirements of the national community

    Diritti in campo. Una lettura costituzionale del “caso Djokovic”

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    Il numero uno del tennis mondiale, Novak Djokovic, è stato respinto al suo arrivo in Australia all’inizio del 2022, non essendo vaccinato contro il CoViD-19. La sua espulsione è stata disposta dal governo federale per tutelare “la salute e il buon ordine” della comunità australiana, non perché egli fosse potenzialmente contagioso, ma per le sue dichiarate opinioni no vax e per alcune sue precedenti condotte poco rispettose delle prescrizioni volte a contenere il virus. Alla base della decisione c’è l’idea che i campioni dello sport abbiano una “speciale responsabilità” rispetto agli altri individui – soprattutto in situazioni di emergenza come una pandemia – per la particolare influenza che esercitano le loro parole e le loro azioni. La vicenda, divenuta un “caso politico” in ragione della popolarità del personaggio e delle polemiche che ha innescato, solleva delicate questioni giuridiche che mettono in gioco valori costituzionali comuni a tutto il mondo occidentale

    Articolo 42 della Costituzione

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    La disciplina della propriet\ue0 \u2013 cio\ue8 dell\u2019istituto che regola le forme del dominio sui beni (mobili o immobili, materiali o immateriali) \u2013 riflette, nelle sue strutture e nelle sue articolazioni, il sistema dei rapporti economici e sociali caratteristico di ciascuna epoca storica. Nella Costituzione italiana la propriet\ue0 \ue8 disciplinata all\u2019art. 42, all\u2019interno di un titolo, quello dei \uabrapporti economici\ubb, dove nessuna situazione \ue8 formalmente assistita dall\u2019attributo dell\u2019\uabinviolabilit\ue0\ubb. Secondo alcuni, ci\uf2 sarebbe il frutto di una scelta tendente ad assicurare la prevalenza dell\u2019interesse sociale su quello individuale; scelta rafforzata dalla presenza nella disposizione di una clausola generale relativa alla \uabfunzione sociale\ubb del diritto di propriet\ue0: il che farebbe ritenere che nella scala delle tutele costituzionali a tale diritto sia stato assegnato un posto inferiore a quello di qualsiasi altro diritto fondamentale. Secondo altri, invece, esso sarebbe comunque riconducibile ai \uabdiritti inviolabili dell\u2019uomo\ubb di cui all\u2019art. 2 Cost., rientrando appieno nel loro regime di garanzia, non diversamente da quanto avviene nel diritto internazionale ed europeo, nei quali la propriet\ue0 \ue8 generalmente considerata intangibile e compresa tra i diritti fondamentali della persona, fatto salvo il potere degli Stati di disciplinarla in modo conforme all\u2019interesse generale. L\u2019art. 42 co. 1 dice che la propriet\ue0 \ue8 \uabpubblica o privata\ubb e pu\uf2 appartenere \uaballo Stato, ad enti o a privati\ubb. Si ripropone cos\uec anche a livello costituzionale quella molteplicit\ue0 degli statuti proprietari, presente nella legislazione ordinaria sia precedente sia successiva alla Costituzione, che ha indotto la dottrina privatistica a concludere che la parola \uabpropriet\ue0\ubb non ha oggi, se mai ha avuto, un significato univoco. Circa la formula contenuta nella prima parte della disposizione, si \ue8 detto che essa intenderebbe affermare una dignit\ue0 della propriet\ue0 pubblica analoga a quella della propriet\ue0 privata. Per effetto di tale previsione, il sistema costituzionale italiano sarebbe caratterizzato dalla necessaria compresenza dei due regimi proprietari, senza pregiudicare il modo in cui ciascuno di essi viene internamente articolato: nulla dice infatti la Costituzione circa le dimensioni e le caratteristiche dei due settori, dovendosi ritenere che il legislatore sia libero di definirne l\u2019ampiezza e di configurare secondo schemi diversi la regole dell\u2019appartenenza pubblica e privata dei beni. Nello stesso sembra andare anche il diritto europeo (art. 295 TCE), in cui si afferma il principio di indifferenza dell\u2019Unione rispetto al regime di propriet\ue0 esistente negli Stati membri. Quanto alla disciplina della propriet\ue0 privata stabilita dal co. 2, l\u2019opinione prevalente in dottrina e in giurisprudenza \ue8 che il legislatore goda di un\u2019ampia discrezionalit\ue0 nella restrizione delle facolt\ue0 del proprietario in forza della clausola, dal contenuto sostanzialmente indeterminato, della \uabfunzione sociale\ubb. Non si tratterebbe peraltro di una discrezionalit\ue0 assoluta, essendo le sue scelte sindacabili dalla Corte costituzionale sotto il profilo della \u201cnon-irragionevolezza\u201d degli interventi limitativi o conformativi della propriet\ue0 operati mediante il ricorso a tale clausola e fermo restando, in ogni caso, il necessario rispetto del \u201ccontenuto essenziale\u201d del diritto, inteso come soglia di \u201coperativit\ue0 minima\u201d dello stesso nel bilanciamento con altri interessi costituzionali. Con specifico riferimento al tema dell\u2019espropriazione di cui al co. 3, si registra infine una crescente attenzione della giurisprudenza costituzionale alla tutela dei proprietari privati nei confronti degli interventi autoritativi della pubblica amministrazione, sia nell\u2019astratta individuazione delle fattispecie espropriative sia nella concreta determinazione dell\u2019indennizzo, in linea con i principi enunciati dalla Corte europea dei diritti dell\u2019uomo

    La salvaguardia del patrimonio culturale italiano tra identit\ue0 e diversit\ue0

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    Nel processo di costruzione di un\u2019\u201cEuropa della cultura\u201d, alla luce del nuovo spirito del Trattato di Lisbona, l\u2019Italia pu\uf2 e deve certamente giocare un ruolo di primo piano. Non tanto (o non solo) perch\ue9 depositaria di un patrimonio culturale, materiale e immateriale, immenso e capillarmente diffuso, sulla cui salvaguardia e sul cui sviluppo l\u2019Unione europea ha il dovere di \uabvigilare\ubb (art. 3 co. 3 TUE), quanto (soprattutto) perch\ue9 essa \ue8 caratterizzata da una ricchissima diversit\ue0 culturale e linguistica, frutto della propria storia e della propria posizione geografica, che costituisce una risorsa \u2013 e al tempo stesso una sfida \u2013 per l\u2019intero continente. Quella italiana \ue8 in effetti un\u2019identit\ue0 multiculturale per eccellenza, fatta di somiglianze e di differenze (di idiomi, tradizioni, stili di vita e di lavoro ecc.) che si intrecciano, si scompongono e si ricompongono di continuo, stante la molteplicit\ue0 delle culture, autoctone e non, presenti da sempre nelle varie parti della penisola. L\u2019elevato pluralismo culturale che caratterizza il nostro Paese (e che \ue8 andato arricchendosi negli ultimi anni per l\u2019intensificarsi dei fenomeni migratori dal Nord Africa e dall\u2019Est Europa) lo ha portato ad elaborare uno specifico sistema di tutela e valorizzazione del patrimonio storico-artistico, attento alle sue peculiarit\ue0 e ai suoi legami con il territorio, e di protezione delle minoranze linguistiche, incentrato sul riconoscimento ai loro appartenenti di sempre maggiori diritti culturali e politici. Assai pi\uf9 prudente, almeno finora, \ue8 stato invece il legislatore italiano nell\u2019attribuire diritti collettivi a gruppi e comunit\ue0, per quanto minoritari, nella consapevolezza che essi possono rivelarsi anche formidabili centri di potere, capaci di esercitare forme di oppressione non meno gravi di quelle provenienti dal potere pubblico. Posto che la tutela giuridica delle minoranze costituisce una grande e irreversibile conquista storica dell\u2019Italia e di molti altri Paesi europei, il valore centrale della nostra Costituzione rimane pur sempre la persona umana, con la sua dignit\ue0 e i suoi diritti, al cui servizio si pongono tutte le istituzioni pubbliche e private. Se si vuole assicurare il libero sviluppo della persona e la sua piena autonomia in ogni campo della vita, compreso quello culturale, bisogna concederle diritti nei confronti delle collettivit\ue0 di cui fa parte prima di concedere diritti alle collettivit\ue0 che possano poi farli valere, direttamente o indirettamente, nei confronti dei propri membri o di soggetti esterni. Il problema decisivo della politica culturale italiana, cos\uec come di quella europea, non \ue8 dunque tanto il riconoscimento di diritti collettivi all\u2019identit\ue0 e/o alla diversit\ue0 culturale, che possono alimentare particolarismi e fondamentalismi di ogni genere spingendo alla frammentazione sociale e alla ghettizzazione, quanto l\u2019effettiva garanzia di esercizio del diritto alla cultura e all\u2019identit\ue0 culturale di ogni individuo, che si realizza attraverso l\u2019esperienza della diversit\ue0 (politica, sociale, culturale, linguistica, religiosa ecc.) e rappresenta una condizione indispensabile per un autentico dialogo interculturale. Purtroppo, proprio quando sarebbe chiamata a contribuire all\u2019elaborazione di una \u201ccostituzione culturale europea\u201d portandovi la propria tradizione, costituzionale e legislativa, di tutela e valorizzazione del patrimonio culturale e di protezione e promozione delle diversit\ue0 culturali, l\u2019Italia appare quasi bloccata, prigioniera di incertezze sulle scelte da compiere e le soluzioni da adottare, con il rischio di presentarsi disarmata al confronto e pronta ad appiattirsi su altre concezioni. Vero \ue8 che quello che accadr\ue0 alla cultura italiana negli anni a venire costituir\ue0 un importante banco di prova per l\u2019intera Unione europea. \uc8 anche per questo che le vicende del nostro patrimonio \u2013 costantemente in bilico tra centro e periferia, pubblico e privato \u2013 sono seguite dentro e fuori dall\u2019Italia con attenzione e una certa preoccupazione. Ed \ue8 per questo che i cittadini italiani, e prima ancora chi li governa, devono sentirsi investiti di una grande responsabilit\ue0 \uabnon solo verso la tradizione e la storia, ma pi\uf9 ancora verso le generazioni future\ubb (Settis): la responsabilit\ue0 di costruire, a fianco di un\u2019Europa degli Stati e dei mercati, fondata sulla cooperazione e la concorrenza, un\u2019Europa delle persone e dei popoli, fondata sulla cultura e il patrimonio culturale

    Il sistema italiano di salvaguardia del patrimonio culturale e i suoi recenti sviluppi nel quadro internazionale ed europeo

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    Il \u201cmodello italiano\u201d di salvaguardia del patrimonio culturale, frutto di una lunga tradizione legislativa e amministrativa e incentrato su un rigido controllo pubblico del settore, \ue8 rimasto sostanzialmente integro fino alla fine del Novecento, quando ha iniziato ad incrinarsi sotto la spinta di nuove tendenze culturali e politiche. A partire dagli anni Novanta del secolo scorso si \ue8 infatti progressivamente ridimensionato il ruolo dello Stato nella tutela e nella valorizzazione dei beni culturali. Ci\uf2 \ue8 avvenuto per effetto della combinazione, non sempre del tutto coerente, di due diverse politiche: da un lato, un massiccio conferimento di funzioni alle regioni e agli enti locali (decentramento), allo scopo di rendere pi\uf9 efficace l\u2019azione pubblica nel campo della cultura e di avvicinarla il pi\uf9 possibile ai cittadini; dall\u2019altro, un maggiore coinvolgimento dei privati nella gestione dei beni culturali e paesaggistici (privatizzazione), nel tentativo di favorire la loro partecipazione ad attivit\ue0 di interesse generale, passando da un Welfare State di tipo continentale ad una Welfare Society di ispirazione anglosassone. Si tratta di scelte sostanzialmente condivise da tutti i governi succedutisi alla guida del Paese negli ultimi vent\u2019anni e che hanno trovato accoglimento anche sul piano costituzionale. In realt\ue0, i risultati di questi cambiamenti sono stati molto inferiori alle attese: la nuova ripartizione di competenze tra centro e periferia ha finito per aumentare la conflittualit\ue0 istituzionale e rallentare l\u2019azione amministrativa, indebolendo complessivamente il fronte pubblico a vantaggio di quello privato; la sempre maggiore \u201cmercificazione\u201d dei beni culturali e la loro subordinazione ad esigenze di finanza pubblica hanno determinato inoltre un progressivo allontanamento da quella tradizione italiana della tutela e della valorizzazione che nei secoli ha fatto del patrimonio culturale un elemento portante della nostra societ\ue0 civile. L\u2019impoverimento delle strategie di salvaguardia che ne \ue8 conseguito \ue8 stato in parte compensato dalla crescente influenza del diritto internazionale sul diritto interno, registratasi soprattutto negli ultimi anni. Particolarmente significativo \ue8 stato l\u2019impatto delle Convenzioni UNESCO per la salvaguardia del patrimonio culturale immateriale (Parigi, 2003) e per la protezione e la promozione delle diversit\ue0 culturali (Parigi, 2005). A differenza della cultura materiale, che vanta un\u2019antica e consolidata tradizione di tutela, quella immateriale manca infatti in Italia di una disciplina organica, capace di fornire sicuri criteri di riconoscimento delle sue forme di manifestazione e di indicare tempi e modi per la loro salvaguardia. In assenza di una legge statale di principio, le regioni \u2013 titolari della potest\ue0 legislativa concorrente in materia di valorizzazione dei beni culturali e di promozione delle attivit\ue0 culturali (art. 117 co. 3 Cost.) \u2013 si sono mosse in ordine sparso. Alcune hanno cercato di proteggere e valorizzare gli ambienti, i paesaggi e gli stili di vita e di lavoro tradizionali e con valore identitario per le comunit\ue0 locali mediante la creazione di ecomusei; altre hanno puntato sulla tutela e la valorizzazione dei centri storici e dei borghi antichi o sull\u2019incentivazione e il sostegno delle attivit\ue0 commerciali o artigianali esercitate in botteghe o locali tipici (mestieri tradizionali e locali storici); altre ancora si sono limitate a promuovere la conoscenza e la diffusione degli idiomi (lingue o dialetti) locali. Ad oggi solo la Regione Lombardia si \ue8 dotata di un\u2019apposita normativa sulla valorizzazione del patrimonio culturale immateriale (l.r. 23 ottobre 2008, n. 27), direttamente ispirata alla Convenzione del 2003 e alla relativa legge di ratifica ed esecuzione (l. n. 167/2007). Ne risulta un quadro piuttosto variegato, caratterizzato da una scarsa uniformit\ue0 ma, al tempo stesso, da una grande vitalit\ue0 nella disciplina e nella gestione del patrimonio culturale intangibile, che rende il nostro Paese un laboratorio particolarmente vivace e produttivo di idee e soluzioni in questo campo
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