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    L’azienda familiare nelle aree a forte caratterizzazione produttivo-manifatturiera. Il caso del contesto lapideo Apuoversiliese

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    Il presente elaborato si propone di analizzare il percorso evolutivo e strategico del Distretto lapideo Apuoversiliese degli ultimi decenni, attraverso l’osservazione e l’individuazione delle caratteristiche principali della piccola e media imprenditoria e delle aziende a conduzione familiare, cuore pulsante dei territori a forte vocazione produttiva. Il focus preliminare è orientato su quelle che sono le caratteristiche peculiari della PMI e sui fattori di criticità che caratterizzano questa specifica entità economica della struttura industriale italiana, capace di fondere il nuovo tipo di cultura aziendale con i tradizionalismi della conduzione familiare e della produzione artigiana propria del territorio di riferimento. L’analisi di questa realtà non può semplicemente ricondursi ad una visione in termini quantitativi del fenomeno, cercando di catalogare le aziende in base al numero di addetti, al fatturato o a le prospettive future di crescita; certamente questa rappresenta una elemento importante nel percorso di analisi delle aziende minori ma risulta alquanto riduttivo assoggettare la definizione dimensionale delle aziende ad un paniere predefinito di parametri quantitativi. L’attenzione sarà quindi riposta su quei fenomeni gestionali e organizzativi capaci di esprimere la reale natura e complessità del fenomeno aziendale in grado di influenzare in modo più deciso l’operare di un’impresa. La scelta è quella di procedere seguendo un approccio che si muove con la prospettiva di ricercare fattori che accomunano le piccole e medie imprese in relazione alle determinanti qualitative dimensionali, come quelle istituzionali e ambientali, oppure quelle tecnico-operative e finanziarie. In base a questa prospettiva si delineano i fattori di tipicità che si presumono essere comuni alla gran parte delle PMI identificandone punti di forza e di debolezza. Il fenomeno della piccola e media imprenditoria è strettamente legato all’elemento familiare, sebbene molte grandi imprese private italiane possiedano tale connotazione, le cui dinamiche influenzano fortemente la gestione e la conduzione dell’azienda stessa. La specificità delle imprese famigliari non sono legate unicamente alle caratteristiche dei processi di transizione imprenditoriale e alle problematiche che questi suscitano nella gestione interna, bensì si estende ai percorsi di crescita dimensionale, al comportamento e al rapporto tra la famiglia e l’impresa e alla configurazione culturale d’impresa che da tale rapporto deriva. Sono circa 4.160.000 le aziende familiari attive nel settore dell’industria e dei servizi in Italia nel 2012, come evidenziato nel “Rapporto Unioncamere 2014”, pari all’87% del totale imprenditoriale extra-agricolo, alle quali fanno riferimento ben 13.400.000 addetti, pari al 75% del totale occupazionale di riferimento. All’interno di queste aziende è possibile evidenziare la contemporanea presenza di due istituti distinti, ma strettamente correlati: la famiglia e l’impresa. Nonostante la loro grande rilevanza economica, non esiste ad oggi una definizione di Family Business unanimemente accettata. Attraverso il contributo diversi studiosi è stato possibile delineare le caratteristiche principali delle aziende familiari, riscontrabili all’interno di qualsiasi settore industriale o comparto lavorativo, sottolineando come, all’interno della specifica dimensione dell’azienda familiare, siano di fondamentale importanza le dinamiche tra i due elementi caratterizzanti, impresa e famiglia, tese a generare l’orientamento delle scelte gestionali. All’interno dell’azienda familiare vengono ad intrecciarsi vicendevolmente tre distinti sistemi sociali elementari, rappresentati dalla famiglia, dalla proprietà e dall’impresa, con funzioni e logiche diverse, ma strettamente indipendenti, il cui intreccio è capace di dar vita ad un sistema estremamente complesso. In relazione a questo intreccio abbiamo evidenziato quali siano le dinamiche che portano alla generazione dell’indirizzo strategico di questa particolare forma d’impresa ed è stato possibile osservare come il territorio italiano sia contraddistinto dalla presenza di aree a forte caratterizzazione produttiva in cui hanno trovato terreno fertile tutto l’insieme di competenze distintive che caratterizzano e rafforzano i business stessi, alimentando incrementando il patrimonio intangibile aziendale, gelosamente custodito e tramandato di generazione in generazione nelle aziende familiari. Inoltre, è stato possibile esaminare come all’interno di essa si sviluppino determinate competenze idiosincratiche strettamente collegate con la struttura proprietaria, rappresentanti le reali caratteristiche distintive antecedenti del vantaggio competitivo. Mediante le considerazioni in merito al fenomeno della piccola e media imprenditoria e relativamente alle dinamiche che rendono uniche le aziende a conduzione familiare, evidenziandone punti di forza e punti di debolezza, ci soffermeremo sull’analisi del settore lapideo italiano, è più nello specifico analizzeremo il Distretto lapideo Apuoversiliese. L’analisi del Distretto prende forma attraverso la definizione della filiera produttiva, al cui interno le aziende lapidee svolgono la loro attività, focalizzando l’attenzione sia sul comparto estrattivo che su quello della lavorazione, per poi individuare il grado di internazionalizzazione delle aziende distrettuali e la loro capacità di resistere al recente e generalizzato periodo di recessione. Grazie all’analisi del distretto è stato possibile generare diverse ipotesi in merito al posizionamento strategico delle aziende operanti lungo la filiera produttiva, mettendo in luce come le formule imprenditoriali e e gli orientamenti strategici di fondo delle diverse imprese possano risultare molto diverse tra loro, descrivendone le principali tipicità. La ricerca si concentra quindi sull’individuazione delle caratteristiche relative alla sostenibilità del vantaggio competitivo distrettuale tramite un’analisi Resource Based View (RBV), teoria che individua il fondamento del vantaggio competitivo nelle risorse, nelle capacità e nelle competenze che un sistema aziendale, o un insieme di aziende, sviluppa nel tempo. L’idea di fondo è quella secondo cui qualsiasi forma di vantaggio competitivo ha origine nelle risorse aziendali, nella struttura organizzativa, nel know how produttivo, di mercato e tecnologico, sottolineando come sia fondamentale per il Distretto recuperare la leadership internazionale attraverso la valorizzazione della peculiarità della materia prima marmo e attraverso l’insieme di competenze e conoscenze accumulate nel corso del tempo dalle “risorse umane”, vera detentrice del patrimonio intangibile distrettuale, mediante un equilibrato connubio tra sfruttamento delle risorse territoriali e salvaguardia del ambientale. Le radici territoriali e la forte presenza di aziende familiari influenzano notevolmente la configurazione dell’identità strategica dell’azienda, in particolare modo in un comparto come quello dell’industria lapidea, in cui la stessa materia prima marmo necessità di creatività, cultura e know-how artigianale, i quali rappresentano elementi intangibili legati al territorio stesso favorendo le aziende con un forte radicamento all’interno del distretto rispetto ad altre dotate di una mutevole localizzazione, spesso caratterizzate dalla semplice strategia di riduzione i costi di produzione. Ulteriore elemento distintivo è rappresentato proprio dal connubio tra tradizionalismi produttivi e capacità di innovare, spesso attraverso l’intersezione tra imprese private e pubbliche istituzioni capaci di produrre iniziative strategiche volte alla valorizzazione del territorio e dei suoi asset tangibili e intangibili attraverso la pianificazione di progetti di sviluppo di marketing territoriale

    Uniform rotating field network structure to efficiently package a magnetic bubble domain memory

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    A unique and compact open coil rotating magnetic field network structure to efficiently package an array of bubble domain devices is disclosed. The field network has a configuration which effectively enables selected bubble domain devices from the array to be driven in a vertical magnetic field and in an independent and uniform horizontal rotating magnetic field. The field network is suitably adapted to minimize undesirable inductance effects, improve capabilities of heat dissipation, and facilitate repair or replacement of a bubble device

    Fixed Versus Variable Dosing of Prothrombin Complex Concentrate for Bleeding Complications of Vitamin K Antagonists:The PROPER3 Randomized Clinical Trial

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    STUDY OBJECTIVE: To determine if a fixed dose of 1000 IU of 4-factor prothrombin complex concentrate (4F-PCC) is as effective as traditional variable dosing based on body weight and international normalized ratio (INR) for reversal of vitamin K antagonist (VKA) anticoagulation. METHODS: In this open-label, multicenter, randomized clinical trial, patients with nonintracranial bleeds requiring VKA reversal with 4F-PCC were allocated to either a 1,000-IU fixed dose of 4F-PCC or the variable dose. The primary outcome was the proportion of patients with effective hemostasis according to the International Society of Thrombosis and Haemostasis definition. The design was noninferiority with a lower 95% confidence interval of no more than -6%. When estimating sample size, we assumed that fixed dosing would be 4% superior. RESULTS: From October 2015 until January 2020, 199 of 310 intended patients were included before study termination due to decreasing enrollment rates. Of the 199 patients, 159 were allowed in the per-protocol analysis. Effective hemostasis was achieved in 87.3% (n=69 of 79) in fixed compared to 89.9% (n=71 of 79) in the variable dosing cohort (risk difference 2.5%, 95% confidence interval -13.3 to 7.9%, P=.27). Median door-to-needle times were 109 minutes (range 16 to 796) in fixed and 142 (17 to 1076) for the variable dose (P=.027). INR less than 2.0 at 60 minutes after 4F-PCC infusion was reached in 91.2% versus 91.7% (P=1.0). CONCLUSION: The large majority of patients had good clinical outcome after 4F-PCC use; however, noninferiority of the fixed dose could not be demonstrated because the design assumed the fixed dose would be 4% superior. Door-to-needle time was shortened with the fixed dose, and INR reduction was similar in both dosing regimens

    OXYGEN REACTIVE POLYMERS FOR TREATMENT OF TRAUMATIC BRAIN INJURY

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    Methods and compositions for treating traumatic brain injury . The methods and compositions utilize a multi - functional oxygen reactive polymer ( ORP ) that includes repeating units that include a reactive oxygen species ( ROS ) scavenging group and a polyalkylene oxide group . For theranostic applications , the oxygen reactive polymer fur ther includes a diagnostic group

    Carfilzomib, Pomalidomide, and Dexamethasone As Second-line Therapy for Lenalidomide-refractory Multiple Myeloma

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    This phase 2 trial investigated reinduction with carfilzomib, pomalidomide, and dexamethasone (KPd) and continuous pomalidomide/dexamethasone in patients at first progression during lenalidomide maintenance. The second objective was to evaluate high-dose melphalan with autologous stem cell transplantation (HDM/ASCT) at first progression. Patients were eligible who had progressive disease according to International Myeloma Working Group (IMWG) criteria. Treatment consisted of 8 cycles carfilzomib (20/36 mg/m2), pomalidomide (4 mg) and dexamethasone. Patients without prior transplant received HDM/ASCT. Pomalidomide 4 mg w/o dexamethasone was given until progression. One hundred twelve patients were registered of whom 86 (77%) completed 8 cycles of KPd. Thirty-five (85%) eligible patients received HDM/ASCT. The median time to discontinuation of pomalidomide w/o dexamethasone was 17 months. Best response was 37% ≥ complete response, 75% ≥ very good partial response, 92% ≥ partial response, respectively. At a follow-up of 40 months median PFS was 26 and 32 months for patients who received KPd plus HDM/ASCT and 17 months for patients on KPd (hazard ratio [HR] 0.61, 95% confidence interval [CI] 0.37-1.00, P = 0.051). PFS was better after longer duration of prior lenalidomide (HR 3.56, 95% CI 1.42-8.96, P = 0.035). Median overall survival (OS) was 67 months. KPd-emerging grade 3 and 4 adverse events included hematologic (41%), cardiovascular (6%), respiratory (3%), infections (17%), and neuropathy (2%). KPd followed by continuous pomalidomide is an effective and safe triple drug regimen in second-line for patients previously exposed to bortezomib and/or refractory to lenalidomide

    Perioperative pharmacokinetic-guided factor VIII concentrate dosing in haemophilia (OPTI-CLOT trial):an open-label, multicentre, randomised, controlled trial

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    Background Dosing of replacement therapy with factor VIII concentrate in patients with haemophilia A in the perioperative setting is challenging. Underdosing and overdosing of factor VIII concentrate should be avoided to minimise risk of perioperative bleeding and treatment costs. We hypothesised that dosing of factor VIII concentrate on the basis of a patient's pharmacokinetic profile instead of bodyweight, which is standard treatment, would reduce factor VIII consumption and improve the accuracy of attained factor VIII levels. Methods In this open-label, multicentre, randomised, controlled trial (OPTI-CLOT), patients were recruited from nine centres in Rotterdam, Groningen, Utrecht, Nijmegen, The Hague, Leiden, Amsterdam, Eindhoven, and Maastricht in The Netherlands. Eligible patients were aged 12 years or older with severe or moderate haemophilia A (severe haemophilia was defined as factor VIII concentrations of Findings Between May 1, 2014, and March 1, 2020, 98 patients were assessed for eligibility and 66 were enrolled in the trial and randomly assigned to the pharmacokinetic-guided treatment group (34 [52%]) or the standard treatment group (32 [48%]). Median age was 49.1 years (IQR 35.0 to 62.1) and all participants were male. No difference was seen in consumption of factor VIII concentrate during the perioperative period between groups (mean consumption of 365 IU/kg [SD 202] in pharmacokinetic-guided treatment group vs 379 IU/kg [202] in standard treatment group; adjusted difference -6 IU/kg [95% CI -88 to 100]). Postoperative bleeding occurred in six (18%) of 34 patients in the pharmacokinetic-guided treatment group and three (9%) of 32 in the standard treatment group. One grade 4 postoperative bleeding event occurred, which was in one (3%) patient in the standard treatment group. No treatment-related deaths occurred. Interpretation Although perioperative pharmacokinetic-guided dosing is safe, it leads to similar perioperative factor VIII consumption when compared with standard treatment. However, pharmacokinetic-guided dosing showed an improvement in obtaining factor VIII concentrations within the desired perioperative factor VIII range. These findings provide support to further investigation of pharmacokinetic-guided dosing in perioperative haemophilia care. Copyright (C) 2021 Elsevier Ltd. All rights reserved

    von Willebrand Factor and Factor VIII Clearance in Perioperative Hemophilia A Patients

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    Background von Willebrand factor (VWF) is crucial for optimal dosing of factor VIII (FVIII) concentrate in hemophilia A patients as it protects FVIII from premature clearance. To date, it is unknown how VWF behaves and what its impact is on FVIII clearance in the perioperative setting. Aim To investigate VWF kinetics (VWF antigen [VWF:Ag]), VWF glycoprotein Ib binding (VWF:GPIbM), and VWF propeptide (VWFpp) in severe and moderate perioperative hemophilia A patients included in the randomized controlled perioperative OPTI-CLOT trial. Methods Linear mixed effects modeling was applied to analyze VWF kinetics. One-way and two-way analyses of variance were used to investigate perioperative VWFpp/VWF:Ag ratios and associations with surgical bleeding. Results Fifty-nine patients with median age of 48.8 years (interquartile range: 34.8-60.0) were included. VWF:Ag and VWF:GPIbM increased significantly postoperatively. Blood type non-O or medium risk surgery were associated with higher VWF:Ag and VWF:GPIbM levels compared with blood type O and low risk surgery. VWFpp/VWF:Ag was significantly higher immediately after surgery than 32 to 57 hours after surgery (p < 0.001). Lowest VWF:Ag quartile (0.43-0.92 IU/mL) was associated with an increase of FVIII concentrate clearance of 26 mL/h (95% confidence interval: 2-50 mL/h) compared with highest VWF antigen quartile (1.70-3.84 IU/mL). VWF levels were not associated with perioperative bleeding F (4,227) = 0.54, p = 0.710. Conclusion VWF:Ag and VWF:GPIbM levels increase postoperatively, most significantly in patients with blood type non-O or medium risk surgery. Lower VWF antigen levels did not lead to clinically relevant higher FVIII clearance. VWF:Ag or VWF:GPIbM levels were not associated with perioperative hemorrhage
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