10 research outputs found
Secukinumab demonstrates superiority over narrow-band ultraviolet B phototherapy in new-onset moderate to severe plaque psoriasis patients: Week 52 results from the STEPIn study.
Biologic treatments have been studied mainly in patients with a long-term history of psoriasis and previous treatment failures.
The purpose of this primary analysis of the STEPIn study is to determine whether early intervention with secukinumab in patients with new-onset moderate to severe plaque psoriasis is superior to standard of care treatment with narrow band ultraviolet B (nb-UVB) phototherapy.
The STEPIn study is a randomized, open-label, multicentre study to investigate early intervention with 52 weeks of secukinumab 300 mg administered subcutaneously versus standard treatment with nb-UVB phototherapy in patients with new-onset (≤12 months) moderate to severe plaque psoriasis (NCT03020199). The primary and additional secondary endpoints were ≥90% improvement in Psoriasis Area and Severity Index (PASI 90) at Week 52 and Investigator's Global Assessment (IGA mod 2011) 0/1 response at Week 52, respectively.
In the secukinumab and nb-UVB study arms, 77/80 and 76/80 randomized patients received at least one dose of study treatment, respectively. The primary endpoint was achieved: 91.1% (70/77) of patients achieved a PASI 90 response at Week 52 in the secukinumab arm versus 42.3% (32/76) in the nb-UVB arm (p < 0.0001, odds ratio [OR] estimate [95% confidence intervals, CI] = 16.3 [5.6, 46.9]). The additional secondary endpoint was also achieved: 85.7% of patients achieved an IGA 0/1 response at Week 52 in the secukinumab arm versus 36.8% in the nb-UVB arm (p < 0.0001). The safety data were consistent with the safety profiles of secukinumab and nb-UVB with no new or unexpected safety signals.
Secukinumab was superior to nb-UVB in treating patients with new-onset moderate to severe plaque psoriasis. The high and sustained skin clearance observed indicates that biologic treatment for psoriasis may be more effective if used early in the disease course
Advances in data-driven optimization of parametric and non-parametric feedforward control designs with industrial applications
The performance of many industrial control systems is determined to a large extent by the quality of both setpoint and disturbance feedforward signals. The quality that is required for a high tracking performance is generally not achieved when the controller parameters are determined on the basis of a detailed model of the plant dynamics or manual tuning. This chapter shows that the optimization of the controller parameters by iterative trials, i.e., data-driven, in both parametric and non-parametric feedforward control structures avoids the need for a detailed model of the plant dynamics, achieves optimal controller parameter values, and allows for the adaptation to possible variations in the plant dynamics. Two industrial applications highlight the large benefits of the data-driven optimization approach. The optimization of the feedforward controller parameters in a wafer scanner application leads to extremely short settling times and higher productivity. The optimization of the current amplifier setpoints in a digital light projection (DLP) application leads to nearly constant color rendering performances of the projection system in spite of large changes in the lamp dynamics over its life span
Memoria, ricordo e trauma
Il presente contributo prende in considerazione le attuali prospettive internazionali delle ricerche neuro scientifiche sulla memoria e sui traumi e i contributi della psicoanalisi nella prospettiva di un approccio terapeutico integrato.
Le attuali teorie psicoanalitiche secondo la prospettiva relazionale concepiscono la memoria come una “struttura interiore costituita dalla elaborazione di tutte le esperienze : esse vengono apprese in relazione alla esperienza passata e da essa sono strutturate in una certa traccia; successive esperienze possono modificare la struttura- traccia precedente. Le teorie concordano nel ritenere che la struttura della traccia mnestica è un insieme in continua trasformazione , di cui solo una minima parte accede alla coscienza . Il ricordo è il processo che consente al soggetto di recuperare o usare quanto appreso e memorizzato. Nella “mentalità comune”esso viene a coincidere con quello che si è riusciti a memorizzare e poi a ripetere verbalmente (rie-vocare): implicito è il riferimento al ricordo verbale e al linguaggio come intrinseco al ricordo, piuttosto che esserne mediatore. Si ritiene anche che il non riuscire a esprimere quello che si è memorizzato sia da considerare una memoria imperfetta: è presente l’implicito assunto che avere una buona memoria implichi il saper riprodurre fedelmente quanto si è memorizzato (Imbasciati,1986). Una domanda che ci si può porre è se sia possibile considerare quanto chiamiamo memoria indipendentemente dall’organizzazione che assume ciò che viene appreso e ritenuto, cioè dal significato che può assumere dentro la mente: viene ricordato ciò che ha per noi un senso e viene considerato utile ; viene dimenticato ciò che invece non ha per noi significato. La memoria ha una organizzazione: se la paragoniamo ad un archivio che teniamo in ordine: dovremmo aspettarci che, se abbiamo riposto le nostre cose in un certo ordine, sia per noi più veloce e semplice ritrovarle quando ne abbiamo bisogno. In realtà non è così : l’organizzazione della memoria è modellata da tutt’altri criteri , inconsci , e di tipo emozionale . Fattori emotivi, affettivi e cognitivi possono influenzare sia la ricezione che l’'acquisizione e la conservazione di quanto appreso e memorizzato, per un periodo di tempo più o meno lungo. La motivazione interiore, l'interesse per l'argomento (si ricorda più facilmente e più a lungo un materiale dotato di significato e organizzato) favoriscono l'apprendimento. I nostri ricordi più vivi sono connessi a esperienze affettive, anche se non sempre evidenti.
Il ricordo è il processo che consente al soggetto di recuperare quanto appreso e conservato. Se i ricordi affiorano da sé la riproduzione è spontanea (automatica); se emergono su richiesta il ricordo viene detto intenzionale. Una volta giunti a consapevolezza, i ricordi spontanei o volontari possono strutturarsi in nuove associazioni: talvolta riemergono ricordi di un lontano passato, che sembravano irrimediabilmente perduti, di cui il soggetto non sa stabilire nessun legame con il presente . Non sempre è possibile ricordare ciò che si desidera : ci sono esperienze, anche recentissime, che il soggetto non riesce a ricordare malgrado ogni sforzo salvo poi d'improvviso possano riemergere.
Un fenomeno connesso alla memoria è quello delle dimenticanza e dell'oblio: l’incapacità totale o parziale a ricordare ciò che si è appreso. L’oblio non sarebbe la perdita della memoria ma una alterata coscienza di essa, una trasformazione del nostro modo di ricordare piuttosto che una trasformazione delle cose ricordate: il velo dell’oblio può sembrare come parziale perdita della memoria è solo “una lontananza di un qualcosa rimasto profondamente entro di noi …Cambia il nostro modo di sentire e di sentirci dentro sicchè anche le cose contenute , in tal nostro modo che cambia sono anch’esse trasformate. L’oblio assolve una funzione economica oltre che logica, la trasformazione menestica implica la possibilità di tenere raggruppate in insiemi una molteplicità di memorie; l’oblio è stato indicato come una forma condensata di memoria: l’oblio ci rende conto della complessità della memoria .
La memoria è tutt’altro che la riproduzione degli eventi esterni di cui si è fatta esperienza . La complessità dei modelli psicoanalitici attuali testimonia la difficoltà di descrivere la traccia mnestica nei termini di una soggettività limitata dai parametri della consapevolezza. In tale prospettiva l’oblio è considerato non tanto assenza di memoria , quanto conservazione trasformativa e condensata di quanto può occasionalmente apparire in termini di memoria cosciente, Nell’oblio stanno le radici della memoria
Eric Kandel (Kandell, 2007) afferma come in questi ultimi anni molti dati a disposizione ci hanno permesso di comprendere i meccanismi generali che regolano l’archiviazione dei ricordi. Sappiamo ancora poco, invece, dei circuiti neurali coinvolti nell’archiviazione dei diversi tipi di memoria: ne conosciamo i meccanismi generali, sappiamo che la memorizzazione a breve termine coinvolge proteine capaci di regolare l’efficienza della trasmissione sinaptica mentre la memoria a lungo termine dipende dalla modificazione dell’espressione dei geni che regolano i processi di crescita di nuove connessioni sinaptiche.
Cristina Maria Alberini, una allieva di Kandell, sta portando avanti ricerche in questo settore : interessanti sono gli aspetti sulle proprietà della memoria relativamente alle modalità del ricordo di eventi traumatici: gli spunti che si possono trarre da questi contributi appaiono rilevanti per la psicoanalisi . Il capitolo propone riflessioni sulle attuali ricerche relative alla memoria e ai traumi secondo i dati presentati dalla Alberini. La Alberini studia come cambia la biologia del cervello quando si formano nuove memorie, cosa accade quando si recuperano ricordi passati e negli intervalli di tempo durante la processazione delle informazioni. Le memorie implicite sono memorie remote, inconsapevoli,, non ricordabili , che spesso coinvolgono il sistema motorio, le memorie esplicite sono quelle più comunemente utilizzate nel trattamento psicoanalitico. Non tutte le memorie esplicite possono essere ricordate facilmente: di solito sono selezionate. Quelle connesse a stati emotivi intensi di eventi significativi diventano ricordi più o meno durevoli: tale processo dipende da un livello ottimale di stress , in relazione cioè alle emozioni e alle motivazioni del soggetto. Quando il livello di stress è molto elevato le memorie non possono essere più ricordate : la Alberini si riferisce agli studi sui traumi .
All’inizio di qualunque esperienza la relativa memoria è labile: dopo qualche tempo, viene perduta oppure subisce un processo biochimico di “consolidamento”, che la trasforma in memoria a lungo termine. Quando le memorie vengono ricordate ritornano fragili per un certo tempo e possono pertanto modificarsi : poi si “riconsolidano”. Se mentre la memoria è ancora fragile vengono somministrati in laboratorio determinati farmaci inibitori della sintesi proteica , la memoria viene perduta. In questo quadro si prospettano possibili interventi farmacologici e insieme psicoanalitici per modificare le memorie di fatti traumatici. Nel processo di riconsolidamento, la memoria rimane modificata, perché vi rientrano e vi si mescolano le vicende contestuali al momento del ricordare : il ricordo che si potrà poi avere è diverso.
Il tema è di interesse soprattutto nella clinica, per quanto riguarda gli effetti ottenibili durante la fase di riconsolidamento a seguito di una rievocazione di eventi traumatici. Le ricerche in letteratura sottolineano che in sede terapeutica il ricordare può avere un riconsolidamento della memoria che può cambiare favorevolmente l’assetto del paziente .
Come traslare questi interessanti dati neurobiologici in ambito psicodinamico? La Alberini fa riferimento a memorie di esperienze traumatiche e stressanti, come potrebbe essere la sindrome PTSD : il disturbo post-traumatico da stress (DPTS) (o Post-Traumatic Stress Disorder, PTSD) segue in genere ad un evento traumatico, catastrofico o violento e si manifesta come un disagio mentale implicante molteplici fattori, sia personali sia ambientali: gli individui hanno una diversa suscettibilità e vulnerabilità alla condizione di stress, anche in relazione al maggiore o minore coinvolgimento diretto nell’esperienza traumatica (Van der Kolk,,McFarlane,; Weisaeth,2005; Frueh et al. 2013)
Il disturbo da PTSD presenta aspetti molto complessi che coinvolgono forti emozioni sollecitate da un trauma e effetti psichici derivati da uno stato di stress. (Craparo, G. 2013) .
I bambini che hanno sperimentato diversi tipi di vittimizzazione (Abuso, bullismo, violenza familiare) in genere possono presentare sintomi gravi di PTSD (Cloitre et. al, 2009; Fikelhor et al.2010): anche i bambini sotto i tre anni di età possono manifestare forme di PTSD (Drell et al 1993), perché hanno la capacità di percepire e memorizzare gli eventi, anche quelli traumatici, attraverso modalità della memoria implicita (Schore, 2003).
Una valutazione dei principali aspetti clinici del PTSD (Nader, 2008) mette in evidenza l’importanza di identificare i fattori di rischio (violenza domestica, appartenenza a gruppi di pari devianti, problemi di condotta da parte dei genitori) ma anche di protezione (controllo parentale, responsività genitoriale, collaboratività, promozione della autonomia, coinvolgimento in attività pro sociali, presenza di adulti affettivamente significativi).Un altro fattore di protezione è la capacità di metalizzazione , cioè osservare e saper utilizzare costruttivamente i propri e altrui processi di pensiero, già presenti nell’infanzia (Allen, Fonagy e Batman, 2008) La valutazione della presenza di fattori di protezione e di risorse come delle capacità di resilienza al trauma sono importanti predittori di esiti positivi e di possibilità guarigione dal PTSD .
L’esposizione a fattori di stress traumatico può causare alterazioni nel cervello come individuato attraverso le neuroimaging (Ford, 2009) in specifico il danno maggiore deriva dalla incapacità dei soggetti di sviluppare una autoregolazione(Ford. 2010): gli stressor traumatici hanno un impatto negativo sullo sviluppo della autoregolazione . L’auto regolazione e la disregolazione postraumatica nella prima infanzia possono manifestarsi in forme diverse, in particolare di sta provvedendo a una revisione ed ad un ampliamento dei sintomi relativi allo stress traumatico (D’Andrea et al., 2012)