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PTSD E SINTOMI DI SPETTRO POST-TRAUMATICO DA STRESS IN UNA POPOLAZIONE ESPOSTA AL TERREMOTO DE L'AQUILA DEL 6 APRILE 2009: CORRELAZIONI CON ETA', SESSO E GRADO DI ESPOSIZIONE
Il Disturbo Post-Traumatico da Stress (PTSD) è, secondo quanto definito dal Manuale Diagnostico e Statistico delle Malattie IV(DSM IV-TR, 2000), un disturbo d'ansia conseguente allâesposizione diretta o indiretta ad un evento traumatico di gravitĂ oggettiva o soggettiva estrema con minaccia per la vita o lâintegritĂ fisica propria o altrui.
Storicamente il concetto di reazione psicogena ad eventi stressanti e traumatici fu introdotto da Bleuer nel 1911, sebbene concetti simili fossero giĂ stati elaborati alla fine del secolo scorso nelle definizioni di ânevrosi post-traumaticaâ (Oppenheim, 1892) e di ânevrosi da spavento â (Kraepelin, 1896).
Le prime descrizioni di reazioni di tipo post-traumatico risalgono al XVI secolo quando in soldati, esposti a combattimenti militari, furono segnalati quadri psicopatologici che presentavano sintomi analoghi a quelli che attualmente vengono identificati con il PTSD. Il primo caso di sindrome post-traumatica, nella letteratura non militare, fu invece riportato nel 1666 in un cittadino londinese reduce dal âGrande Incendio di Londraâ (Daly, 1983).
Un reale interesse verso questo fenomeno si accese con lâavvento dei trasporti ferroviari quando fu relazionato, con numerose descrizioni piuttosto strutturate, sui riscontri psicopatologici nelle vittime civili dei primi incidenti ferroviari; comparvero in questo periodo infatti, nella letteratura medica, i primi quadri clinici, definiti proprio come post-traumatici, in vittime civili. Tra questi si ricorda il noto scrittore Charles Dickens, che espose accuratamente in alcuni suoi scritti i sintomi manifestati in seguito ad un incidente ferroviario (Trimble, 1981).
Tuttavia, ancora lontani dallâidea di una possibile origine psicopatologica, i clinici dell'epoca attribuirono erroneamente questi quadri sintomatologici agli effetti fisici causati dall'incidente alla colonna vertebrale della vittima o al sistema nervoso centrale. Il trauma non era niente di piĂš che una lesione fisica o una ferita e per questo si coniò il termine di âcolonna vertebrale da ferroviaâ. Lâintroduzione di tale termine fu merito di John Eric Erichsen, chirurgo inglese che nel 1866 pubblicò âOn railway and other injuries of nervous systemâ, nel quale attribuiva i problemi psicologici di pazienti feriti durante incidenti ferroviari a lesioni organiche alla spina dorsale. La ârailway spine sindromeâ (âspina dorsale da ferroviaâ) includeva sintomi quali: stanchezza, ansia, disturbi della memoria, irritabilitĂ , disturbi del sonno, incubi, ronzii alle orecchie, vertigini e dolore agli arti. Per Erichsen tali sintomi non dovevano essere confusi con quelli dellâisteria. Di opinione diversa, il collega Page (1885) il quale riteneva invece che i sintomi della âspina dorsale da ferroviaâ avessero unâ origine psicologica. Il chirurgo parlava di âshock nervosoâ, affermando che âsi sono commessi molti errori nella diagnosi, poichĂŠ il terrore non è stato considerato, di per se stesso sufficienteâ (Yule, 2000; van der Kolk, 2005).
Un momento di fondamentale importanza nellâevoluzione del concetto di trauma giunse verso la fine del XIX secolo quando Oppenheim (1892) riprese il concetto di ânevrosi da traumaâ per identificare quei quadri di ansia morbosa che insorgevano in risposta a gravi traumi e shock emotivi. Il neurologo tedesco infatti utilizzò per la prima volta, nel 1888, il termine di ânevrosi traumaticaâ per descrivere un quadro dâansia conseguente a gravi shock emotivi. Egli riteneva che i problemi presentati da questi pazienti fossero il risultato di modificazioni molecolari, avvenute nel sistema nervoso centrale.
In linea con lâipotesi organicista di Oppenheim, nel 1870 Myers utilizzò il termine âcuore irritabileâ e Da Costa, nel 1871, quello di âcuore del soldatoâ entrambi per descrivere il quadro patologico presentato dai soldati traumatizzati durante le azioni belliche, associando cosĂŹ le problematiche post-traumatiche a ânevrosi cardiacheâ dal momento che in questi soggetti vi era un alto tasso di incidenza di sintomi cardiovascolari.
Successivamente Kraepelin, nel âTrattato di Psichiatriaâ del 1896, descrisse la cosiddetta âSchreckneuroseâ ovvero la âNevrosi da Spaventoâ chiarendo come tale concetto indicasse unâentitĂ clinica autonoma insorta in seguito a fatti o eventi che suscitavano intensa ansia, spavento, shock emotivo, come ad esempio in caso di incidenti, collisione o deragliamento di convogli ferroviari.
Iniziava dunque a diffondersi, in ambito psichiatrico, il bisogno di focalizzare lâattenzione sul ruolo dello stress considerandolo ora come unâoffesa psicologica, una lesione spirituale, una ferita dellâanima (Ian Hackiing 1995).
Tra il 1909 e il 1911 Edouard Stierlin, psichiatra svizzero, condusse due ricerche sulle vittime del terremoto di Messina del 1908 e di un disastro minerario nella stessa cittĂ nel 1906 da cui rilevò come una proporzione sostanziale di vittime sviluppasse sintomi post traumatici persistenti. Stierlin attribuĂŹ lâorigine di tali sintomi alle emozioni violente vissute dalle vittime stesse durante questi eventi.
Egli affermò inoltre come la ânevrosi traumaticaâ fosse lâunico complesso di sintomi psicogeni per il quale non è necessaria una predisposizione psicopatologica. Tale ipotesi fu oggetto di discussione con Kraepelin che considerava poco frequente e atipica la nevrosi traumatica che aveva come origine la paura vissuta dal soggetto.
Tra la fine dellâ800 e gli inizi del â900 un gruppo di studiosi della SalpĂŞtrière di Parigi condusse una serie di studi sullâorigine dellâisteria ed in particolare sul rapporto tra isteria e traumi sessuali subiti dal paziente nellâinfanzia, con la conseguente polemica sui âfalsi ricordiâ, il rifiuto dellâorigine traumatica dellâisteria e lâindividuazione della simulazione e della suggestionabilitĂ come basi dellâisteria. Charcot (1887) fu il primo ad ipotizzare che i sintomi isterici sono prodotti da un trauma, parlò infatti di stato ipnoide causato dal trauma subito e della conseguente natura dissociativa degli attacchi isterici. Janet (1904) ipotizzò che una stimolazione emotiva estrema, ovvero âemozioni veementiâ può produrre nel soggetto unâ incapacitĂ ad assimilare i ricordi traumatici. Le esperienze traumatiche non verrebbero abbinate a schemi cognitivi preesistenti per cui le persone âsono incapaci di fornire il resoconto che chiamiamo memoria narrativa, eppure continuano a dover far fronte alla situazione difficileâ. Ne consegue una âfobia della memoriaâ che impedisce lâintegrazione degli eventi traumatici e rende avulsi questi ricordi dalla coscienza ordinaria. Le tracce mnemoniche del trauma rimangono latenti sotto forma di idee fisse inconsce che continuano ad interferire sotto forma di percezioni terrificanti, preoccupazioni ossessive e riesperienze somatiche come le reazioni da ansia. Janet osservò che i pazienti reagivano a elementi che ricordavano il trauma rispondendo in modo adeguato alla minaccia originale, inoltre gli sforzi per mantenere i ricordi traumatici fuori dalla coscienza esaurivano la loro energia e ciò interferiva con la loro capacitĂ di impegnarsi in azioni che richiedevano concentrazione e creativitĂ .
Fino alla psicoanalisi tali teorie sono state considerate come le formulazioni corrette degli effetti del trauma sulla mente. La dissociazione era il fulcro del processo patogenico che suscita lo stress post traumatico. Tali teorie sono poi cadute nellâoblio per essere riprese solo negli anni â80.
Freud e Breuer (1892-1896) inizialmente seguirono il pensiero di Janet per cui la dissociazione è alla base dellâ âisteria ipnoideâ, conseguenza di eventi traumatici nellâinfanzia. In seguito Freud sviluppò il concetto di âisteria da difesaâ per cui non sono i ricordi del trauma in etĂ infantile ad essere dissociati, ma vengono rimossi impulsi sessuali e aggressivi del bambino che ruotano intorno al complesso di Edipo e che minacciano lâego. In sostanza si pone lâenfasi sullâesperienza soggettiva e la realtĂ intrapsichica, eclissando lâinteresse per la realtĂ esterna.
Con la prima guerra mondiale poi fu introdotto il concetto di ânevrosi da guerraâ e non a caso il primo congresso della SocietĂ Psicanalitica Internazionale, che si svolse a Budapest nel 1924, fu dedicato a questo tema. Fu infatti durante la Grande Guerra che i medici militari si trovarono di fronte al fenomeno massiccio di soldati sotto shock come mai fino ad allora si ricorda in letteratura. Le caratteristiche di lunga guerra di trincea, non di certo mobile e leggera come le guerre precedenti, con costante impiego di bombardamenti a tappeto, non fecero che acuire il disturbo in un numero sempre crescente di soldati. Comparvero quindi anche i termini di âshock da bombardamentoâ, âcuore del soldato o nevrosi da guerraâ, nel tentativo di identificare sindromi specifiche che potessero giustificare i sintomi che i clinici osservavano.
Cosi nellâ âIntroduzione alla Psicanalisi delle Nevrosi di Guerraâ (1919) Freud sottolineò come âle nevrosi di guerra âsono delle nevrosi traumatiche che, comâè noto, si presentano anche in tempo di pace in seguito ad esperienze spaventose o a gravi incidenti, senza alcun rapporto con un conflitto dellâioâ. In realtĂ la posizione di Freud fu decisamente incerta a riguardo, soprattutto relativamente allâesistenza di un conflitto dellâio, infatti il contatto con la Prima Guerra Mondiale e le osservazioni sulle nevrosi belliche non portarono Freud ad unâ integrazione, ma allo sviluppo di due modelli distinti del trauma: il modello della âsituazione insopportabileâ e il modello âdellâimpulso inaccettabileâ.
Durante la Prima Guerra Mondiale e nei decenni successivi, in Germania, la ânevrosi da guerraâ era considerata come una malattia della volontĂ , pertanto la diagnosi medica dello stress post traumatico veniva formulata come âdisfacimento della volontĂ del singolo soldatoâ, di conseguenza il trattamento comprendeva âterapie della volontĂ causaleâ, in cui con esercizi fisiologici veniva stimolato il desiderio di star bene del paziente. PoichĂŠ il trattamento era molto doloroso, i soldati preferivano essere rispediti in prima linea e in tal modo erano considerati guariti (Yule, 2000; van der Kolk, 2005).
Dopo la fine della prima guerra mondiale l'interesse appena sorto su questo disturbo declinò in modo rapido, probabilmente per il diminuire dei casi stessi; in quegli anni si parlava soprattutto di âreazioni ad eventiâ e di ânevrosi traumaticheâ.
Nel 1926 Bonhoeffer ritenne che la nevrosi traumatica fosse una patologia sociale e che i soldati che ne soffrivano avessero in comune una predisposizione ereditaria. In particolare la gravitĂ di tale nevrosi era condizionata dalla disponibilitĂ o meno ad ottenere un risarcimento, per cui il disturbo era lamentato in base alla possibilitĂ di un beneficio secondario, pertanto la nevrosi traumatica era una ânevrosi da risarcimentoâ; infatti quando nel 1926 in Germania entrò in vigore la RVO (legge sullâassicurazione sanitaria nazionale) per cui non doveva essere concessa alcuna compensazione per la nevrosi traumatica, pena lâincurabilitĂ di questa, si azzerarono i casi di disturbo traumatico tra la popolazione militare. Tale legge rimase in vigore per tutto il periodo nazista e nel 1959 fu ritoccata.
Nel 1923 Kardiner cercò di elaborare una teoria sulle nevrosi da guerra basandosi sulla teoria precedente di Freud, ma fallĂŹ. In seguito, in âThe traumatic neuroses of warâ (1941) egli descrisse le reazioni dei soldati statunitensi che aveva in cura, evidenziando come chi fosse affetto da nevrosi traumatica presentasse una fisionevrosi ovvero unâ attivazione fisiologica con un abbassamento della soglia della stimolazione che si manifestava in unâ eccitazione fisiologica estrema. I soldati presentavano inoltre unâ alterazione della concezione di sĂŠ in relazione al mondo, in base ad una fissazione al trauma ed ad una vita onirica atipica, caratterizzata da irritabilitĂ cronica, reazioni dâallarme, reazioni aggressive irruente. Il paziente rimaneva bloccato al trauma e spesso aveva il âsogno di Sisifoâ, ovvero un senso di impotenza tale per cui âqualunque attivitĂ viene accompagnata da forme stereotipate di inanitĂ â. Questo senso dâ impotenza spesso aveva il sopravvento sul paziente, che prendeva a chiudersi e restare in disparte, anche se prima della sua esperienza bellica aveva agito in modo normale. PiĂš di quarantâanni dopo Tichener (1986) avrebbe riscoperto questo fenomeno chiamandolo âdeclino post-traumaticoâ.
Durante la II Guerra Mondiale vennero elaborate nuove tecniche per la psichiatria di prima linea e vennero fatte ricerche sui fattori protettivi come lâaddestramento, la coesione di gruppo, la disciplina e la motivazione. Vari psichiatri statunitensi applicarono le idee di Kardiner (L. Kubie, R. Grinker; H. Spiegel; J. Spiegel; W. Menninger; L. Kolbe), confermarono le sue osservazioni e reintrodussero lâipnosi per aiutare i pazienti a reagire al trauma. Lâesercito degli USA inaugurò la pratica di sedute postoperative di gruppo in caso di stress (William Yule, 2000; Bessel A. van der Kolk, 2005).
Non è trascurabile, a tal proposito, il materiale offerto dagli studi effettuati su disturbi psichiatrici riscontrati nei reduci della Guerra del Vietnam. Nel 1974 il Vietnam Veterans Working Group, comprendente una serie di associazioni professionali ed umanitarie finalizzate al sostegno dei veterani di guerra, fornĂŹ lo stimolo iniziale ad effettuare gli studi che portarono ad una validazione empirica della Sindrome Post-Traumatica permettendone lâingresso ufficiale nella nosografia psichiatrica moderna.
Fu solo nella terza edizione del Diagnostical and Statistical Manual (DSM-III) del 1980, che entra a pieno titolo il concetto di Disturbo Post Traumatico da Stress definito come disturbo evocato da un âevento fuori dal range delle normali esperienze umane e che sarebbe molto stressante per chiunqueâ.
NĂŠ nella prima edizione del DSM , utilizzata dal 1952 al 1968 , nĂŠ nella seconda utilizzata dal 1968 al 1980, è presente una categoria diagnostica per questo disturbo. Riprendendo unâidea giĂ sviluppata da Fenichel, in quegli anni, si diffondeva il pensiero di Bleuler(1967) secondo il quale le âreazioni patologicheâ ad eventi traumatici, definite anche disturbi âpsicoreattivi o psicogeniâ , non erano legate allâevento in sĂŠ ma alla personalitĂ del soggetto, alla sua predisposizione e a reazioni psichiche morbose. Erano gli anni in cui negli Stati Uniti si sviluppava lâapproccio psicobiologico di Mayer (1990), che interpretava molti disturbi come reazioni ad esperienze di vita e come espressione dellâadattamento dellâindividuo alla realtĂ e alle circostanze psicosociali.
Quasi contemporaneamente, dominarono in Europa due teorie principali: lâuna di Jasper e lâaltra di Schneider. Il primo sosteneva lâesistenza di due meccanismi diversi di reazione agli eventi: uno ânormaleâ, quando lâesperienza resta sotto il potere del soggetto, non provoca conseguenze dannose e può aversi in qualunque individuo; e lâaltro âanormaleâ quando invece porta allo sviluppo di una reazione patologica, cioè una risposta allâevento eccessiva per misura, durata e grado (Jasper, 1964).
Schneider si focalizzava soprattutto sulla natura abnorme di tale reazione âdi insolita intensitĂ e inadeguatezza rispetto allâeventoâ (Schneider , 1983).
La nuova definizione di agente traumatico viene introdotta nel DSM-IV(1994), in cui il trauma non è piĂš definito âun evento che esula dalle esperienze umane comuni e che evoca sintomi di stress nella maggior parte degli individuiâ ma come un âevento che mette a rischio lâincolumitĂ di un individuo e che provoca sentimenti di paura , impotenza od orrore nei quali il soggetto è coinvolto i
Effect of physical activity on heart rate variability and carotid intima-media thickness in older people
We investigated the effect of physical activity on heart rate variability (HRV) and carotid intima-media thickness (IMT) in elderly subjects and the relationship between HRV and IMT. Thirty-two elderly sedentary subjects and 32 age-matched endurance athletes underwent ultrasonography of the carotid wall for measuring IMT, and 24-h ECG monitoring for measuring HRV. Elderly athletes had evidence of increased vagal activity in the time (SDANN, rMSSD, and pNN50; p < 0. 01) and frequency domain (HF and LF/HF ratio, p < 0. 01) with respect to sedentary subjects. Moreover, athletes showed lower IMT than control subjects (p < 0. 01). In the whole population SDNN was inversely related to IMT, respectively (r = -0. 60 and r = -0. 58, p < 0. 0001), while LF/HF ratio related positively to IMT. In conclusion, this study demonstrated that in aging HRV is negatively associated with IMT, a putative index of atherosclerosis, confirming cardiac autonomic neuropathy as part of the pathophysiological pathway for atherosclerosis. It confirms that the regular physical activity represents a valuable strategy to counter age-related impairments of cardiac autonomic activity and artery structural changes. Š 2013 SIMI