114 research outputs found

    Penuria nominum and language rectitudo. Linguistic economy in Saint Anselm of Canterbury

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    The topics of language and dialectic argumentation have a pivotal role in Anselm’s thought. They constitute the theoretical context in which we proceeded with a semantic analysis of the term paupertas; it should be understood under a thought where logical-linguistic terms (appellatio, cogitatio vocum e rerum, significatio) are related to ethical and social principles as monastic silence and rectitudo, in particular. Indeed, Anselmian idea of poverty moves on the ridge between the paupertas as penuria nominum, typical of the human language merely capable of producing voces for the usus loquendi, and the Divine Word (Verbum), a “poor” word, where “poor” means unique, simple, pure and real. The Verbum will be, at the same time, a linguistic and ethical model for the human language to avoid the multiloquium and to properly connect words and things. Reduced to a line that directly moves from the word to his corresponding thing, the linguistic signification thins all his redundant references and becomes right, that is simple. This kind of language aims at the monastic silence of chapter six of the Regula Sancti Benedicti as his higher and very true form. So, the paupertas has to be intended, in the Anselmian philosophy of language, as a value against the mundane poverty of spirit, in the broader context of the Salvation of the soul’s economy

    Dal Pra e lo scetticismo medievale

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    Lo studio dello scetticismo medievale è in Dal Pra anche proposta di un pensiero critico che si pone come alternativa alla storiografia idealista e alle indagini puramente filologiche. Giovanni di Salisbury, Nicola d'Autrecourt e l'impossibilità di una fondazione teorica della filosofia

    Could it really have been otherwise? Historiographical implications of the POTENTIA ABSOLUTA and ORDINATA debate

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    The aim of this paper is to resume the debate about the theological concepts of potentia Dei absoluta and potentia Dei ordinata, not starting from the point of view of necessity, bound to divine action and the established order of the world, but rather from contingency. Thanks to the establishment of the Ockhamist position and the theological revolution of Duns Scotus. Thanks to the establishment of the Ockhamist position and the theological revolution of Duns Scotus, contingency becomes one of the most important topics of the XIV century debates

    Linguistic and Cultural Competences in Dynamic Possible Worlds

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    Linguistic and Cultural Competences are closely linked, as they involve the ability to infer and trace truths within knowledge stored in memory. Humans respond to three interrelated questions: Logic, Epistemology, and Ontology. This paper defines a place for Cultural Competence within these philosophies through Epistemic Modal Logic and Dynamic Possible Worlds. Cultural Competence is crucial in social robots: pleasantness goes with it, but it also has practical functions, managing incomplete pieces of knowledge and shortening the customisation. The artificial agent simulates empathy and meta-cognition, enacting justified action plans that conform with ontology and its awareness thanks to the Euclidean S5 accessibility relation between possible worlds

    Il Trattato sulla predestinazione e prescienza divina rispetto ai futuri contingenti di Guglielmo di Ockham

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    Il Tractatus de praedestinatione et de praescientia Dei respectu futurorum contingentium, composto da Guglielmo di Ockham tra il 1321 e il 1324, costituisce uno snodo cruciale nelle discussioni medievali sul tema del fatalismo teologico e sulle questioni che vi sono implicate, come la conoscenza dei futuri contingenti e il compatibilismo tra prescienza divina e libero arbitrio. Raccogliendo e ripensando fonti di diversa provenienza, Roberto Grossatesta e Pietro Lombardo in primis, il Venerabilis inceptor sposta il problema sul piano epistemologico e linguistico, affrontandolo dal punto di vista di un’analisi proposizionale degli enunciati che parlano dei contingenti futuri. In questo modo egli affida agli strumenti dell’argomentazione logica e dell’indagine semantica il compito di sciogliere le implicazioni teologiche della questione, in una teoria che garantisca al contempo la prescienza di Dio e la libera volontà umana. Il principio della soluzione ockhamiana, che costituirà un punto di riferimento – pro o contro – nei dibattiti teologici del XIV secolo, consiste nell’intreccio tra analisi proposizionale e logica fidei, in nome di una soluzione pragmatica del dilemma compatibilista: come mostra il caso esemplare della profezia, gli enunciati della scienza divina costituiscono i postulati di una logica della credenza che poi procede da quelle premesse, attraverso una catena argomentativa, a formulare i precetti che guideranno i passi del cristiano nel mondo. Il volume rende disponibile per la prima volta al lettore non soltanto la prima traduzione in italiano del Tractatus, ma anche un ricco apparato di testi (le distinctiones 38, 39 e 40 dell’Ordinatio, i capitoli 7 e 27 della Summa Logicae, la quaestio IV.4 dei Quodlibeta, le Quaestiones in Libros Physicorum 41 e 44, il prologo della Expositio in libros Physicorum e un estratto dalla Expositio in Librum Perihermeneias Aristotelis) che consente di ricostruire in modo coerente una teoria ockhamiana della contingenza e di gettare luce su una nuova interpretazione del pensiero del teologo e filosofo inglese

    Metter le brache al mondo. Compatibilismo, conoscenza e libertà

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    È possibile ammettere, pensare e addirittura verificare che una cosa che sia accaduta nel passato possa non essere più accaduta in un momento presente? Ad esempio, si può, oggi, fare in modo che Roma non sia mai stata fondata? Come è possibile mutare la regolare causalità degli accadimenti di quel passato – il nostro e quello degli uomini che ci hanno preceduti – che sembra essere fondato sui vincoli di una strettissima necessità? E che dire quando questo sconvolgimento dell’ordine del mondo arriva a toccare anche le possibilità logiche o le scelte di un “Divin Fattore”? D’altro canto, se ribaltiamo il discorso e ci volgiamo al futuro, sapere che qualcuno conosce in anticipo che ogni cosa avverrà o non avverrà, e come e quando, non limita forse la nostra libertà? Quale strada scegliere, allora? Abbandonare il principio di contraddizione, su cui è fondata la nostra logica, oppure lasciar cadere il predicato dell’onnipotenza e dell’onniscienza, che garantiscono a Dio di affacciarsi sulla scena del mondo contingente – quello che noi, qui e ora, vediamo e tocchiamo prima ancora di rappresentarcelo in modo astratto – cambiandolo a suo piacimento? O dovremo abbandonare il principio di un agente divino capace di sapere ogni cosa in anticipo, perché fuori dal tempo e tale da poter cambiare l’ordine nel quale siamo stati gettati? Dovremo forse limitarne la potenza a quella di un orologiaio sottomesso alle leggi che egli stesso ha creato per regolare il mondo? Oppure rinunciare alla capacità di agire diversamente da come si agisca, di dialogare con chi agisce secondo schemi e modelli di credenza radicalmente, o parzialmente diversi dai nostri, o anche solo di pensarlo e di immaginarlo possibile? Insomma, ci sono più cose in cielo e in terra o nella filosofia? Le domande si succedono l’una all’altra come le teste dell’Idra di Lerna, che ricrescevano dalla radice una volta tagliate*. Per usare un celebre modo di dire, molto usato nella filosofia italiana del secolo scorso, sembra quasi che si voglia in questo modo “mettere le brache al mondo”. La costellazione di temi e questioni che si viene così definendo è espressa filosoficamente con il termine “compatibilismo teologico” e riguarda in generale la possibilità che siano conciliabili, in modo tale che l’esistenza dell’uno non implichi la necessaria negazione dell’altro, la necessità dell’ordine del mondo, e con esso l’onnipotenza e la prescienza proprie di un soggetto divino come quello delle grandi religioni monoteiste, da una parte, e la contingenza degli accadimenti, e dunque la libertà umana di autodeterminarsi e di poter agire diversamente da come agisce, dall'altra. All’interno di una tradizione generalmente orientata a privilegiare l’aspetto etico del problema e a ragionare dunque a partire dal fondamento indiscusso del libero arbitrio, abbiamo scelto invece di affrontare le soluzioni di quegli autori che hanno individuato la chiave per affrontare il dilemma compatibilista in una prospettiva legata ad atteggiamenti di natura epistemica, come “credere”, “conoscere”, “sapere”, e percettiva, come “vedere”

    Scotus, Durandus et Nominales. Prescienza e natura dei demoni nell'Exercitium academicum circa praescientia daemonum expendendam occupatum

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    L’Exercitium academicum circa praescientiam daemonum (1666), pubblicato nella riformata Jena, tematizza una questione dibattuta nella Scolastica fra XIII e XIV secolo ma le cui radici risalgono ad Agostino d'Ippona, cui si deve il primo testo sull'argomento: la prescienza dei demoni. L'analisi segue la traccia del De divinatione daemonum agostiniano, mentre appare critica nei confronti delle posizioni di Tommaso d'Aquino e dei tomisti. Ad esse, in particolare riguardo alla natura delle facoltà intellettive demoniche, egli contrappone Giovanni Duns Scoto, Durando di san Porziano e non meglio specificati nominales, accomunati in un indistinto riferimento alla teoria delle species. Ciò non toglie che il testo segua poi Tommaso nell'articolazione delle forme di prescienza dei demoni e nella definizione di questa come conoscenza congetturale. Scopo del nostro intervento sarà infatti mostrare, attraverso l'analisi che per la prima volta sarà condotta sul testo, lo spaccato di una comunità conversazionale nella quale le linee di forza e le distinzioni che animano il dibattito si mostrano autonome rispetto alle posizioni storiche di cattolici e riformati. Nell’Exercitium, Duns Scoto è contrapposto ai tomisti e, con Agostino e Durando di san Porziano – che costituisce una fonte comune del dibattito secentesco insieme a Bonaventura, Aureolo, Suarez, Vazquez, Gregorio di Valencia, e in tale veste sarà ripreso di lì a poco da Leibniz -, è cooptato tra gli autori a sostegno della sua tesi. Lungi dall'essere un esercizio di eclettismo o la stanca ripetizione di formule scolastiche, lo scritto getta luce su un dibattito universitario nel quale le fonti sono usate non come auctoritates ma quale repertorio di teorie da smontare e rimontare; ad esse l’Exercitium attinge per soluzioni che si definiscono in relazione a finalità filosofiche o dottrinali, ma non politiche né confessionali

    Comunicazione dei contenuti culturali e interesse generale

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    Il contributo concerne la possibilit\ue0 di fondare teoricamente la comunicazione del patrimonio culturale e, pi\uf9 estesamente, di interesse generale, sulla base del concetto di paratesto
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