117 research outputs found

    Skilled migration and education policies: Is there still scope for a Bhagwati tax?

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    The Bhagwati brain drain tax proposal dating back to more than thirty years ago has been criticized from different viewpoints. In particular, recent literature has pointed out that this tax would hamper accumulation of human capital by reducing gains from skilled migration. In this paper, it is argued that when taking into account social externalities of human capital, and optimal policies implemented by a government caring only for left behind residents, a brain drain tax tends rather to foster the investment in human capital and increase residents’ income and welfare. The Bhagwati tax could even be universally welfare improving. In fact, if the tax is paid by migrants in addition to the ordinary income taxation, their larger fiscal burden might be outweighed by a higher human capital and gross income. Alternatively, if the transfer is financed by the destination country, its fiscal losses might be outweighed by the advantage of more skilled immigrants.Skilled migration, education policies, Bhagwati tax

    Cost reducing investments and spatial competition

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    In this paper we analyze the relationship between competition and cost reducing investments in the context of a location model. In particular, we derive the symmetric subgame-perfect equilibrium of a three-stage circular city model with closed-loop strategies, and study the effects of changes in competition fundamentals under both a given number of firms and free entryCost reducing investments

    L'impresa subfornitrice:redditivitĂ ,produttivitĂ  e divari territoriali

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    Il lavoro ha per oggetto l’evoluzione del modello di divisione del lavoro fra le imprese nell’industria italiana negli anni ’90. Utilizziamo i dati della “Indagine sulle imprese manifatturiere” condotta periodicamente da Capitalia, che fanno riferimento rispettivamente ai trienni 1994-97 e 1998- 2000. L’analisi econometrica mostra che nel periodo analizzato le imprese subfornitrici hanno beneficiato di migliori performance, in termini di maggiore produttività dei fattori, più alti salari e più elevato rendimento per il capitale investito. Tuttavia, nel processo di crescente ricorso al mercato, il dualismo della struttura industriale italiana si è fortemente riproposto.Divisione del lavoro; Subfornitura; Mezzogiorno d’Italia

    Skilled migration and education policies: Is there still scope for a Bhagwati tax?

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    The Bhagwati brain drain tax proposal dating back to more than thirty years ago has been criticized from different viewpoints. In particular, recent literature has pointed out that this tax would hamper accumulation of human capital by reducing gains from skilled migration. In this paper, it is argued that when taking into account social externalities of human capital, and optimal policies implemented by a government caring only for left behind residents, a brain drain tax tends rather to foster the investment in human capital and increase residents’ income and welfare. The Bhagwati tax could even be universally welfare improving. In fact, if the tax is paid by migrants in addition to the ordinary income taxation, their larger fiscal burden might be outweighed by a higher human capital and gross income. Alternatively, if the transfer is financed by the destination country, its fiscal losses might be outweighed by the advantage of more skilled immigrants

    Divisione del lavoro, crescita e divari di performance nell'industria italiana degli anni '90

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    Questo lavoro si inserisce all’interno di un percorso di ricerca (Giunta e Scalera, 2006, 2007) teso a studiare la natura della subfornitura dell’industria manifatturiera italiana, un ambito di ricerca in cui non sono frequenti analisi su campioni rappresentativi di imprese, quanto piuttosto indagini basate su casestudy. Il nostro punto di osservazione si colloca nella seconda metà degli anni ’90, epoca alla quale si fa comunemente risalire l’inizio della prolungata fase di criticità dell’industria italiana, a seguito della sequenza di shock, endogeni ed esogeni, che mutano strutturalmente il contesto di operatività delle imprese. Nell’arco temporale considerato, in Italia come in molti altri paesi, si è accentuato un processo di profondo mutamento, sia quantitativo che qualitativo, nel modello di divisione del lavoro fra le imprese, che trova espressione nella frammentazione internazionale della produzione con la conseguente globalizzazione del mercato dei beni intermedi. Per l’Italia questo ha comportato l’infittimento delle relazioni verticali interaziendali e una significativa emancipazione del subfornitore rispetto al ruolo tradizionale di captive supplier, confinato ad espletare funzioni di mera trasformazione in un contesto prevalentemente monopsonistico, popolato da faceless transactions. In questo periodo infatti, l’impresa subfornitrice si è andata progressivamente evolvendo come un agente in grado di instaurare relazioni di complementarità con l’impresa committente e di partecipare a network produttivi di carattere transnazionale. In tal senso, una prima indicazione del processo di upgrading viene fornita da Giunta e Scalera (2006, 2007): secondo questa interpretazione, nella seconda metà degli anni ’90, le imprese subfornitrici hanno nel complesso beneficiato di migliori performance, in termini di maggiore produttività e remunerazione dei fattori, più alti salari e più elevato rendimento per il capitale investito. Un dato di particolare significatività è che, nel mutato contesto della divisione internazionale del lavoro, il dualismo Nord-Sud della struttura industriale italiana si è riproposto con nettezza. Nella seconda metà degli anni ’90, a differenza del passato, il Mezzogiorno ha in effetti vissuto una fase di intenso approfondimento delle relazioni tra le imprese, quantitativamente paragonabile a quella del resto del paese. Tuttavia le imprese subfornitrici meridionali hanno realizzato performance di produttività e redditività spesso più modeste delle altre imprese, segnalando con ciò l’esistenza di condizioni di relativa marginalità ed arretratezza e sostanziale subalternità rispetto ai committenti, sia locali che nazionali ed esteri. In questo lavoro intendiamo aggiungere un altro tassello all’impianto conoscitivo, andando ad indagare la relazione tra divisione del lavoro e crescita delle imprese nella seconda metà degli anni ’90. Come sostenuto da più parti, il ristagno dell’economia italiana si configura come un problema di crescita rispetto al quale assumono particolare rilevanza le caratteristiche strutturali dell’industria italiana, che si distingue per la persistenza di una elevata polverizzazione della produzione industriale. Dalla “questione dimensionale” (Traù, 1999) nella sua generalità, intendiamo soffermarci in questo lavoro sull’analisi della dinamica di crescita di quel sottoinsieme di imprese il cui successo deriva per larga parte dalla divisione del lavoro e dagli scambi con le altre imprese. Nel seguito, per semplicità, ci riferiremo a questo sottoinsieme usando la categoria di “imprese subfornitrici”, anche se il termine, largamente diffuso negli anni ’70, appare oggi riduttivo rispetto alla complessità dei compiti svolti da questa categoria di agenti. Nella nuova fase dello sviluppo industriale, le imprese che partecipano alla catena del valore si fanno carico di produzioni complesse (si pensi alla pratica della supply system policy), trasferite all’esterno in seguito a scelte di focalizzazione dell’impresa committente su attività diverse da quelle ad alto contenuto di manifattura. Queste imprese spesso sono in possesso di un’elevata capacità relazionale visto che, con l’eccezione della figura dell’assemblatore finale, adempiono con sistematicità al doppio ruolo di subcontractor in and out, nell’esternalizzare a loro volta le attività meno remunerative alla propria catena di subfornitori. Anche in questo ambito si impone l’imperativo della crescita, data la riorganizzazione in corso della divisione del lavoro tra le imprese. Quest’ultima richiede alle imprese subfornitrici italiane di innalzare la propria dimensione di operatività per fronteggiare la crescente concorrenza proveniente dai paesi produttori a più basso costo; ottemperare alle complesse richieste della committenza; sviluppare capacità relazionali lungo la rete transnazionale di appartenenza, modificare il proprio posizionamento. Più specificamente, gli obiettivi di questo lavoro sono i seguenti: a) comprendere se e come, nella seconda metà degli anni ’90, l’attività di subfornitura1 abbia inciso sulla dinamica di crescita delle imprese manifatturiere italiane; b) verificare se, in coerenza con le interpretazioni recentemente avanzate dal filone teorico della Global Commodity Chain, di cui si dirà nel seguito, l’eventuale maggiore crescita delle imprese subforrnitrici sia almeno in parte da attribuire alla capacità di queste ultime di innovare, per conseguire un upgrading nella catena del valore; c) esaminare l’influenza congiunta di subfornitura e localizzazione, verificando, in particolare, se le imprese subfornitrici meridionali abbiano mostrato dinamiche di crescita significativamente differenti rispetto ad omologhe unità localizzate nel Centro-Nord. Per larga parte, il nostro lavoro si colloca all’interno della letteratura teorica ed empirica ispirata alla legge di Gibrat (1931) della crescita proporzionata (Mansfield, 1962). La novità che vorremmo apportare ad un filone già molto “arato” e popolato da infinite varianti di esercizi di stima riguarda l’attenzione rivolta alla capacità esplicativa della scelta di lavorare in subfornitura e al suo impatto sulle dinamiche di crescita. Sorprendentemente, la relazione tra divisione del lavoro, approssimata dall’incidenza delle lavorazioni effettuate in subfornitura, e crescita non risulta essere stata oggetto di particolare attenzione empirica negli esercizi econometrici che hanno indagato le dinamiche di crescita delle imprese italiane. È interessante al proposito notare, come fa Yasuda (2005), che la stessa carenza di indagine empirica sul nesso tra subfornitura e crescita si rileva anche per il Giappone, che, insieme all’Italia, ha fondato larga parte del proprio vantaggio competitivo sulla divisione del lavoro tra imprese territorialmente radicate, organizzate in Italia in distretti industriali, e, in Giappone, in catene gerarchiche egemonizzate dalle grandi imprese. La verifica empirica del ruolo svolto dalla condizione di subfornitore nelle dinamiche di crescita (sia essa nella forma di espansione del fatturato o di aumento dell’occupazione) è dunque oggetto primario del nostro contributo. Abbiamo tuttavia ben chiaro che la significatività di quel nesso è frutto di processi evolutivi profondamente differenziati, sulla cui natura, stante i dati a nostra disposizione, possiamo formulare solo alcune congetture. Più esplicitamente, data l’eterogeneità delle imprese, la dinamica di crescita, oltre a dipendere da caratteristiche strutturali e organizzative, rilevabili dal database di fonte Capitalia che utilizziamo, è strettamente correlata al tipo di filiera in cui si opera e soprattutto al comportamento dell’impresa e al posizionamento che essa acquisisce nel corso del tempo, come emerge dal fruttuoso filone di analisi della Global Commodity Chain (da ora in poi GCC, Gereffi, 1994, 1999; Kaplinsky, 2000; Henderson et al., 2002). Il lavoro è organizzato come segue. Dopo questa introduzione, nel paragrafo 2 proponiamo una disamina delle caratteristiche di maggiore rilievo della corrente divisione del lavoro tra le imprese, mentre nel paragrafo 3 richiamiamo in sintesi l’approccio della GCC. L’analisi empirica costituisce l’oggetto del paragrafo 4 che è, a sua volta, suddiviso in tre sottoparagrafi: nel primo si presentano i dati utilizzati ed alcune statistiche descrittive; nel secondo si dà conto delle metodologie utilizzate; nel terzo si illustrano i risultati ottenuti. Va sottolineato che tra le variabili esplicative della crescita delle imprese si considerano insieme o alternativamente: a) variabili “canoniche” come l’età, la dimensione e la passata dinamica di crescita; b) variabili organizzative tra cui, primariamente, l’incidenza della subfornitura sul fatturato, l’innovazione di prodotto e l’investimento in ICT; c) la variabile strutturale “localizzazione”, per l’interesse che riveste nel nostro lavoro la presenza di eventuali differenziali di crescita tra imprese del Centro- Nord e del Mezzogiorno. Il paragrafo 5 raccoglie le principali conclusioni.

    The best and brightest. Positive selection and brain drain in Italian internal migrations

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    During the last decade, the internal migration flows from Southern Italy to the central and northern regions of the country have become more significant. Unlike the past, these flows are characterised by a strong incidence of qualified workers with secondary or tertiary education. Also, even in this restricted set of workers, the most talented (the best and brightest) individuals are the ones showing the highest propensity to migrate. This paper applies a binary segmentation technique to a database of 10701 individuals graduated at Palermo and Naples universities between 2004 and 2007 in order to get groups with mostly differentiated attitudes to migrate. The evidence shows that variables driving segmentation (i.e. the most relevant variables in explaining the propensity to migrate) are the subject of study (who graduates in engineering and scientific disciplines is more mobile), the graduation mark (who gets higher marks is more likely to migrate) and the family social and cultural background. This strong positive self selection of migrants enhances the ability of internal migration to trigger considerable harmful effects on origin regions and jeopardises Southern Italy to suffer from heavy losses of human capital.internal migration; positive self selection of migrants

    Global value chains and energy-related sustainable practices. Evidence from Enterprise Survey data

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    Participation in global value chains (GVCs) can affect the deployment of clean energy technologies and influence firm-level energy management. However, the sign of this influence is debated, especially for less developed economies, since GVCs can favor the absorption of more advanced technologies and the adoption of greener energy practices, but on the other hand they can help export polluting productions from countries with strict environmental regulations to weakly regulated developing countries. Drawing on Enterprise Surveys conducted in 2018–2020 on a large cross-section of firms operating in different industries and countries, and applying regression analyses and propensity score matching, this is the first firm-level study aiming to shed light on the relationship between firm participation in GVCs and the adoption of energy-related sustainable practices. In addition, the analysis allows for a heterogeneous impact of GVCs, conditional on firms’ characteristics and external conditions, such as institutional quality. Overall, we find that participation in GVCs is positively asso- ciated with firm propensity to adopt green energy practices. For smaller and younger firms, operating in poorer institutional contexts, and/or less endowed in terms of human capital or financial resources, being engaged in GVCs has milder effects on the adoption of greener practices. By contrast, manufacturing companies located in high-income countries are those showing the strongest impact of GVCs on energy management

    ‘New’ Regional Policies of the EU and the Italian Experience

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    The new participatory approach of Italian policymakers to regional policies has led to a set of instruments called negotiated planning. In this paper it is argued that the new measures may suffer from drawbacks similar to the ones often imputed to public enterprise: ambiguity of objectives, scant accountability, dependence from political lobbies, which can be serious obstacles for policy effectiveness. To direct the abundant resources still untapped towards activities favourable for development, it is instead necessary to debureaucratise the economy, removing power and opportunities for rich pickings from political groups, bureaucracies and local potentates. To this end, a type of public enterprise able to overcome the failures of the past and to operate efficiently in competition with private firms, could achieve the fundamental objectives of generating positive externalities and beneficially altering the returns pattern of private activities

    Subcontracting in the Italian industry. Labour Division, Firms’ Growth and North-South Divide

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    By making use of a 4000 firms database, this paper analyzes the dynamics of division of labour among Italian manufacturing firms during the '90s, and seeks to assess the impact that subcontracting has on manufacturing firms' growth. In particular, we investigate the relationship between labour division and firms' growth with three specific objectives: a) to understand whether and how subcontracting may have affected firms' growth dynamics; b) to test if larger growth could be due to stronger incentives to innovate for subcontracting firms and c) to study the joint influence of subcontracting and location in Southern Italy on growth. The main results are that i) the propensity to carry out subcontracting activities is relevant for growth, especially when allowing for a nonlinear relationship between growth and subcontracting; ii) more innovative subcontracting firms are also more susceptible to grow and iii) the deep dualism of the Italian industrial structure is once again confirmed, as Southern subcontractors show poorer performances and slower growth
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