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    I giovani migranti dei centri di aggregazionegiovanile della provincia di Modena

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    Nel dibattito mediatico e sociale si tende spesso a trascurare quanto i fenomeni migratori che interessano il nostro paese siano da tempo divenuti elemento permanente della nostra società. Da almeno venti anni a questa parte, persone di nazionalità straniera vivono, lavorano e crescono i loro figli nelle nostre città, quella dei migranti di seconda generazione è una realtà concreta che deve invitare istituzioni e servizi ad una riflessione ormai non più rinviabile. La trasformazione irreversibile avvenuta nella geografia umana e sociale del nostro paese interroga le istituzioni e i servizi sulla loro identità, le loro logiche, metodologie e impianti organizzativi (Barbetta, Boi, 1998). L’immigrazione ed i suoi “figli” mettono in discussione i principi che stanno alla base del lavoro sociale e allo stesso tempo spingono all’aggiornamento, alla revisione del proprio sapere e del proprio agire. Questa è l’esigenza che costituisce il punto di partenza da cui prende le mosse questo lavoro di ricerca. La provincia di Modena, in particolare, si colloca tra le zone a maggiore concentrazione di famiglie migranti da tempo insediatesi sul territorio; questo ha contribuito a farle conseguire il primato tra le altre province italiane per il più alto numero di studenti immigrati. Secondo i dati forniti dal Miur (2005) Modena, con il 9,8% di studenti stranieri, risulta essere la quarta provincia d’Italia con una presenza più significativa di minori stranieri nelle scuole. Il numero di studenti stranieri è aumentato circa del 20% rispetto all’anno scolastico 2003-2004 (da 7.248 a 8.867). Questo dato è, in parte determinato dalla politica dei ricongiungimenti familiari, in parte un effetto del consolidamento della presenza della popolazione immigrata nel territorio italiano. Ciò implica che bambini figli di immigrati, nascono e crescono in Italia andando a costituire quella che, generalmente, è chiamata seconda generazione (Caggiati, 1995). A fronte di questi dati negli ultimi anni i servizi sociali ed educativi hanno realizzato ricerche ed interventi di vario tipo con l’obiettivo di individuare strumenti per favorire l’inserimento e l’integrazione degli alunni stranieri. Nei contesti scolastici, in particolare, sono state investite maggiori risorse per la realizzazione di programmi destinati a tale scopo. Tuttavia, come emerge dall’analisi della letteratura, scarsa attenzione è rivolta al contesto extrascolastico, ovvero alla gestione di tempi e spazi al di fuori del percorso scolastico. In altre parole, come i preadolescenti e gli adolescenti immigrati gestiscono il tempo libero? Quali sono i luoghi che frequentano? Come sono strutturati i gruppi informali? E, in modo speculare, come si pongono gli operatori che lavorano nei centri di aggregazione giovanile nei confronti di ragazzi immigrati? Qual è la percezione che loro hanno dei bisogni e delle esigenze di questi giovani? Oltre a ciò un ruolo importante è rivestito dalla famiglia di origine dei ragazzi che può essere maggiormente rivolta alla chiusura e all’inclusione, o al contrario, favorire l’integrazione. Sulla base di tali considerazioni, nel gennaio del 2006 la provincia di Modena ha commissionato al Dipartimento di Psicologia dell’Università di Parma un progetto di ricerca-formazione finalizzato ad esplorare lo spazio di vita dei ragazzi migranti nel tempo extra-scolastico. Il progetto si è articolato in un momento di raccolta dati nei centri giovanili della città di Modena e della provincia e in un momento propriamente formativo rivolto agli operatori che lavorano in tali strutture. La fase di ricerca, in particolare, ha previsto tre fasi che hanno coinvolto soggetti e metodologie diverse. La prima fase è consistita in una vera e propria “mappatura” dei centri giovanili presenti nel territorio di Modena e provincia (fig. 1). La somministrazione di una scheda socio-anagrafica ha consentito di rilevare dati quantitativi sulle caratteristiche socio-anagrafiche e sulle attività svolte dagli utenti che accedono a 20 centri ad alta affluenza di adolescenti migranti di Modena e provincia (tab. 1). Da questa prima rilevazione sono stati quindi selezionati 8 centri (tab. 2) in cui sono state realizzate 26 interviste semi-strutturate a ragazzi/e migranti. In questa seconda fase sono stati indagati in profondità alcuni contenuti emersi dai dati quantitativi concernenti la gestione del tempo libero extra-scolastico dentro e fuori dai centri. L’ultima fase del progetto ha previsto il coinvolgimento degli operatori dei centri attraverso la partecipazione a gruppi di discussione (con finalità sia di ricerca sia di formazione) in cui sono state indagate le rappresentazioni del giovane migrante, dei suoi bisogni e l’identità dei centri giovanili. Sono stati così realizzati 3 focus group (uno a Vignola, uno a Carpi ed uno a Sassuolo) a cui hanno partecipato 16 operatori ed uno conclusivo a Modena, in cui sono stati invitati i rappresentanti delle politiche giovanili dei vari distretti provinciali. Nei capitoli seguenti verranno trattate nel dettaglio le premesse teoriche che hanno guidato l’impianto della ricerca-formazione, le fasi della ricerca e i risultati emersi

    Il percorso di continuití  assistenziale ospedale-territorio nei pazienti con gravi cerebrolesioni acquisite. Le aspettative dei caregiver e dei professionisti

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    RIASSUNTOUtilizzando il modello teorico della GAP Analysis sono state analizzate le percezioni che gli operatori sanitari e i caregiver di pazienti "Gracer" (Gravi Cerebrolesioni Acquisite) hanno della continuití  assistenziale (declinata in informativa, organizzativa e relazionale), per rilevare quali sono gli aspetti su cui il divario tra aspettative e realtí  viene maggiormente sentito e quale è la dimensione della continuití  assistenziale più importante sia per i professionisti della salute che per i caregiver. 122 professionisti della salute e 21 caregiver di pazienti Gracer ricoverati (fra 12 e 36 mesi dall'evento acuto) in quattro strutture sanitarie della regione Emilia-Romagna che utilizzavano e applicavano il Piano Assistenziale Individuale (PAI), hanno compilato un questionario riadattato dal ServQual per rilevare la percezione che i partecipanti avevano della continuití  assistenziale informativa, organizzativa e relazionale effettiva (piano reale) ed attesa (piano ideale) nelle strutture sanitarie considerate. Per entrambi i gruppi la dimensione più importante della continuití  assistenziale è risultata quella relazionale seguita con notevole scarto da quella informativa e da quella gestionale. I professionisti sanitari hanno descritto la realtí  come peggiore delle aspettative in quasi tutte le dimensioni considerate. Per i caregiver la realtí  è risultata peggiore delle aspettative soltanto per alcuni aspetti relativi alla continuití  informativa e gestionale. La ricerca ha messo in evidenza che la dimensione relazionale della continuití  assistenziale andrebbe ulteriormente indagata, come confermato anche in letteratura. Occorrerebbe inoltre approfondire presso i professionisti l'area di insoddisfazione risultante dal bilancio negativo tra aspettative e realtí . Parole chiave: Continuití  assistenziale, caregiver, professionisti della salute, soddisfazione, lesioni cerebraliABSTRACTThe present study analyses how continuity of care is perceived by health professionals and GRACER (Gravi Cerebrolesioni Acquisite Emilia Romagna) patients' caregivers, in order to investigate where the gap between expectations and reality is more heavily felt and which dimension of the continuity of care is the most important both for health professionals and GRACER patients' caregivers. The study has been developed following the Gap Analysis theoretical model. A questionnaire, based on ServQual model, was used to collect data about the three dimensions of the construct of continuity of care related to information, management and relation, declined along the lines of expectations and perception of reality. The questionnaire was administered to health professionals and caregivers of GRACER patients (12-36 months after the event) inside 4 healthcare institutes in Emilia Romagna. The PAI (Piano Assistenziale Individuale) approach was the methodology applied in these 4 sites. To both groups the relational continuity was the most important dimension, followed at a long distance by the informational and the management ones. It has also been noted that to professionals reality is always worse than expectations, with the exception of only two items in the dimension of management continuity. To caregivers reality is worse than expectations in some items in the dimensions of information and management The study has shown that the relational dimension of continuity of care should be more investigated, as confirmed by literature. More research is needed about the professionals' dissatisfaction generated by the negative balance between expectations and perception of reality.Key words: Continuity of patient care, caregiver, health professionals, expectations, perceptions, customer satisfaction, brain injur
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