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Sintesi drammaturgico-musicali nella narrazione verdiana
La narrativité représente l'un des points cruciaux de la tension émotive des oeuvres de Verdi. Elle se résout dans des synthèses qui déterminent à la fois l'action scénique et la structure instrumentale et vocale de la musique. Ces solutions sont évidentes dans bien des oeuvres et se retrouvent dans les vicissitudes (ou les antécédents) de l'oeuvre, l'identification des personnages, les visions syncrétiques des thématiques et des atmosphères du drame, chargées d'un sens psychologico-émotionnel particulier (aspects historiques, exotisme, intensité des prières individuelles ou chorales). Ces éléments sont approfondis dans des oeuvres telles que "Rigoletto" et "Il trovatore" (densité du finale), "La traviata (passages spatio-temporales), "Aida" (évidente volonté de 'parola scenica'), de meme que dans les solutions musicales de passages dramaturgiques déjà présents chez Shakespeare et Schiller ("Otello" et "Don Carlos")
L'Intuizione Poetico-Musicale nello Spazio Quadridimensionale
La scoperta della cosiddetta energia oscura, dai cosmologi ribattezzata quintessenza, costituisce uno degli aspetti più affascinanti della teoria generale della relatività. La seconda parte del saggio si pone l'obiettivo di interpretare l'intuizione poetico-musicale nell'ambito della quadridimensionalità. La musica, in quanto simbolo dei misteri dell'Universo sin dalla più arcaica antichità e allo stesso tempo definibile come organizzazione del tempo e del suono, appare tra le Arti quale relazione più profonda tra conscio ed inconscio. Da un'analisi fondata sulle regole della composizione, applicata secondo un metodo meta-induttivo, possono essere ritrovati principi ontologici ed elementi costanti nella creatività che ricompaiono, in se stessi irripetibili, nelle opere geniali ed in un presente a-temporale di tipo (4-d), per quanto espresse nei modi e nelle forme della transeunte esperienza storica (3-d). Alla luce dei Gedankenexperimente di Einstein,la confluenza con determinanti raggiungimenti scientifici mira a riconoscere in quest'arte e nelle sue polivalenze il medium privilegiato tra piani pluridimensionali. La captatio dell'energia immateriale (lambda)appare quindi prerogativa del genio inteso come mens dalle superiori attitudini intellettive e cognitive
The performance of works by Fryderyk Chopin as an aesthetic-historical phenomen
La performance chopiniana ha sempre rappresentato un avvenimento singolare: dalle rare apparizioni in concerto di Fryderyk Chopin alle esecuzioni storiche connesse alle personalità uniche dei grandi interpreti. A questa tematica è legata sia la questione della relazione compositore/testo-interprete, sia l’attesa da parte della critica e del pubblico, di quel leggendario clima musicale. La recezione chopiniana, infatti, è sempre stata collegata sia alla percezione sentimentale-affettiva, relativa alla vita interiore ed alla sua metafora, che alla dimensione estetico-psicologica secondo una visione dell’arte filtrata nella critica e nella storia. Il variare delle epoche, e quindi le metamorfosi del gusto, hanno portato a concezioni esecutive spesso lontanissime tra loro. In una prospettiva più profonda, la questione riguarda l’immaginario chopiniano considerato in rapporto all’idea compositiva, interpretativa e fruitiva nell’esperienza simultanea. Nel concerto chopiniano, , acquista un ruolo fondamentale la relazione (soggettivo-oggettiva) tra l’idea-rappresentazione e la Stimmung unita ad essa: il fulcro consiste nel punto di incontro tra la forma sonora ontologica insita nell’essenza stessa dell’opera e quella fenomenologica della creatività dell’interprete. E’ in questo momento che il ruolo dell’esecutore (ri-creatore) assume la funzione centrale della performance nel suo divenire. Pertanto, della dimensione dell’ immaginario creativo e ricreativo fanno parte sia il momento della comunicazione-rappresentazione che quello dell’attesa-ascolto-recezione. La verifica si ha nelle testimonianze storiche e nei maggiori esempi del pianismo chopiniano, appartenente alle più significative personalità degli interpreti, alle mode, alle diverse tradizioni e scuole, così come al quadro storico-nazionale ed estetico-universale
La figura del direttore d'orchestra nella dimensione storico-estetica dell'Ottocento
La direzione d’orchestra affonda le radici storiche nel XVIII secolo, anche se, nella sua dimensione autonoma, rientra in una tradizione che si presenta all’inizio dell’Ottocento evolvendosi, nel corso del secolo, fino a ricoprire un ruolo centrale nell’ambito dell’interpretazione musicale. Alcune delle varianti di tipo estetico e stilistico furono determinate dal fatto che la prassi interpretativa, per molto tempo, fu unita all’attività creativa, attraverso grandi figure della composizione e del virtuosismo: la stessa evoluzione concertistica nei suoi particolari aspetti, non poté distinguersi dalla gestualità, poiché la loro poetica creativa rappresentò un tutt’uno con lo strumento.
Furono gli stessi compositori-virtuosi a determinare i modi, e quindi, la spettacolarità o la comunicazione più intima delle loro performances: ne furono simbolici esempi Niccolò Paganini, Franz Liszt o Fryderyk Chopin. Iniziando da Gaspare Spontini, Carl Maria von Weber o Ludwig Spohr, tuttavia, va sempre più delineandosi la figura del compositore alla testa della compagine orchestrale, sia per quanto riguarda l’opera che la musica sinfonica.
A seconda dei periodi dello stesso Ottocento e dei diversi generi musicali, nuove tendenze segnano anche la direzione rispetto a questioni interpretative legate all’ampliarsi degli organici, agli accompagnamenti degli strumenti solistici, delle voci. Si confermano così tradizioni tecnico-espressive più sensibili alla libertà belcantistica o del fraseggio, o maggiormente legate alla disciplina sinfonica e sempre più identificate attraverso la precipua abilità e sensibilità direttoriale.
Nell’ampio ambito delle relazioni tra compositori, virtuosi, e direttori, l’attenzione viene qui dunque posta su differenti caratteristiche riferite alla consuetudine teatrale-operistica o puramente strumentale: la direzione della prima esecuzione delle Sinfonie beethoveniane a Parigi da parte di François-Antoine Habenek, letta anche attraverso gli scritti di Hector Berlioz, pose già una questione interpretativa; in tale prospettiva compare anche, sul nascere, il rapporto spesso difficile del solista con il direttore: la questione dell’esecuzione dei Concerti di Chopin che poneva il problema dell’accompagnamento dei “rubato”, a partire da Józef Ksavery Elsner a Carlo Soliva a Varsavia; l’incontro per la diffusione di nuovi repertori quale ad esempio quello di Robert Schumann con Felix Mendelssohn rispetto alla musica sacra e sinfonica.
Con la seconda metà dell’Ottocento, le questioni interpretative vertono sempre più sulla pura direzione d’orchestra: così avviene con lo stesso Liszt a Weimar, sia per i repertori che per l’esercizio della direzione, dai propri Poemi sinfonici ai drammi wagneriani o, ad esempio, con Pëtr Il’ič Čajkovskij. In una tale prospettiva, anche per la direzione, si afferma inoltre l’idea di Scuola accanto a quelle degli strumenti solisti.
Fa parte del quadro dell’epoca, con lo sdoppiarsi della figura del direttore e del compositore, l’insorgere stesso di questioni che assumono sovente aspetti, oltre che interpretativi, personali: basti ricordare il rapporto Richard Wagner-Hans von Bülow o quello di Giuseppe Verdi con i suoi direttori. E’ comunque certo che, nonostante le differenziazioni di concezione e di stile, l’idea carismatica del direttore d’orchestra, nata nel XIX secolo ed evolutasi nelle sue componenti gestuali e tecnico- espressive, fu per molti anni legata alla tradizione di questi Maestri, ciò almeno sino ai grandi direttori degli anni ‘50-‘60 del Novecento
El mito de Don Quijote en la doble vision de héroe y antihéroe
E’ indubbio che figure come Don Chisciotte o Don Giovanni sconfinino nelle leggende divenendo miti nella storia della cultura e dell’arte soprattutto perché la loro idea appartiene al potenziale fantastico umano. In ciò consiste il gioco sottile dell’ironica fantasia di Cervantes che ne permette il perdurare nella fenomenologia della ricezione soggettiva e collettiva: una critica a τóποι del passato, in questo caso alla cavalleria tramandata dalla letteratura e nei secoli, che al contempo si fa nostalgia e quindi sogno impossibile. La figura del celebre hidalgo è da vedersi, nella concezione culturale del XX secolo, come l’emblema di una crisi profonda ed alienante che gli restituisce, paradossalmente, le valenze simboliche di un mito. Il “cavaliere dalla triste figura” prolunga la sua ombra attraverso i secoli entrando a far parte degli archetipi di memoria junghiana e, come tale, della psiche umana soggetta al mutare della forza morale ed etica nelle varie epoche. Il suo simbolo perciò si ripete trascorrendo dalle visioni letterarie e teatrali più aderenti alla realtà e alla natura, a quelle più metaforiche del linguaggio musicale, tra la ragione e il sogno, nelle dimensioni immaginarie e nelle avventure del pensiero