116 research outputs found

    Genetics and genomics of BNCT among basics and perspectives

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    The Boron neutron capture therapy (BNCT) bases its therapeutic action on the selective ability to induce DNA damage of tumor cells with the aim to cause their death by apoptosis or necrosis, preserving as much as possible the normal cells. The genetic variability is an evolutionary mechanism of species survival and improvement according to which diversity in genetic configurations exists among individuals of a population, revealed also in different tolerance to insults and reparative ability of DNA damage induced by physical and chemical agents. A tumor, due to its intrinsic genomic instability, acquires the mutator phenotype and may, during the cell duplications, generate in the same individual neoplastic cells with different mutations which, by clonal selection and expansion, may change some characteristics of the tumor, for example, the aggressiveness and the over-capability to repair DNA breaks to withstand therapies DNA damage-based, such as BNCT. It follows that we must also take account of genetic / genomic parameters of every patient in order to give greater success to BNCT. It would be desirable to act on at least two fronts. 1- Improve boric carriers to give less systemic toxicity (Imperio et al., 2017), greater specificity to the delivery (Wang et al., 2017) and avoid that even a few genomic insult can trigger oncogenic mutations in normal cells, especially in subjects with a risk-genotype(s). 2- Associate genetic studies to determine the preventive patients genotype for some key-genes, the so called \u201dgenome guardians\u201d as TP53 (Seki et al., 2015), BRCA, P16, etc and add this genetic data for an evaluation of the risk / benefit of BNCT cycles. In fact, a patient with a constitutionally heterozygous genotype for some of these key-genes has certainly more risk to have greater genomic instability, BNCT-induced, in normal cells and to generate other secondary tumors. It would also be necessary, when logistically possible, to have serial data from tumor biopsies taken with cyclical time, to detect the genetic / genomic evolution of the tumor, in terms of silencing of certain genes involved in the DNA repair capability. Two recent in vitro studies, in fact, show that deficient cells for gene for DNA ligase IV (LIG4 - / -) are much more sensitive to the effects of BNCT of other proficient cells for this gene (Kondo et al., 2016) and that, on the other hand, may exist apparently healthy subjects, carriers of mutations for LIG4 but totally asymptomatic for cancer or related syndromes (Felgentreff et al., 2016). The first study opens hopeful scenarios in terms of efficacy of BNCT to cancer cells while the second raises the possibility that predict cycles of BNCT on subjects which are constitutionally and asymptomatically carriers of LIG4 mutations can expose them to develop secondary tumors in tissue districts unrelated to the primary tumor. In conclusion today it is necessary to apply also to the BNCT the principles of Pharmacogenetics and Pharmacogenomics that now are spreading in oncology therapy thanks to the massive DNA sequencing techniques. These sciences personalize treatment strategies with the help of genetics and genomics to maximize their curative effects and minimize those unpleasant

    La conservazione della biodiversità dei boschi nativi: un investimento in “salute genetica”

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    Tutti i viventi sono fenotipicamente diversi fra loro e mostrano, anche all’interno della stessa specie, variabilità fenotipica che li rende peculiari e unici. Soltanto in uno scenario di grande diversità, infatti, è possibile distinguere un individuo da un altro e di conseguenza può essere asserito che l’unicità è la funzione della diversità, tanto per gli animali che per i vegetali. Queste differenze fenotipiche sottintendono, com’è ovvio, una differenza genotipica, una variabilità genetica che è la base della biodiversità all’interno di uno stesso genere. Prendendo in considerazione il genere Prosopis, ad esempio, un albero giudicato patrimonio boschivo in Argentina, possiamo asserire che sono presenti almeno 14 specie di questo genere che rappresentano un patrimonio notevole in termini di biodiversità da salvaguardare. La variabilità genetica è sostenuta dalla variabilità di sequenze del DNA degli individui la quale a sua volta è innescata da mutazioni genetiche appositamente selezionate, in termini di fitness, dall’ambiente in cui vive il soggetto. Individui diversi hanno diverse reazioni per stessi stimoli ambientali e quindi è ormai ampiamente riconosciuto che la biodiversità è il principale meccanismo usato dall’evoluzione per diversificare i viventi sul pianeta ed anche per dare agli individui di una stessa specie diverse possibilità di sopravvivere in caso di forti pressioni negative ambientali. La biodiversità è quindi una misura quantitativa della “salute genetica” di una specie, infatti, quanto più diversità essa ha al suo interno, tante più chances di sopravvivenza avrà in caso di ambiente ostile. Oggi è possibile rivelare questa biodiversità estraendo il DNA dell’individuo, amplificando specifiche sequenze (microsatelliti) e valutando le diversità alleliche per questi specifici loci. Per il genere Prosopis la ricerca è più avviata essendo stati pubblicati ad oggi 12 sequenze microsatellitari con cui misurare la specifica biodiversità; è quindi possibile fornire per questa specie, più che per altre del patrimonio boschivo argentino, l’informazione dello stato di salute genetica della specie per poter avviare, eventualmente, con congruo anticipo, protocolli di salvaguardia della biodiversità. Quando, infatti, una specie comincia a perdere biodiversità, per esempio per opera di attività antropiche dirette o indirette, inevitabilmente, generazione dopo generazione, sarà composta da individui con poche differenze genomiche e fenotipiche: questo riduce di molto la fitness degli individui e della specie in questione. Volendo schematizzare le conseguenze che ne scaturiranno, può essere detto che un’unica eventuale ostilità ambientale potrebbe estinguere la specie perché cagiona gli stessi fatali danni ad individui uguali che quindi non potranno che mostrare uguali debolezze. Conservare la biodiversità di qualunque vivente del pianeta è quindi un dovere biologico che tutti dobbiamo sentire come prioritario, specialmente se le specie in questioni sono alberi da bosco poiché questi rappresentano una garanzia di vita per moltissime altre specie, uomo incluso

    Genetic polymorphisms and epigenetics changes in human metabolizing enzymes genes to predict differential therapeutic drug effects

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    It has been understood that genetic variability can influence individual ability to metabolize drugs (Kiyohara C. et al., 2002). In particular, sequence changes into some genes give to subject a variable capability to response to a therapy protocol, to begin a resistance toward therapeutic drugs or, on the contrary, to be more sensible to it: the genes of CYP-family, CYP2A6 and CYP2E1, are good examples. Nevertheless, gene expression can be affected either by DNA sequence mutations (polymorphisms) or by “epigenetic modifications”, such as DNA methylation of a CpG islands in a gene promoter ion (Zhu J. et al., 2009). For these reasons, it is indispensable, today, to integrate genetic analyses with epigenetic data, especially with the aim to determine the appropriate personalized therapy in presence of some particular genotypes and specific DNA methylation patterns. Moreover, the obtained data can be used to determine “susceptibility integrated profiles”, very useful in prevention, diagnosis and therapy of some tumors. This project aims to assess, in human cellular lines, the relationship between genetic and epigenetic variations of some genes, the capability to metabolize some drugs as consequence to have those (epi)genotypes and the final effects that treatments do in terms of cytogenetic tests (micronuclei, sister chromatid exchanges, comet assay, etc). Firstly we have to clarify the promoter region of CYP2E1 gene (as a model of other CYP genes) to understand its epigenetic influence in its gene expression. Obtained data can contribute to a personalized therapy, according to more recent and relevant therapeutic criteria

    Luci ed ombre sul DNA: non è solo un modo di dire!

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    E' ormai assodato che ogni essere vivente, uomo compreso, ha caratteristiche che meglio lo fanno adattare all'ambiente in cui vive ed è anche altrettanto noto che all'interno di una stessa popolazione di viventi la presenza di variabilità è garanzia di adattamento all'ambiente mutevole. La variabilità genetica ha origine nel DNA, unica macromolecola in grado di gestire identità e diversità dell'informazione al susseguirsi delle generazioni; questo, nel grande tempo evoluzionistico, attraverso meccanismi di mutazione genetica e selezione ambientale, ha fatto si che ogni singolo vivente erediti una capacità differenziale di adattarsi finemente all'ambiente in cui vive. Per una cellula umana, la luce, in quanto energia, può promuovere importanti metabolismi, ma è anche fonte di mutazione per il DNA e perciò può essere ascritta fra i promotori di variabilità genetica. Oltre certi limiti, però, è anche fonte di danno cromosomico, e quindi di disfunzioni metaboliche, di gravi patologie, cancro compreso. E' per questo che nell'arco evolutivo la cellula delle specie animali più "recenti", ha sfruttato la luce come catalizzatore metabolico per reazioni biochimiche indispensabili alla vita ma, in tutti quegli ambienti dove la principale fonte di luce (il sole) era maggiormente presente, attraverso processi evolutivi di variabilità genetica, ha imparato a difendersi dai suoi effetti esagerati e dannosi. Nella specie umana, ad esempio, alcune popolazioni viventi in zone climatiche con una componente UV solare alta, hanno svi-luppato un fenotipo "pelle scura" rispetto ad altre popolazioni che invece vivono in zone non molto colpite dalla radiazione solare che invece mostrano un fenotipo "pelle chiara" per riuscire a catturare il più possibile fotoni utili a soddisfare i metabolismi vitali luce-dipendenti. Luci ed ombre sul DNA: non è solo un modo di dire

    Le metiltrasferasi (DNMT): macchine molecolari che regolano l'espressione genica attraverso meccanismi epigenetici

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    Oggi è noto che un gene si esprime non soltanto in base alla sequenza primaria del suo promotore, ma anche in base alla possibilità che la cromatina locale ha di accogliere fattori di trascrizione trans-agenti. La metilazione della citosina del DNA e uno fra i più studiati meccanismi di rimodellamento della cromatina e quindi di regolazione dell'espressione genica, maggiormente negli eucarioti. Spostare metili, metilare o demetilare opportune sequenze regolatorie dei geni significa regolare la loro espressione genica senza modificare la sequenza del DNA e questo è oggetto di studio dell'Epigenetica, una scienza di nuovo interesse, che riesce a spiegare fenomeni prima non a pieno compresi, insorgenze di alcune patologie e sopratutto, come l'interazione del genoma di una cellula con l'ambiente esterno possa portare a modifiche, talvolta ereditabili, dell'espressione genica. Gli enzimi che spostano metili si chiamano DNA-metiltrasferasi (DNMT) e sono quindi un gruppo di enzimi recentemente studiati proprio perché a loro è deputato il compito di variare il trascrittoma, anche in assenza di variazioni genomiche

    Water: The First Archaic Mutagen of Evolution, the Adoptive Mother of Currently Nucleic Acids

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    It would be intuitive to think that for the evolutionary onset of nucleic acids, and even before of their monomeric constituents, the water was crucial. Within the series of evolutions which start from the origin of the universe and still cannot, by definition, be considered concluded, certainly among the geothermal evolution end and the beginning of the chemical one, on Earth, the moment was favorable for the arrival of the first proto-nucleotides: from underground deposits of methanehydrate [1] and phosphate, with the support of all known pre-biotic physical-chemical conditions, were made the monomeric components of nucleic acids. The cradle of nucleic acids does not seem to have been so fundamentally aqueous, but organic. In fact, thinking back that “all the major biopolymers are metastable in aqueous solution” [2], it is easy to conclude that in those days a proto-nucleotide, or better its carbohydrate, in the aqueous phase would have shown all its inadequacy. However, knowing how today is made a nucleic acid, it is evident that the fine evolutionary strategy has distinguished, for this event, two necessities and consequently has chosen two evolutionary times and two different environments to achieve them: 1. To ensure the synthesis, the events have selected an underground environment basically non-aqueous and consequently not hostile to the nucleotides in general and to the carbohydrate component, in particular. Additionally, the evolutionary randomness system selected ribose as more stable pentose. 2. To guarantee the flexibility, in terms of information variability that the future nucleic acid must keep for not stop the subsequent biological evolution, it was necessary to introduce this new chemical molecule in an environment that can determine a controlled and controllable instability. In fact, with the advent of the ancestral rains, aqueous surface environment has triggered a sort of proto-mutation. Today, mutagenesis teaches us that in the water can, for example, take place more easily the deamination that converts cytosine into uracil, adenine into hypoxanthine and guanine into xanthine [3], all transformations that change, in a DNA or RNA, the genetic significance of the coded message, adding variability. From this point of view, water could be classified as the first archaic mutagen of evolution. Studies of the 80s of the last century also show that the water is able to exchange the chemical-physical parameters of the DNA double helix by moving it from a conformation to another one: for example, the DNA-A is assumed when it is in the presence of little water and instead form B is taken in the presence of a lot of water [4]; this is because the water modifies the strength of hydrogen bonds bridge and the Coulomb forces [5]. Since epigenomics and interactomics reporte today that several biomolecular meanings are associated with different conformations of DNA helix, we can say that the water has actually modulated and continues to modulate the structure and the function of a nucleic acid. Coming to the current today’s genomes we can conclude that the presence of a DNA in an aqueous substrate encourages its instability conformational and informational, helping to give to living organisms the rudimentary genetic variability [6] and ensuring the biosphere for the continuation of biological evolution. We can define the water as the adoptive mother of nucleic acids: a mother which has not given birth but has accompanied for the rest of existence that which has not generated

    Flora e fauna antartica di interesse biotecnologico: esperienze e future prospettive in Italia ed Argentina

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    L’Antartide è un ambiente in cui sono presenti contemporaneamente estreme condizioni di temperatura, luce, umidità e vento. La biosfera locale presenta una notevole biodiversità ed una serie di fenomeni unici usati come soluzioni per poter vivere a queste condizioni. La componente più rappresentata è quella microbica e batterica in particolare; sono stati infatti recentemente descritti, da gruppi di ricerca dell’Università di Messina in collaborazione con l’Università di Palermo, batteri in grado di produrre delle molecole antibiotico-simili con spiccate proprietà batteriostatiche nei confronti di ceppi opportunisti particolarmente temibili in caso di infezioni in soggetti affetti da Fibrosi Cistica. Studi condotti da esperti Argentini e di altri paesi dell’America latina hanno portato alla scoperta di altre comunità batteriche con grosso potenziale biotecnologico sfruttabile nell’industria alimentare e dei mangimi animali, tessile, dei biocarburanti, delle sintesi chimiche e biosintesi industriale. Altri studi hanno permesso di conoscere batteri antartici efficienti degradatori di idrocarburi poli-aromatici da usare in protocolli di ”bioremediation” del suolo ed infine batteri in grado di produrre una quantità di acidi grassi del tipo omega-3, oggi molto usati come integratori alimentari, con una efficienza tale da risultare competitivi rispetto all’estrazione dal grasso di pesce, ritenuta non più ecosostenibile. L’Antartide è anche fonte di avanzamento di conoscenza in scienza di base; sono stati, infatti, recentemente descritti virus a RNA che forniscono una valida spiegazione alla biodiversità microbica di questi luoghi grazie alla loro straordinaria capacità di mutare il proprio acido nucleico ad una velocità notevole e di trasferire queste variazioni ai viventi che essi infettano. Sono stati anche di recente descritti lieviti antartici in grado di produrre “Astaxantina”, un efficace carotenoide usato con successo come antiossidante negli impianti di acquacultura. In conclusione l’Antartide rappresenta una miniera ecosostenibile di risorse a potenziale biotecnologico. La letteratura specifica dimostra che esistono competenze appropriate in Italia, in Argentina ed in altri paesi dell’America latina per poter studiare e applicare queste biorisorse. E’ auspicabile un coordinamento che possa attrarre finanziamenti-investimenti che, oltre a creare nuova conoscenza, fornirà un ritorno in termini anche economici a quei paesi che intenderanno supportare queste ricerche

    Luci ed ombre sull’inbreeding di animali: conservazione di caratteristiche o rischi di estinzione?

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    Abstract esteso. Tutti i viventi sono fenotipicamente diversi ed in particolare, all’interno della stessa specie, tutti gli individui condividono alcune somiglianze e differiscono per altre caratteristiche. Solo in presenza di diversità è possibile distinguere i vari individui, è possibile per ogni individuo essere peculiare, in una sola parola, è possibile essere “unici”. È intuitivo che individui diversi hanno diversi DNA, individui simili hanno simili DNA ed individui uguali o identici (gemelli) hanno uguali DNA, almeno in sequenza primaria. L’uguaglianza genetica si può determinare anche grazie alla fedeltà di trasmissione del messaggio genetico da una generazione alla seguente, ad esempio garantita in animali economicamente importanti, da incroci precisi di individui, linee pure per parecchi caratteri (incrocio fra consanguinei: inbreeding). La “stabilità genetica” determina il sostanziale mantenimento di vari tratti fenotipici di una popolazione di viventi: in assenza di migrazione, mutazione, etc, questa determina e mantiene in questi animali la cosiddetta «razza». Questo, nel tempo evoluzionistico, assicura che in un determinato transetto geografico vivano individui perfettamente adattati a quell’ambiente. È anche chiaro che, però, eventuali cambiamenti ambientali di quell’ambiente possono determinare gravi suscettibilità a condizioni patologiche di intere popolazioni. Più uguaglianza genetica è presente in una popolazione, maggiore mantenimento di caratteristiche essa potrà avere nel tempo: un indice numerico di ciò è la Run Of Homozigosity (ROH). La diversità genetica può essere, di contro, determinata da una non fedele trasmissione del messaggio genetico alla generazione successiva ad esempio ottenuta da incroci fra linee pure diverse o fra ibridi o da mutazioni de novo. La variabilità genetica determina la variabilità fenotipica dei vari soggetti di una popolazione di viventi ciò al solo scopo evoluzionistico di popolare il territorio di individui differenti che quindi potranno reagire diversamente in caso di avversità ambientali. Più biodiversità è presente in una popolazione, maggiori chances di sopravvivenza questa ha, in caso di cambiamenti ambientali. La biodiversità è, quindi, una risorsa per la sopravvivenza di un genere o una specie nell’incertezza del suo futuro. Un indice numerico è l’eterozigosità, definita come la quota di variabilità interna e calcolata come % degli eterozigoti per un dato carattere. In caso di razze animali economicamente importanti come comportarsi per la loro riproduzione funzionale all’uomo? È stato descritto che alcuni allevatori, per voler ottenere razze animali più produttive hanno importato razze esotiche. L’incrocio tra razze locali e quelle esotiche ha causato la rapida sostituzione e l'erosione del patrimonio genetico delle razze autoctone. Alla lunga questa pratica, rappresentando un eccesso di variabilità, può condurre alla perdita di alleli rari e persino all'estinzione della razza locale. Viceversa, un eccesso di consanguineità ha col tempo prodotto una eliminazione salutare di varianti alleliche deleterie per quello specifico ambiente, ma, purtroppo, ha anche causato un livello più alto di genopatie monogeniche o malattie complesse dovute alle inevitabili determinazioni di combinazioni omozigotiche recessive. Per calibrare bene le scelte di variabilità e di consanguineità è oggi possibile e necessario condurre uno studio della struttura genetica di una razza per capire la sua diversità genetica e come essa è distribuita; un attrezzato laboratorio di genetica molecolare lo può fare utilizzando ad esempio l’Illumina Ovine SNP50 BeadChip con tecniche NGS. Ottenuta questa informazione è possibile definire programmi efficaci di conservazione e riproduzione senza rischi (programma ENDOG) in grandi allevamenti anche grazie a sistemi informatici specifici volti ad indirizzare gli accoppiamenti per ottenere il giusto equilibrio fra diversità e mantenimento di caratteristiche. È anche opportuno affiancare a queste tecniche, tradizionali o programmate pratiche di transumanza. Raggiungere un giusto equilibrio fra consanguineità e variabilità è garanzia di “buona salute genetica” della popolazione animale ed allontana il rischio di estinzione. Conferisce la giusta dose di alleli, ad esempio, per il TCR, per l’MHC e per gli anticorpi assicurando una più efficace attività immunitaria cellulo-mediata. Concludendo, l’inbreeding ed in generale il controllo degli incroci in razze animali economicamente importanti non può essere lasciato alla casualità degli eventi ma deve essere strettamente studiato, controllato e determinato scientificamente

    Role of “mate tea” extracts modulating DNA methylation: in vitro studies for future significances for human health

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    It is known that a healthy and balanced diet is essential for maintaining a state of good health of the individual, and that the onset of many diseases is related to inadequate nutrition. Many small molecules contained in foods (Food Small Molecules, SFMs) have the ability to influence the functioning of many cellular metabolic pathways. The term nutrigenomics, in fact, refers to an emerging branch of genetics and biochemistry which has the aim of identifying how the nutrients can determine the innate risk of developing diseases (diabetes, obesity, cardiovascular disease and some cancers). In addition, with the help of epigenetics, it is possible to further understand how the SFMs act on DNA, influencing gene expression and, perhaps its transmission to the future generations. Today it is known, in fact, that the gene expression depends not only from the primary sequence of its promoter, but also from the local chromatin status: the methylation of cytosine in a DNA is one among the most studied mechanisms of chromatin remodeling and, thus, of regulation of gene expression. Recently was reported that plant derived SFMs, can act as epigenetic modulators. For example, epigallocatechin gallate and indicaxanthin, flavonoids present in green tea and Opuntia Ficus Indica, respectively, are, for these reasons, in process to be labelled as anticancer agents. It is known that drinks made from "Mate tea", highly consumed in Argentina, as well as in other South American countries, may provide important health effects. This project is aimed to investigate whether "Mate tea" extracts and components, given to cultured cell lines may act as a modulator of DNA methylation. If this epigenetic action can be proved, it could promote the consumption of Mate tea – based beverages as precise nutritional strategy to prevent disease, as well as identify the component(s) that could have pharmacological property

    Cytogenetic characterization of HB2 epithelial cells from the human breast

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    HB2 is a cell line originated by subcloning of MTSV1-7 mammary luminal epithelial cells isolated from human milk and immortalization via introduction of the gene encoding simian virus 40 (SV40) large T antigen. Despite its wide utilization as non-neoplastic counterpart in assays aimed to elucidating various biochemical and genetical aspects of normal and tumoral breast cells, to our knowledge no literature data have so far appeared concerning the chromosomal characterization of the HB2 cells. Here, we report the cytogenetic characterization of the karyotype of HB2 cells, which puts in evidence the occurrence of changes in chromosomal number and structure and the presence of unidentified chromosomal markers in variable amount. Our results do not detract from the utility of HB2 cells in illustrating fundamental aspects of breast cell biology, but rather interject a note of caution into generalizing results obtained with this cell line to other non-immortalized epithelial cell populations from the human breast. Therefore, this work represents a useful resource for all who want to perform appropriate and focused future studies on this cell line and proposes precise indications for a knowledgeable use of HB2 cells
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