25 research outputs found

    Evaluation of the Incidence and Potential Mechanisms of Tracheal Complications in Patients With COVID-19

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    Full-thickness tracheal lesions and tracheoesophageal fistulas are severe complications of invasive mechanical ventilation. The incidence of tracheal complications in ventilated patients with coronavirus disease 2019 (COVID-19) is unknown

    Ultrasound- versus landmark-guided subclavian vein catheterization: a prospective observational study from a tertiary referral hospital

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    This was a single-center, observational, prospective study designed to compare the effectiveness of a real-time, ultrasound- with landmark-guided technique for subclavian vein cannulation. Two groups of 74 consecutive patients each underwent subclavian vein catheterization. One group included patients from intensive care unit, studied by using an ultrasound-guided technique. The other group included patients from surgery or emergency units, studied by using a landmark technique. The primary outcome for comparison between techniques was the success rate of catheterization. Secondary outcomes were the number of attempts, cannulation failure, and mechanical complications. Although there was no difference in total success rate between ultrasound-guided and landmark groups (71 vs. 68, p\u2009=\u20090.464), the ultrasound-guided technique was more frequently successful at first attempt (64 vs. 30, p\u2009<\u20090.001) and required less attempts (1 to 2 vs. 1 to 6, p\u2009<\u20090.001) than landmark technique. Moreover, the ultrasound-guided technique was associated with less complications (2 vs. 13, p\u2009<\u20090.001), interruptions of mechanical ventilation (1 vs. 57, p\u2009<\u20090.001), and post-procedure chest X-ray (43 vs. 62, p\u2009=\u20090.001). In comparison with landmark-guided technique, the use of an ultrasound-guided technique for subclavian catheterization offers advantages in terms of reduced number of attempts and complications

    Marcatori diagnostici precoci di Danno Renale Acuto ( AKI ) : Indice di Resistivita' , rapporto albuminuria / creatininuria , NGAL e Cistatina C

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    Il danno renale acuto rappresenta una complicanza di frequente riscontro nei pazienti ricoverati nei reparti di Terapia Intensiva. La sua incidenza è stimata intorno al 2-7% nei pazienti ospedalizzati e tra 10-30% nel paziente critico. E’associata a un significativo aumento dei costi sanitari e con una considerevole mortalità e morbilità. Sebbene, una volta instauratosi, il danno renale acuto possa essere trattato con l’impiego di svariate armi terapeutiche, la diagnosi di AKI deve comunque avvenire precocemente dallo sviluppo del danno, in modo da proteggere il rene da ulteriori insulti e preservarne la sua funzionalità residua. Proprio per questo motivo negli ultimi anni si sono susseguiti numerosi dibattiti volti a raggiungere un consenso universale sui criteri diagnostici della patologia e la sua stratificazione in classi di gravità. Purtroppo però anche l’odierna definizione di AKI si basa su un parametro laboratoristico, la creatininemia, che presenta numerosi limiti, risultando inefficiente nel fare diagnosi precoce di danno renale.Sono, infatti, numerosi i fattori che possono influenzare i livelli sierici di creatinina tra cui: sesso, età, massa muscolare, stato d’idratazione del paziente inoltre è stato stimato che la creatininemia varia solamente quando più del 50% della funzionalità renale è compromessa. Negli ultimi anni, le più recenti tecniche genomiche, così come gli studi sperimentali, hanno individuato diverse proteine come possibili marcatori di Danno Renale Acuto. Tra queste troviamo Ngal, Cistatina C e Albumina espressa nel rapporto Albumina/ Creatinina. Parallelamente ha iniziato a farsi strada anche l’ipotesi di fare diagnosi di danno renale con un altro strumento che negli anni si è guadagnato sempre più terreno nell’ambito dei reparti di terapia intensiva: l’ecografia. L’ultrasonografia con l’applicazione dell’effetto Doppler permette di studiare dettagliatamente il parenchima renale e le variazioni del flusso renale in tempo reale. In particolare, tra i vari parametri che possiamo calcolare, l’indice di resistività fornisce una misurazione molto accurata delle resistenze al flusso ematico e quindi del grado di perfusione dell’organo. Abbiamo quindi condotto uno studio osservazionale prospettico su pazienti adulti ricoverati presso l’unità di Anestesia e Rianimazione VI° Universitaria con l’obiettivo di valutare l’accuratezza diagnostica di uNGAL, Cistatina C, rapporto Albuminuria/ Creatininuria e Indice di Resistività. Tra il mese di Marzo e Agosto 2012 sono stati reclutati 25 pazienti. Sono stati in seguito esclusi 4 pazienti perché 3 pazienti hanno iniziato CVVH mentre 1 paziente è deceduto. Sono stati raccolti per ogni paziente dati clinici fondamentali e i pazienti sono stati stratificati secondo 2 sistemi: SAPSII e SOFA. Per i pazienti che hanno sviluppato AKI, sono state seguite le classificazioni di AKIN e RIFLE. Sono stati inoltre raccolti campioni di urina entro le prime 24 ore dal ricovero e poi in 2° 3° giornata per il dosaggio di NGAL Cistatina C e Albumina e Creatinina da catetere vescicale già presenti sul paziente per l'espletazione delle pratiche standard di monitoraggio. Lo studio color Doppler delle arterie interlobari è stato eseguito entro le prime 24 ore dall’ammissione in reparto e poi in 2° e 3° giornata. Per ogni paziente è stata eseguita una scansione longitudinale del rene che ha permesso di calcolare il diametro renale longitudinale seguita da uno studio velocimetrico delle arterie interlobari volto a calcolare IR (velocità di picco sistolico – velocità telediastolica / velocità di picco sistolico). Nella nostra casistica di 25 pazienti si sono osservati 9 casi di AKI (40%). I risultati di Ngal urinario sono in accordo con quelli degli studi su coorti più omogenee perché abbiamo ottenuto un’area sotto la curva di 0,97 con una sensibilità dell’89% e specificità del 99%. Ngal urinario mostra una differenza statisticamente significativa (p=0,0001) tra i pazienti AKI e AKI-no e le variazioni dei valori di Ngal urinario risultano statisticamente significativi nel tempo (da T1 a T3 p=0,0001) dimostrando come i suoi valori se innalzino precocemente, persistano nel tempo e non siano influenzati da fattori extrarenali. I risultati di IR sono parzialmente in accordo con la letteratura; IR presenta una differenza statisticamente significativa tra il gruppo AKI e AKI- no (p=0,02) e i suoi valori risultano significativamente influenzati dal tempo (p=0,001) e presentano un’area sotto la curva Roc di 0,79 con una sensibilità 60 % e specificità del 90%, però non abbiamo riscontrato correlazioni significative tra MAP e IR e tra IR e dose di Noradrenalina. La bassa sensibilità e specificità che abbiamo ottenuto per Cistatina C e Albumina/Creatinina può essere presumibilmente spiegata dai numerosi fattori che possono influenzare questi marcatori.I valori di Cistatina C possono, infatti, variare nettamente in caso di epatopatie, terapie con glucocorticoidi e patologie tiroidee così come la cinetica e la produzione dell’albumina sono nettamente modificate nel paziente critico poiché questa proteina interviene in numerosi processi (proteina tampone nell’equilibrio acido basico, mantenimento dell’integrità del microcircolo, attività antiossidante)

    La microdialisi in terapia intensiva

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    La microdialisi è una tecnica che permette il campionamento in vivo dei metaboliti a livello interstiziale. La tecnica consente, quindi, il monitoraggio metabolico continuo e fornisce informazioni in tempo reale sui processi fisiopatologici negli organi oggetto di studio. La tecnologia sfrutta il principio della diffusione attraverso una membrana semi-permeabile. Il catetere da microdialisi è inserito nel tessuto da analizzare ed è perfuso con una soluzione sterile isotonica mediante un piccolo infusore collegato al suo lume d’ingresso. La membrana del catetere si trova quindi a diretto contatto con il tessuto oggetto di studio e le sostanze diffondono, attraverso la membrana semi-permeabile, dal liquido interstiziale nel liquido di perfusione, secondo gradiente di concentrazione. Il dialisato così ottenuto è raccolto in microprovette e analizzato. Le prime applicazioni della microdialisi in Terapia Intensiva hanno permesso lo studio del metabolismo cerebrale in pazienti con trauma cranico o emorragia subaracnoidea. La tecnica è stata successivamente utilizzata in diverse aree cliniche, compresa la chirurgia gastrointestinale, vascolare, cardiaca, nel trapianto di fegato e nel paziente settico. Inoltre, la microdialisi è uno strumento promettente per gli studi farmacologici sulla penetrazione del farmaco nei diversi compartimenti tissutali. Il vero ruolo clinico della microdialisi in Terapia Intensiva nel monitoraggio postoperatorio di routine dei pazienti chirurgici è però ancora controverso. Scopo di questa revisione sistematica e meta-analisi è di fornire una revisione aggiornata dei risultati degli studi clinici che utilizzano la microdialisi in terapia intensiva, concentrandosi principalmente sul possibile ruolo clinico di questa tecnica per il monitoraggio del paziente critico

    Anestesia Neuroassiale

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    Regional Anaesthesia Techniques for Pain Control in Critically Ill Patients

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    This book provides a practical and comprehensive guide to delivering analgesia and sedation to critically ill patients for professionals and caregivers being involved in the management of these patients. It discusses and explains in detail the advantages and limitations of each drug and device using clear flowcharts, diagrams and tables. Furthermore, it explores the new drugs and – above all – new sedation delivery systems, particularly those for administering volatile anesthetics on ICUs. Written by respected experts in the field, this book is a valuable and practical resource for anesthesists, intensivists and emergency physicians interested in sedation

    Metodo per la diagnosi precoce di uroperitoneo- Uromodulina

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    TITOLO METODO PER LA DIAGNOSI PRECOCE DI UROPERITONEO DESCRIZIONE Campo dell’Invenzione La presente invenzione riguarda in generale il campo delle biotecnologie mediche, e più precisamente si riferisce a un metodo per la diagnosi precoce di uroperitoneo mediante rilevamento di un biomarcatore in campioni biologici. Stato dell’Arte Con il termine “uroperitoneo” o “uroaddome” s’intende la raccolta di urina nella cavità peritoneale o retroperitoneale di un paziente, che può aver origine dal rene, uretere, vescica e porzione prossimale dell’uretra. Le cause possono essere di natura traumatica o iatrogena [1,2]; ci possono essere poi rotture spontanee dell’apparato urinario in seguito a neoplasie o ad infiammazioni croniche. L'uroaddome ha conseguenze gravi che possono compromettere la vita del paziente; in particolare il ritardo nel diagnosticare questa condizione può esporre il paziente a un ulteriore aggravamento delle sue condizioni cliniche, con incremento quindi della morbidità e della mortalità. La presenza di urina nella cavità addominale innesca infatti una cascata infiammatoria e una serie di disturbi elettrolitici che hanno un impatto notevole sulla funzione cardiaca e renale. L'uroaddome provoca disidratazione, azotemia, iperkaliemia ed acidosi metabolica. L’urina, infatti, rispetto al liquido extracellulare (ECF), è una soluzione iperosmolare, pertanto quando si accumula nella cavità peritoneale si crea un gradiente di concentrazione che determina lo spostamento dell'acqua dallo spazio extracellulare causando disidratazione, e la diffusione di soluti a minore peso molecolare presenti nelle urine, quali urea e potassio, verso il compartimento extracellulare, causando azotemia elevata e iperkaliemia (o iperpotassiemia), ossia un eccesso rispettivamente di azoto non proteico e di potassio nel sangue. Quando il potassio viene riassorbito nella circolazione sistemica oltre determinate concentrazioni, può innescare disturbi di conduzione a livello cardiaco, generando aritmie fino a portare alla morte del paziente. Inoltre, nei pazienti con uroaddome è stata osservata una riduzione della filtrazione glomerulare, con conseguente diminuzione della clearance di urea e creatinina. Infine l’irritazione determinata dalla presenza di urina nella cavità addominale è responsabile dell’ileo paralitico che contribuisce allo spostamento di liquido ed albumina dallo spazio extracellulare nell'addome. L’uroperitoneo può osservarsi nei pazienti ospedalizzati, traumatizzati, in tutti gli interventi di grossa chirurgia addominale, ma più spesso si riscontra dopo interventi di chirurgia urologica, e la sua causa più frequente è la deiscenza anastomotica a seguito di interventi che interessano la vescica e le vie escretrici urinarie. In letteratura, l’incidenza di perforazione, rottura e deiscenza anastomotica in chirurgia urologica, varia notevolmente a seconda del tipo di intervento chirurgico eseguito e dalla popolazione studiata (pediatrica-adulta) [3]. Particolarmente rilevanti in tal senso sono gli interventi di cistoplastica di ampliamento, in cui la vescica naturale del paziente è aumentata chirurgicamente grazie all’utilizzo di un tratto di parete intestinale, o di cistectomia in cui la vescica è sostituita completamente da pareti intestinali. La cistoplastica di ampliamento è una tecnica chirurgica ampiamente usata in condizioni patologiche benigne della vescica, come vescica neurologica, estrofia, o lesioni infiammatorie, e gravata tuttavia da una incidenza di perforazioni che varia dal 4 al 13% [4]. Nella cistectomia radicale, utilizzata nei casi di cancro della vescica, per quanto siano stati raggiunti notevoli miglioramenti nella tecnica chirurgica e nel rapporto volume/pressione del reservoir vescicale, le complicanze non sono rare; quelle più comunemente osservate, oltre occlusione intestinale, infezioni delle vie urinarie, alterazioni elettrolitiche, incontinenza, e fistole, sono perforazioni e rottura con formazione di uroperitoneo. Più specificamente, questo tipo di intervento è gravato da una incidenza di perforazioni di circa il 4.3% [4]. Per i motivi spiegati sopra, una diagnosi precoce di uroperitoneo è estremamente importante [5]. Ad oggi la diagnosi di uroperitoneo parte dalla sintomatologia del paziente, che va da dolore, distensione addominale, febbre, a ritenzione urinaria e oliguria/anuria [6], ed è riscontrata sui rilievi di laboratorio effettuati su campioni di sangue, urina e liquido addominale. In tali esami di laboratorio, in particolare, livelli elevati di creatinina nel drenaggio addominale sono altamente suggestivi di uroperitoneo quando il rapporto tra concentrazione di creatinina nel peritoneo e nel siero è uguale o maggiore di 2. Tuttavia, tale dosaggio della creatinina si è rivelato un marcatore poco sensibile, legato comunque alla funzione renale del paziente e alla quantità di diuresi prodotta, e capace di fornire un risultato affidabile solo quando la perdita di urine in addome è molto abbondante [1,7-9]. Attualmente il gold standard nella diagnosi di uroperitoneo è rappresentato dalla tomografia computerizzata (TC) dell’addome [10]. Si tratta certamente di uno strumento di diagnosi efficace, ma purtroppo comporta lo spostamento del paziente che solitamente si trova in una fase post-chirurgica, caratterizzata dunque da forte instabilità clinica, allettato in unità di terapia intensiva da dove lo spostamento è tecnicamente complicato, oltre a richiedere la somministrazione di mezzo di contrasto iodato e a sottoporre il paziente a un aumentato rischio radiologico. Per questi motivi è tuttora molto sentita l’esigenza di identificare un marcatore sensibile e specifico di uroperitoneo, che permetta quindi una diagnosi precoce, e possa essere facilmente misurato in campioni biologici. Il marcatore ideale non dovrebbe inoltre essere costoso, né la sua misurazione dovrebbe basarsi sull’uso di tecnologie costose, o che richiedono lo spostamento del paziente. Poter intervenire tempestivamente senza spostare il paziente rappresenta infatti in questi casi il miglior trattamento possibile, che può evitare ulteriori gravi conseguenze per il paziente. Sommario dell'invenzione Ora gli inventori hanno identificato un biomarcatore che presenta un’elevata sensibilità e specificità nel diagnosticare l’uroperitoneo anche precocemente, in presenza di quantità non abbondanti di urine nell’addome nel paziente. Oltre ad essere di supporto per il medico nel formulare una diagnosi di uroperitoneo, il metodo dell’invenzione permette una rapida identificazione di urina su campioni biologici del paziente, con una invasività molto limitata e senza dover spostare il paziente dalla terapia intensiva, come è invece necessario nel caso il paziente debba essere sottoposto a tomografia computerizzata (TC). Il presente metodo non richiede inoltre reagenti né macchinari costosi. Rappresenta pertanto oggetto dell'invenzione un metodo per la diagnosi di uroperitoneo, le cui caratteristiche essenziali sono definite nella prima delle rivendicazioni annesse. Caratteristiche e vantaggi del metodo secondo la presente invenzione risulteranno più chiaramente dalla seguente descrizione dettagliata di una sua forma realizzativa fatta a titolo esemplificativo e non limitativo. Descrizione dettagliata dell'invenzione Gli inventori hanno riscontrato come la proteina uromodulina sia un marcatore biochimico rilevabile in campioni biologici provenienti dal drenaggio addominale, e come la sua concentrazione sia correlabile alla presenza di urina in addome in caso di uroperitoneo, in particolare nei pazienti in fase post-chirurgia urologica, e come esso sia estremamente specifico della presenza di uroperitoneo. L’uromodulina o proteina di Tamm-Horsfall (THP) è una glicoproteina rene-specifica in quanto viene sintetizzata esclusivamente dalle cellule tubulari epiteliali del tratto ascendente spesso dell’ansa di Henle del nefrone [11]. L’uromodulina è la più abbondante proteina escreta nelle urine in condizioni fisiologiche (50-100 mg/die) [12]. Questa proteina è localizzata prevalentemente sulla membrana plasmatica apicale delle cellule del tubulo ascendente spesso dell’ansa di Henle, dove viene poi rilasciata nelle urine. Piccole concentrazioni di questa proteina (circa 1000 volte minori rispetto a quelle urinarie) possono essere ritrovate anche nel sangue poiché, dopo la sua produzione all’interno delle cellule tubulari, essa viene trasportata sul versante basolaterale delle cellule e rilasciata nel sangue [13]. Le funzioni biologiche di questa proteina non sono ancora del tutto note. Le sue caratteristiche chimico-fisiche suggeriscono un possibile ruolo nella protezione contro le infezioni urinarie, nella prevenzione della formazione di calcoli urinari e nella regolazione del bilancio del sodio e dell’acqua. Mutazioni a carico del gene che codifica per l’uromodulina portano allo sviluppo di gravi e diverse entità cliniche identificate sotto il termine di “malattia renale associata a uromodulina” (tra cui la nefropatia familiare iperuricemica giovanile, la malattia cistica della midollare di tipo 2 e la glomerulocisti con iperuricemia) [11,14]. Recentemente, studi di associazione genomica hanno identificato l’Uromodulina come fattore di rischio per la malattia renale cronica (CKD) e ipertensione, e hanno suggerito che il livello di uromodulina nelle urine potrebbe rappresentare un biomarcatore utile per la diagnosi di CKD [12, 15, 16]. Per quanto è a conoscenza degli inventori, in letteratura non è mai stato evidenziato alcun legame tra la presenza di uromodulina nel liquido addominale e la sua correlazione con la diagnosi di uroperitoneo. Inaspettatamente, gli inventori hanno ora trovato che le concentrazioni dei livelli di uromodulina possono essere utilizzate per discriminare la presenza di urina all’interno dei liquidi addominali e quindi diagnosticare l’uroperitoneo. Infatti, l’uromodulina è presente in concentrazioni infinitesimali (<50 ng) in campioni di drenaggio addominale di pazienti in condizioni fisiologiche, mentre è riscontrabile in concentrazioni misurabili in tali campioni in caso di rottura o perforazione della vescica con rilascio di urina nel cavo addominale del paziente (uroperitoneo). Inoltre, tale riscontro si verifica anche nelle primissime fasi dell’uroperitoneo, consentendo pertanto una diagnosi precoce di questa grave condizione patologica e permettendo al personale medico di intervenire tempestivamente, evitando al paziente ben più gravi conseguenze. La presenza di uroperitoneo, anche al momento della sua insorgenza, quando cioè la quantità di urina nell’addome del paziente è ancora scarsa, può pertanto essere rilevata andando a ricercare questo biomarcatore uromodulina, in campioni di pazienti che hanno necessità di una diagnosi in tal senso, in particolare in pazienti urologici, e ancor più in particolare in pazienti in fase post-operatoria dopo chirurgia urologica, o comunque in tutti quei pazienti in cui si sospetti la contaminazione con urina. Tali pazienti sottoposti a interventi urologici rappresentano infatti la popolazione di pazienti a rischio più elevato di sviluppo di uroperitoneo come complicanza nella fase post-operatoria. Il metodo dell’invenzione è dunque un metodo per la diagnosi di uroperitoneo in un paziente che ne ha necessità, comprendente i seguenti stadi: a) preparazione di un campione da drenaggio addominale precedentemente ottenuto da detto paziente; b) determinazione della presenza di uromodulina in detto campione; e c) associazione della presenza di uromodulina in detto campione di drenaggio addominale a una situazione patologica di uroperitoneo in detto paziente. Nell'ambito della presente invenzione per “campione di drenaggio addominale” si intende un campione del fluido biologico fuoriuscito dalla cavità addominale di un paziente tramite il presidio medico-chirurgico detto “drenaggio”. In un aspetto preferito di questa invenzione, il presente metodo per la diagnosi di uroperitoneo comprendente uno stadio di rilevamento del valore di concentrazione di uromodulina in un campione da drenaggio addominale, e di confronto del valore di concentrazione ottenuto con un valore di riferimento, prevede di prendere come valore di riferimento il valore di concentrazione di uromodulina rilevato in un campione di urina ottenuto dallo stesso paziente simultaneamente al campione da drenaggio addominale; la concordanza tra il valore di concentrazione di uromodulina nel campione di urina e il valore di concentrazione di uromodulina nel campione da drenaggio addominale rappresenta infatti conferma della presenza di uroperitoneo nel paziente. Nell’ambito della presente invenzione per “concordanza” tra i valori di uromodulina si intende una coincidenza oppure una similitudine con un margine di differenza del 10%. [CONFERMARE] La determinazione della presenza di uromodulina e il rilevamento dei relativi valori di concentrazione in un campione può essere ad esempio condotta secondo l’invenzione con un saggio immunologico utilizzando anticorpi anti-uromodulina, monoclonali, policlonali o ricombinanti, preferibilmente anticorpi monoclonali che riconoscono epitopi della sequenza di uromodulina (SEQ ID NO. 1). Il saggio immunologico utilizzato nel metodo dell’invenzione è preferibilmente un saggio ELISA diretto di tipo cosiddetto “sandwich”; per saggio ELISA si intende il noto saggio che prende il nome dall’espressione Inglese “Enzyme-Linked ImmunoSorbent Assay”, o saggio immunoassorbente legato ad un enzima, e che viene utilizzato per rilevare la presenza di antigene mediante utilizzo di uno o più anticorpi, ad uno dei quali è legato un enzima. Nel saggio ELISA diretto a sandwich, condotto solitamente in piastre da microtitolazione munite di pozzetti, il fondo dei pozzetti viene rivestito con un anticorpo specifico dell’antigene da rilevare (anticorpo primario), quindi, dopo aver effettuato almeno un lavaggio, si introduce il campione nel quale si vuole andare a rilevare la presenza ed eventualmente determinare la concentrazione dell’antigene, si lascia in incubazione il tempo necessario perché l’antigene si leghi all’anticorpo, quindi si effettua almeno un ulteriore lavaggio per eliminare gli antigeni in eccesso. A questo punto si introduce nel pozzetto un secondo anticorpo specifico (anticorpo secondario) in grado di legare il complesso anticorpo-antigene eventualmente presente, ottenendo in questo modo una sorta di sandwich, da cui il saggio prende appunto il nome. Al secondo anticorpo specifico introdotto è legato un enzima che permette il rilevamento cromogenica dell’antigene: dopo ulteriori lavaggi, aggiungendo infatti nel pozzetto il substrato dell’enzima legato al secondo anticorpo, si forma un prodotto colorato. Lo sviluppo della colorazione è indice della presenza dell’antigene e, mediante misurazione spettrofotometrica della colorazione, dà la possibilità di risalire alla concentrazione dell’antigene presente nel campione. Lo sviluppo di colore può essere ottenuto anche mediante il legame dell’anticorpo direttamente ad una sostanza cromofora. Il metodo secondo l’invenzione consente quindi di compiere una diagnosi su pazienti affetti da uroperitoneo, anche all’insorgenza di tale patologia. Il metodo dell’invenzione può essere anche utilizzato per confermare diagnosi già proposte sulla base di un esame obiettivo del paziente e/o di risultati di analisi su campioni di urine dello stesso paziente. Si tratta inoltre di un metodo non invasivo, che non richiede trattamenti medici diversi da quelli già in uso in un paziente nella fase post-operatoria dopo chirurgia urologica, né l’uso di reagenti o macchinari costosi. Inoltre, non è necessario lo spostamento del paziente. La diagnosi con il metodo dell’invenzione consente di rilevare la presenza di urina all’interno della cavità addominale (uroperitoneo) in caso di rilevamento della proteina uromodulina nel campione esaminato. Il metodo dell’invenzione è estremamente sensibile e consente di rilevare anche minime quantità di uromodulina in un campione biologico. Parte Sperimentale Negli esperimenti di validazione condotti dagli inventori sono state utilizzate quote di campioni ematici, urinari e da drenaggio addominale, prelevati a pazienti selezionati nella popolazione di seguito indicata, previo loro consenso scritto, libero e informato, al prelievo e allo studio effettuato sul materiale prelevato, e qui di seguito descritto, che è stato inoltre approvato dal locale Comitato Etico dell’Università di Pisa. I campioni non sono conservati, ma distrutti dopo le analisi. Per il dosaggio dell’uromodulina sono utilizzate quote di campioni ematici, urinari e da drenaggio addominale, già prelevati quotidianamente a pazienti per le normali pratiche standard di terapia e monitoraggio. In particolare i campioni ematici sono prelevati dalla linea arteriosa e i campioni urinari dalla sacca di raccolta delle urine, mentre il fluido addominale dal sistema di drenaggio. I pazienti selezionati sono sottoposti al monitoraggio clinico, come tutti gli altri pazienti ricoverati, oltre al dosaggio di creatinina e volume urinario, e alla valutazione degli indici di gravità del paziente SAPS II (Simplified Acute Physiology Score) e SOFA (Sequential Organ Failure Assessment) secondo la pratica standard per il monitoraggio dei pazienti ricoverati in Unità di Terapia Intensiva (UTI). Nessuno stress aggiuntivo è pertanto creato nel paziente, legato al controllo e dosaggio di uromodulina. La popolazione all'interno della quale sono selezionati i soggetti rispondenti ai criteri d'inclusione sotto elencati è costituita dai pazienti ricoverati nel reparto di terapia Intensiva, del reparto Anestesia e Rianimazione IVa Universitaria dell’università di Pisa. I pazienti selezionati vengono arruolati al momento dell’ammissione in reparto: in questa sede lo sperimentatore espone le caratteristiche dello studio, e fa leggere al paziente il testo informativo, il modulo di consenso e di tutela dei dati personali. I criteri di inclusione sono i seguenti: 1. Età > 18 anni; 2. Pazienti in grado di rilasciare il proprio consenso; 3. Pazienti sottoposti a interventi di chirurgia addominale maggiore o urologica, in particolare pazienti urologici, pazienti urologici con uroperitoneo e pazienti non urologici; 4. Pazienti che necessitano ricovero in UTI nel post-operatorio; 5. Pazienti che hanno rilasciato il consenso a partecipare allo studio e al trattamento dei dati personali. A seconda del tipo di intervento a cui sono stati sottoposti e all’eventuale sviluppo di uroperitoneo nella fase post-operatoria, i pazienti arruolati sono stati suddivisi nei seguenti tre gruppi: - GRUPPO DI PAZIENTI UROLOGICI: pazienti sottoposti a interventi urologici maggiori che possono essere gravati da perforazione della vescica o delle vie escretrici quali: cistectomia radicale con ricostruzione vescicale (neovescica ileale orto topica, uretero-ileo cutaneostomia), cistectomia radicale con confezionamento di uretero-cutaneostomia e prostatectomia radicale. Questo gruppo di studio è caratterizzato da pazienti con decorso clinico post-operatorio regolare, senza complicazioni cliniche. - GRUPPO DI PAZIENTI UROLOGICI CON UROPERITONEO: pazienti sottoposti a interventi urologici maggiori che hanno sviluppato uroperitoneo durante o dopo la degenza in terapia intensiva. Entrano a far parte di questo gruppo, i pazienti che presentano segni e/o sintomi per una perforazione vescicale (dolore addominale con segni di irritazione peritoneale, comparsa di contenuto sospetto dai drenaggi addominali, comparsa di febbre, rialzo degli indici di flogosi), con uroperitoneo confermato mediante TC addome. - GRUPPO DI PAZIENTI NON UROLOGICI: pazienti sottoposti a interventi di chirurgia addominale maggiore non urologica, quindi senza interessamento intra-operatorio di reni, vie escretrici, o prostata. Schema dello studio di validazione Si tratta di uno studio monocentrico con creazione di un database ad hoc, accessibile unicamente allo sperimentatore e condotto secondo gli standard Internazionali della Good Clinical Practice, in accordo con l’ultima revisione della Dichiarazione di Helsinki (2008). Per ciascun paziente selezionato secondo i criteri suddetti, lo studio prevede l’esecuzione delle seguenti indagini al momento del ricovero nell’UTI (T0), entro le 6 ore dal ricovero nell’UTI (tempo T1), dopo 12 ore dal ricovero nell’UTI (T2), dopo 18 ore dal ricovero nell’UTI (T3), dopo 24 ore dal ricovero nell’UTI (T4), e dopo 48 ore dal ricovero nell’UTI (T5): - prelievo di un campione di urina dal catetere vescicale per misurazione di uromodulina e creatinina; vengono prelevati circa 5 ml di urina che viene posta in un comune contenitore atto alla raccolta delle urine; - prelievo di sangue dalla linea arteriosa per misurazione di uromodulina e creatinina, con sistema Vacutainer®. Vengono prelevati 6 ml di sangue da una linea arteriosa già presente sul paziente per l’espletazione delle normali pratiche standard terapeutiche e di monitoraggio, il sangue è posto in una provetta Falcon; - prelievo di un campione dal drenaggio addominale per misurazione di uromodulina e creatinina; vengono prelevati 6 ml di fluido da un drenaggio addominale già presente nel paziente sottoposto a chirurgia addominale e urologica, il fluido drenato il sangue è raccolto in una separata provetta. Per tutti i pazienti reclutati sono raccolti inoltre dati clinici fondamentali tra cui età, sesso, motivo del ricovero, diuresi nelle 24 ore, volume urinario, indice di massa corporea (BMI), tipo di intervento, creatininemia, urea, volume di fluido nel drenaggio addominale, senza effettuare nessun prelievo aggiuntivo). Per tutti i pa

    Evaluation of Renal Function with Urinary NGAL and Doppler Ultrasonography in ICU Patients: A 1-Year Observational Pilot Study

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    Background: We estimated the diagnostic accuracy of urinary NGAL for the diagnosis of AKI. Methods: Urinary NGAL and Creatinine were measured daily for up to 3 days. Doppler ultrasonography was performed within 24 h of admission and for the following 3 days. Results: Of the 21 patients, 44% had AKI during their ICU stay. The AKI group presented with higher values of serum Creatinine, renal length, MDRD as well as SAPS II already at admission. Urinary NGAL was significantly higher among patients with AKI and patients AKI-no at T0 (p < 0.0001) and increased steadily on T1 and T2. Urinary NGAL seemed to be a notable diagnostic marker for AKI from the first measurement (T0) with an area under the ROC of 0.93 (95% CI = 0.78-0.99) with a sensitivity of 99%. RRI levels were slightly higher in the AKI group at each time and increased gradually from T0 to T2 but reached statistical significance only at T2 (p = 0.02). Renal length and SAPS II at T0 showed high AuRoc and sensitivity. Conclusions: Urinary NGAL is a valuable marker for AKI in intensive care settings. It seemed that a pre-existing chronic renal disease, the SAPS II and the NGAL at admission represented the principal predictors of AKI
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