Quello della partecipazione dei magistrati alle competizioni elettorali, sia nazionali sia
amministrative, rappresenta uno dei due aspetti che compongono il vasto e complesso tema dei
rapporti tra politica e potere giudiziario: il disegno di legge del quale in questa sede ci occupiamo1
deve essere, infatti, letto in combinato disposto con il divieto per i magistrati di partecipare in modo
continuativo e sistematico ai partici politici..
Al riguardo, v’è da dire che parte della dottrina ha colto i problematici rapporti intercorrenti tra i
limiti posti dall’art. 3, comma 1, lett. h), d.lgs. n. 109/20063 e la disorganica disciplina riguardante
l’accesso dei magistrati alle cariche pubbliche elettive o agli incarichi di governo, nazionali e
territoriali.
Su questo profilo è invero possibile registrare un panorama di posizioni sintetizzabile su due fronti
opposti: da una parte vi è chi sottolinea come la severità della norma disciplinare più sopra richiamata
debba essere estesa a interventi normativi organici che rendano, se non impossibile, quanto meno
difficile la partecipazione del magistrato alla vita politica del paese, ovvero dei territori; dall’altra si è sottolineato come tale partecipazione, essendo strettamente connessa allo status di cittadino e dunque tutelata quale diritto politico fondamentale, non possa essere compressa eccessivamente o addirittura impedita