133 research outputs found

    The effect of amino acid supplementation on weight, body composition, muscle size, and muscle strength in amateur weightlifters

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    Fifteen amateur weightlifters, between the ages of 21 and 35 years, volunteered to participate in a study to determine the effect of an amino acid supplement on muscle size, muscle strength, body composition, and body weight. A blind protocol was followed in which eight of the participants were administered the amino acid supplement and seven received a placebo. Each subject was tested before and immediately after the ten week experimental period for height, weight, skinfolds, hydrostatic weighing, body circumferences, static strength, and dynamic strength; Post supplementation, independent T tests indicated that the differences in percent body fat, weight, circumference measurements, static strength, and dynamic strength between the amino acid group and the control group were not significant. It was, therefore, concluded that the amino acid supplement administered in this study had no measured effect on percent body fat, body weight, muscle size, and muscle strength of the participating subjects

    Migrazioni e cambiamenti climatici: il problema aperto dei profughi ambientali

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    Uno dei problemi maggiori nello studio degli effetti dei cambiamenti climatici sulle popolazioni umane è senza dubbio il carattere fortemente multidisciplinare, che richiede un’analisi del fenomeno che incroci competenze e conoscenze che appartengono a diversi campi del sapere, come le scienze ambientali, per quanto riguarda i fattori scatenanti e le scienze sociali e giuridiche, per quanto riguarda le sue conseguenze. Alla luce di questi motivi il tema dei profughi climatici rappresenta un campo di ricerca interessante e ricco di molti spunti di riflessione, ma allo stesso tempo un’analisi complessa e non priva di una molteplicità di problemi epistemologici. Le principali difficoltà risiedono nella scarsità di documentazione e di letteratura sull’argomento. Nonostante non manchino gli studi ed i documenti prodotti dalle principali organizzazioni internazionali che si occupano di ambiente e migrazioni internazionali in tutte le forme e varianti, il mondo scientifico, e in modo particolare quello italiano, non sembra aver ancora preso seriamente in considerazione il tema delle migrazioni internazionali causate dal mutamento delle condizioni climatiche, sia per cause naturali che per il degrado dell’ambiente prodotto dall’inquinamento e da un uso distorto delle risorse terrestri. La complessità estrema del fenomeno pone una serie di interrogativi riguardo all’individuazione dei soggetti che possono essere ricondotti alla categoria suddetta e in merito alla possibilità di riconoscere una qualche forma di tutela giuridica internazionale a questa categoria di persone, per le quali, sul piano strettamente giuridico è ancora improprio l’utilizzo del termine ‘rifugiati’ per identificarli. Ad aumentare le difficoltà già elencate vi è poi la scarsa attenzione dimostrata sull’argomento dai paesi economicamente sviluppati in genere, ed in particolare i principali inquinatori, e la sempre crescente difficoltà da parte dell’occidente a rispondere ai problemi generati dai movimenti forzati di massa. Il mancato riconoscimento internazionale dei profughi climatici complica ulteriormente la questione. La Convenzione di Ginevra del 1951 sui rifugiati prevede che possa richiedere lo status di rifugiato chiunque si trovi “nel giustificato timore d’essere perseguitato per la sua razza, la sua religione, la sua cittadinanza, la sua appartenenza a un determinato gruppo sociale o le sue opinioni politiche, si trova fuori dello Stato di cui possiede la cittadinanza e non può o, per tale timore, non vuole domandare la protezione di detto Stato” definizione che non lascia spazio alle cause ambientali come fattore di spinta degli spostamenti di popolazione. Il termine ‘rifugiato ambientale’, accettato orami a livello internazionale nel linguaggio comune, appare quindi improprio alla luce di questa considerazione e all’interno della comunità scientifica mondiale non è stato ancora sciolto il nodo di una definizione più propria soprattutto per la difficoltà di stabilire un legame diretto tra fattori ambientali e diversi casi di migrazioni internazionali massive. D’altra parte il termine “refugee” ha antica origine e diffusa circolazione: il fatto che dal 1951 implichi uno status non crea monopoli linguistici. Si può convenzionalmente accettare il suo utilizzo disciplinare critico e il suo utilizzo istituzionale limitato allo status connesso. Il suo significato resta sinonimo di “displaced”, migrante forzato o costretto, con le sole specificazioni istituzionali dell’aver superato il confine e delle costrizioni previste dalla Convenzione nel 1951. L’aggettivo “environmental” non aiuta la definizione delle migrazioni e soprattutto non aiuta a chiarire la loro dimensione forzata. Rifugiato si, ma non “ambientale”. La difficoltà forse sta proprio nel sostantivo, ambiente, che ha troppi usi e sinonimi nell’insostenibile sviluppo in cui siamo immersi. Le ricerche multidisciplinari sul fenomeno migratorio devono molto rivalutare la dimensione “ambientale” delle migrazioni. Le espressioni “environmental refugee” o “environmental migrants” o “environmental displaced people” possono essere utilizzate per sottolineare o distinguere la spinta a migrare connessa alle varie forme di inquinamento e di degrado ambientale, per le quali il riconoscimento scientifico della costrizione non è certo e il margine di libera scelta dei momenti e delle modalità è parzialmente maggiore. L’espressione “displaced people” diventa quella descrittiva di ogni migrazione forzata, qualunque sia lo Stato entro cui avviene o quanti e quali che siano gli Stati interessati. L’aggettivo “environmental” può invece risultare ridondante o superfluo, non classifica; meglio chiarire quale contesto geografico o climatico e quale specifica contestuale ragione socio ambientale. Serve uno strumento legale ONU dedicato al riconoscimento, alla prevenzione mirata, alla protezione e all’assistenza di profughi climatici. Sulla via del riconoscimento internazionale dei rifugiati climatici si frappone inoltre il timore di compromettere la sensibilità che già è stata acquisita nei confronti dei rifugiati tradizionali e il timore da parte di governi ed istituzioni di trovarsi in difficoltà nel mettere in atto misure di protezione e di reinserimento dei rifugiati provenienti da zone degradate e dovendo provvedere al loro sostentamento economico. Già nel 1999, con la pubblicazione del libro Environmental Exodus: An Emergent Crisis in the Global Arena , Norman Myers, professore di economia ambientale e consulente per le Nazioni Unite, metteva il luce le difficoltà incontrate dalla comunità scientifica mondiale sulla via di una definizione sia del fenomeno, sia del livello di tutela giuridica internazionale che dovrebbe essere riservata a questa categoria di persone. In particolare, per quanto riguarda la definizione, egli pone l’accento sulla necessità di soffermarsi sulla differenza tra “ persone in condizioni modeste ma tollerabili in patria che cercano altrove la possibilità di una vita in condizioni economiche migliori” e quelle persone che migrano perché sono “spinte da fattori di base del degrado ambientale” condizione che appare come la caratteristica principale per definire il concetto di rifugiato ambientale. Sono stati proposti numerosi termini alternativi per classificare i rifugiati ambientali, tra cui “persone sfollate per motivi ambientali” e “emigranti costretti da motivi ambientali”, che pur essendo precisi risultano assai meno efficaci e, in effetti, sono quasi ridondanti. Altri suggerimenti spaziano da “eco-migranti” e “eco-evacuati” a “eco-vittime”; però i primi due termini non connotano l’idea di migrazione coatta, mentre l’ultimo non suggerisce affatto l’emigrazione. Ad ogni modo queste persone, comunque le si voglia designare, sono un’ampia componente fra tutti gli altri rifugiati e, entro la prossima metà del secolo, potrebbero addirittura superare di varie volte il numero degli altri rifugiati. Myers propone quindi la seguente definizione: “I rifugiati ambientali sono persone che non possono più garantirsi mezzi sicuri di sostentamento nelle loro terre di origine principalmente a causa di fattori ambientali di portata inconsueta”. Questi fattori comprendono siccità, desertificazione, deforestazione, erosione del suolo e altre forme di degrado del suolo; deficit di risorse come, ad esempio, quelle idriche; declino di habitat urbani a causa di massiccio sovraccarico dei sistemi; problemi emergenti quali il cambiamento climatico, specialmente il riscaldamento globale; disastri naturali quali cicloni, tempeste e alluvioni, e anche terremoti, con impatti aggravati da errati o mancati interventi dell’uomo. Possono concorrere fattori aggiuntivi che inaspriscono i problemi ambientali e che spesso, in parte, derivano da problemi ambientali: crescita demografica, povertà diffusa, fame e malattie pandemiche. Altri fattori ancora comprendono carenze delle politiche di sviluppo e dei sistemi di governo che ‘marginalizzano’ le persone in senso economico, politico, sociale e legale. In determinate circostanze, alcuni fattori possono fungere da ‘scatenanti immediati’ della migrazione, per esempio colossali incidenti industriali e costruzioni di dighe smisurate. Molti di questi fattori possono agire in concomitanza, spesso con effetti cumulativi. Di fronte ai problemi ambientali, le persone coinvolte ritengono di non avere alternative alla ricerca di sostentamento altrove, sia all’interno del loro paese che in altri paesi, sia su base semipermanente che su base permanente. Non c’è alcun motivo di pensare che chi fugge da condizioni di privazione estrema in conseguenza di collassi ambientali su vasta scala abbia una più attenuata percezione della propria marginalità sociale e una disperazione minore rispetto a chi fugge da oppressioni politiche o religiose. Non sta forse anch’egli cercando la stessa forma di sicurezza nel senso più definitivo del termine, ossia una sicurezza in grado di farlo sentire nuovamente accettato dalla società, in qualche luogo? Per decenni la scena è stata dominata dalle categorie di rifugiati che definiamo “convenzionali”, ma ora è giunto il momento di abbandonare formule e definizioni che si rivelano troppo restrittive. Di fronte ai mutamenti che avvengono nel mondo reale non dovrebbero cambiare allo stesso modo anche le nostre categorizzazioni? Alla fine di questo primo approccio a ciò che si connota come un vero e proprio esodo ambientale, siamo già in grado di formulare una considerazione fondamentale: è necessario agire sui sintomi, prima che il problema inizi a causare effetti collaterali cui sarà tremendamente più difficile porre rimedio. Di diversa opinione appare invece il rapporto sul tema pubblicato dall’ Organizzazione Internazionale per le Migrazioni, che sottolinea l’importanza di non utilizzare il termine rifugiati per indicare categorie di persone diverse da quelle previste nella Convenzione di Ginevra. A livello italiano, si è parlato del fenomeno in relazione della mancata tutela giuridica di coloro che sono costretti ad emigrare per questo genere di cause e possono essere quindi oggetto di provvedimenti di espulsione, e nel caso dell’Italia del possibile trattenimento nei Centri di Identificazione ed Espulsione che precedono il rimpatrio. E’ certo che storicamente vi è sempre stata una qualche correlazione tra cambiamenti climatici, disastri naturali, modificazioni del clima e flussi migratori, ma molti sono convinti che il deterioramento dell’ambiente prodotto dal cambiamento climatico porrà negli anni a venire il tema del ‘rifugiato’ climatico al centro dell’attenzione dell’opinione pubblica e degli organismi internazionali. Questo è un elemento di novità che in relazione alla rapidità con la quale si sta evolvendo il processo di cambiamento climatico, rende un fenomeno millenario ricco di spunti di ricerca, di riflessione e di azione mirata. Le vittime delle conseguenze del surriscaldamento sono una categoria di migranti ancora sconosciuta ai più, priva di uno statuto ufficiale, ma destinata a crescere rapidamente. E a pagarne lo scotto ancora una volta sono i paesi più poveri ed in primis le zone costiere e le isole del Sud-est asiatico, in particolare il Bangladesh come vedremo, così come le aree in via di desertificazione dell’Africa sub sahariana. Senza più casa, costretti ad abbandonare la propria terra perché a rischio o perché modificata nella struttura e composizione, stravolta dai processi di desertificazione, stress idrico o innalzamento del livello del mare, e in attesa di futuro incerto fatto di piani di trasferimento e re-insediamento. La nuova ferita apertasi sulla pelle di questo millennio allarma e fa discutere, per poi scivolare nuovamente nel dimenticatoio mediatico, assecondato da un’opinione pubblica oramai sempre più immune al dramma del disastro. Si vuole quindi invitare alla presa di coscienza e alla riflessione non solo sul disastro ecologico irrefrenabile ma anche sulle conseguenze che lo stesso sta provocando e quindi su possibili riconoscimenti e nuove possibilità di sopravvivenza per queste persone al fine di permettere loro una vita sicura e dignitosa

    Visuo-spatial ability in colonoscopy simulator training

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    Visuo-spatial ability is associated with a quality of performance in a variety of surgical and medical skills. However, visuo-spatial ability is typically assessed using Visualization tests only, which led to an incomplete understanding of the involvement of visuo-spatial ability in these skills. To remedy this situation, the current study investigated the role of a broad range of visuo-spatial factors in colonoscopy simulator training. Fifteen medical trainees (no clinical experience in colonoscopy) participated in two psycho-metric test sessions to assess four visuo-spatial ability factors. Next, participants trained flexible endoscope manipulation, and navigation to the cecum on the GI Mentor II simulator, for four sessions within 1 week. Visualization, and to a lesser degree Spatial relations were the only visuo-spatial ability factors to correlate with colonoscopy simulator performance. Visualization additionally covaried with learning rate for time on task on both simulator tasks. High Visualization ability indicated faster exercise completion. Similar to other endoscopic procedures, performance in colonoscopy is positively associated with Visualization, a visuo-spatial ability factor characterized by the ability to mentally manipulate complex visuo-spatial stimuli. The complexity of the visuo-spatial mental transformations required to successfully perform colonoscopy is likely responsible for the challenging nature of this technique, and should inform training- and assessment design. Long term training studies, as well as studies investigating the nature of visuo-spatial complexity in this domain are needed to better understand the role of visuo-spatial ability in colonoscopy, and other endoscopic techniques

    Systemic Blood Pressure Trends and Antihypertensive Utilization Following Continuous-Flow Left Ventricular Assist Device Implantation: an Analysis of the Interagency Registry for Mechanically Assisted Circulatory Support

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    Background: Elevated systemic blood pressure (SBP) has been linked to complications in Continuous-flow left ventricular assist devices (CF-LVADs), including stroke and pump thrombosis. We queried Interagency Registry for Mechanically Assisted Circulatory Support (INTERMACS) to describe the response of SBP to CF-LVAD implantation and to delineate contemporary trends in antihypertensive (AH) utilization for patients with these pumps. Methods: We identified all CF-LVAD implantations in patients older than 18 years from 2006-2014, excluding those whose durations were less than 30 days. Pre-implant patient demographics and characteristics were obtained for each record. SBPs [i.e., mean arterial pressures (MAPs)], AH-use data, and vital status were tabulated, extending up to 5 years following implantation. Results: A total of 10,329 CF-LVAD implantations were included for study. Post-implant, SBPs increased rapidly during the first 3 months but plateaued thereafter; AH utilization mirrored this trend. By 6 months, mean MAPs climbed 12.2% from 77.6 mmHg (95% CI: 77.4-77.8) pre-implantation to 87.1 mmHg (95% CI: 86.7-87.4) and patients required a mean of 1.8 AH medications (95% CI: 1.75-1.78) -a 125% increase from AH use at 1-week post-implantation (0.8 AHs/patient, 95% CI: 0.81-0.83) but a 5.3% decrease from pre-implant utilization (1.9 AHs/patient, 95% CI: 1.90-1.92). Once medication changes stabilized, the most common AH regimens were lone beta blockade (15%, n=720) and a beta blocker plus an ACE inhibitor (14%, n=672). Conclusions: SBP rises rapidly after CF-LVAD implantation, stabilizing after 3 months, and is matched by concomitant changes in AH utilization; this AH use has increased over consecutive implant years

    Towards standardized measurement of adverse events in spine surgery: conceptual model and pilot evaluation

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    BACKGROUND: Independent of efficacy, information on safety of surgical procedures is essential for informed choices. We seek to develop standardized methodology for describing the safety of spinal operations and apply these methods to study lumbar surgery. We present a conceptual model for evaluating the safety of spine surgery and describe development of tools to measure principal components of this model: (1) specifying outcome by explicit criteria for adverse event definition, mode of ascertainment, cause, severity, or preventability, and (2) quantitatively measuring predictors such as patient factors, comorbidity, severity of degenerative spine disease, and invasiveness of spine surgery. METHODS: We created operational definitions for 176 adverse occurrences and established multiple mechanisms for reporting them. We developed new methods to quantify the severity of adverse occurrences, degeneration of lumbar spine, and invasiveness of spinal procedures. Using kappa statistics and intra-class correlation coefficients, we assessed agreement for the following: four reviewers independently coding etiology, preventability, and severity for 141 adverse occurrences, two observers coding lumbar spine degenerative changes in 10 selected cases, and two researchers coding invasiveness of surgery for 50 initial cases. RESULTS: During the first six months of prospective surveillance, rigorous daily medical record reviews identified 92.6% of the adverse occurrences we recorded, and voluntary reports by providers identified 38.5% (surgeons reported 18.3%, inpatient rounding team reported 23.1%, and conferences discussed 6.1%). Trained observers had fair agreement in classifying etiology of 141 adverse occurrences into 18 categories (kappa = 0.35), but agreement was substantial (kappa ≥ 0.61) for 4 specific categories: technical error, failure in communication, systems failure, and no error. Preventability assessment had moderate agreement (mean weighted kappa = 0.44). Adverse occurrence severity rating had fair agreement (mean weighted kappa = 0.33) when using a scale based on the JCAHO Sentinel Event Policy, but agreement was substantial for severity ratings on a new 11-point numerical severity scale (ICC = 0.74). There was excellent inter-rater agreement for a lumbar degenerative disease severity score (ICC = 0.98) and an index of surgery invasiveness (ICC = 0.99). CONCLUSION: Composite measures of disease severity and surgery invasiveness may allow development of risk-adjusted predictive models for adverse events in spine surgery. Standard measures of adverse events and risk adjustment may also facilitate post-marketing surveillance of spinal devices, effectiveness research, and quality improvement

    Assessing the Quality of Clinical Teachers: A Systematic Review of Content and Quality of Questionnaires for Assessing Clinical Teachers

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    BACKGROUND: Learning in a clinical environment differs from formal educational settings and provides specific challenges for clinicians who are teachers. Instruments that reflect these challenges are needed to identify the strengths and weaknesses of clinical teachers. OBJECTIVE: To systematically review the content, validity, and aims of questionnaires used to assess clinical teachers. DATA SOURCES: MEDLINE, EMBASE, PsycINFO and ERIC from 1976 up to March 2010. REVIEW METHODS: The searches revealed 54 papers on 32 instruments. Data from these papers were documented by independent researchers, using a structured format that included content of the instrument, validation methods, aims of the instrument, and its setting. Results : Aspects covered by the instruments predominantly concerned the use of teaching strategies (included in 30 instruments), supporter role (29), role modeling (27), and feedback (26). Providing opportunities for clinical learning activities was included in 13 instruments. Most studies referred to literature on good clinical teaching, although they failed to provide a clear description of what constitutes a good clinical teacher. Instrument length varied from 1 to 58 items. Except for two instruments, all had to be completed by clerks/residents. Instruments served to provide formative feedback ( instruments) but were also used for resource allocation, promotion, and annual performance review (14 instruments). All but two studies reported on internal consistency and/or reliability; other aspects of validity were examined less frequently. CONCLUSIONS: No instrument covered all relevant aspects of clinical teaching comprehensively. Validation of the instruments was often limited to assessment of internal consistency and reliability. Available instruments for assessing clinical teachers should be used carefully, especially for consequential decisions. There is a need for more valid comprehensive instruments

    Quality in services: case study of the network of Pharmacies Dias.

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    As organizações estão inseridas em um mercado caracterizado por intensa competitividade o que exige que elas busquem sempre atender e superar as expectativas dos seus clientes como forma de atingir maior nível de excelência em produtos e serviços. Em torno disso, o trabalho a seguir tem como objetivo investigar exatamente as expectativas dos clientes em uma rede de farmácias na cidade de Campina Grande na Paraíba fazendo um paralelo com o desempenho nos serviços oferecidos. Para se obter tal meta, utilizou-se uma metodologia amplamente conhecida para tal fim que trata-se do Modelo SERVQUAL que toma como base cinco dimensões importantes do serviço as quais são a tangibilidade, confiabilidade, presteza, segurança e empatia. Ele busca com isso verificar a diferença entre as expectativas em relação ao serviço e o desempenho oferecido pela rede de empresas objeto do estudo em questão o que resulta em gaps, positivos ou negativos, na prestação de serviços. O instrumento permitiu analisar a opinião dos clientes trazendo à tona resultados que demonstram estar a prestação dos serviços na empresa analisada em nível de qualidade considerada boa e excelente. A empresa investe na melhoria das acomodações, na qualidade do atendimento e na variedade e qualidade dos produtos oferecidos, fatores estes que suprem as necessidades dos clientes e os tornam satisfeitos, consubstanciando assim a boa qualificação da empresa no mercado campinense.Organizations are embedded in a market characterized by intense competition which requires them to always attempt to meet and even exceed the expectations of its customers as a way to achieve higher level of excellence in products and services. Around that, this work aims to investigate the customers ́ expectations of a drugstore ́s network in the city of Campina Grande, Paraiba, making a parallel with the performance of the services offered. To obtain such goal, we used a methodology widely known for this purpose, the SERVQUAL model, which is based on five important service dimensions tangibility, reliability, responsiveness:, assurance and empathy. It seeks to verify the difference between the expectations of the service and the performance offered by the companies’ network under the study in question which results in positive or negative gaps in the provision of services. This instrument allowed to consider the customers views bringing up results that demonstrate the provision of services in the company analyzed to be considered in good and excellent quality levels. The company invests in the improvement of the accommodations, the quality of attention and the variety and quality of the products offered, which are factors that serve the needs of customers and make them fulfilled, confirming the good qualification of the company in the local market
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