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Impact of variations in triage cytology interpretation on human papillomavirus–based cervical screening and implications for screening algorithms
AbstractBackgroundWomen positive to human papillomavirus (HPV+) testing at cervical screening need triage, typically cytology and immediate colposcopy in case of atypical squamous cells of undetermined significance (ASCUS) or worse (ASCUS+) or, in cytology-normal HPV+ women, HPV test repeat after 1 year and colposcopy referral if still HPV+. Our hypothesis was that substantial variations in triage positivity and sensitivity may produce little variation in overall referral to colposcopy and on sensitivity of the entire screening process.MethodsCentre- and age-aggregated data from 72,869 women aged 35–64 years were derived from 10 organised screening programmes which have piloted HPV screening in Italy since 2012. Overall colposcopy referral was evaluated as a function of immediate colposcopy referral and overall CIN2+ detection as a function of the proportion of all CIN2+ detected by immediate referral (a proxy of cytology's sensitivity). We fitted additive regression models, adjusted for centre, age, compliance to HPV retesting and to colposcopy, by generalised estimation equations.ResultsThe proportion of HPV+ women directly referred to colposcopy varied across programmes (20–57%; average 37%) and so did CIN2+ detection (49–94%; average 77%). Overall, 63% (range 41–75%) of HPV+ were referred to colposcopy either immediately or at HPV repeat. An absolute 10% increase in immediate colposcopy referral resulted in 4.2% (95% CI: 3.3–5.1%) increase in overall referral. An absolute 10% increase in cytology's sensitivity resulted in a 1.1% (95% CI: 0.1–2.0%) increase in overall CIN2+ detection.ConclusionsRepeat HPV testing limits the effect of subjectivity of cytology interpretation on overall referral and sensitivity. These will change only slightly when replacing cytology with another test if the interval to HPV repeat remains unchanged
Documento GISCI:Raccomandazioni sul test HR-HPV come test di screening primario e rivisitazione del ruolo del Pap test
Il carcinoma della cervice uterina è attribuibile ad infezione da papilloma virus umano (HPV) praticamente
nella totalità dei casi; la persistenza dell’infezione, inoltre, è necessaria per lo sviluppo
delle lesioni intraepiteliali. Le evidenze a tale riguardo hanno suggerito l’applicazione di test molecolari
per la ricerca di HPV ad alto rischio oncogeno (HR-HPV) nei programmi di screening.
Fin dal 2006, il Ministero della Salute ha introdotto il test HPV nei protocolli da adottare per la
prevenzione del carcinoma della cervice uterina, in particolare per quanto riguarda l’utilizzo del
test HR-HPV nel triage delle diagnosi citologiche di ASC-US e nel monitoraggio delle pazienti dopo
trattamento di lesioni CIN2+ (1). Le Raccomandazioni del Ministero sottolineano inoltre l’importanza
dei risultati dello studio italiano multicentrico NTCC (4/9) per la possibile introduzione del
test HR-HPV come test di screening primario.
Nel 2007 sono stati pubblicati i risultati di due trial randomizzati controllati che hanno paragonato
la performance del test HR-HPV con quella del Pap test tradizionale nell’ambito dello screening
del cervicocarcinoma (2,3). Il trial olandese ha dimostrato che il test HR-HPV aumenta la capacitĂ
diagnostica di lesioni CIN3+ del 70% rispetto al Pap test, mentre dopo 5 anni da un test HR-HPV negativo
si osserva una riduzione delle stesse lesioni del 55% rispetto a quelle osservate nelle donne
con precedente Pap test negativo (2). Dati analoghi sono stati osservati per le lesioni CIN2. Inoltre
la somma di tali lesioni diagnosticate dalle due strategie in due episodi di screening (arruolamento
nello studio e rescreening a cinque anni) è sovrapponibile. Questo dimostra che, per le donne al di
sopra dei 30 anni, non vi è una sovradiagnosi significativa dovuta al test per l’HPV, ossia che le lesioni
diagnosticate in più dal test HR-HPV all’arruolamento non sarebbero regredite spontaneamente.
Pertanto la maggiore sensibilità del test HR-HPV osservata negli studi trasversali può essere interamente
considerata come anticipazione della diagnosi rispetto al Pap test tradizionale, a patto che
si seguano adeguati protocolli di gestione delle donne HR-HPV positive. Il trial svedese (3) riporta
un incremento di sensibilità per lesioni CIN2+ del 51% all’arruolamento e, dopo 4 anni da un test
HPV negativo, una riduzione di lesioni CIN2+ del 42% e di CIN3+ del 47%. Analogamente a quanto
riportato nello studio olandese, anche in questa casistica non si è osservata alcuna sovradiagnosi.
In Italia si sta per concludere un trial multicentrico di grandi dimensioni (NTCC), con circa 100.000
donne arruolate, sulla performance del test HPV. I dati relativi all’arruolamento in NTCC (4/8) hanno
prodotto risultati sovrapponibili a quelli dei trial citati: il test HPV ha una sensibilitĂ nettamente
superiore rispetto al Pap test sia nelle donne di etĂ compresa tra i 25 ed i 34 anni che in quelle di
etĂ superiore. Lo studio ha messo in evidenza che la maggiore sensibilitĂ del test HPV si traduce in
una maggiore prevenzione del carcinoma della cervice uterina, ragionevolmente dovuta al trattamento
di CIN2/3 non individuati dal Pap-test. Anche in questo studio la sovradiagnosi nelle donne
al di sopra dei 35 anni è modesta. Nelle donne fra i 25 e i 35 anni, la sovradiagnosi è stata invece
evidente, in particolare quando si è adottato un protocollo con invio diretto in colposcopia per
tutte le donne HR-HPV positive, ma anche quando si è applicato il protocollo con triage citologico
(9). Il progetto è stato condotto nell’ambito di programmi di screening organizzati.
I risultati preliminari relativi al rescreening mostrano che le donne con HR-HPV negativo all’arruolamento
sono protette dalla malattia per un tempo piĂą lungo rispetto ai tre anni previsti per il Pap
test. Il consolidamento di questi dati ha portato a ipotizzare, in caso di screening con test HR-HPV,
un aumento dell’intervallo di screening da 3 a 5-6 anni, grazie alla maggiore protezione fornita da
questo test (anticipazione diagnostica e maggior sensibilitĂ ) rispetto al Pap test.
I progetti di fattibilità oggi in corso prevedono l’introduzione del test HPV come test di screening
primario sia nella fascia 25-64 anni che nella fascia 35 anni-64 anni, in questo caso le donne della
fascia d’età 25-34 anni sono invitate ad effettuare un Pap test.
Sulla base di queste evidenze scientifiche il Centro nazionale per la prevenzione ed il controllo
delle malattie (CCM) del Ministero della Salute ha preso in considerazione l’ipotesi di modificare
le Raccomandazioni del 2006 (1). Il GISCi condivide tale posizione, che prevede l’introduzione del
test HPV nello screening primario all’interno di applicazioni controllate con l’obiettivo di testarlo
nella pratica