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Nuovi strumenti di politica industriale per lo sviluppo e la quotazione delle PMI
Le piccole e medie imprese costituiscono l’ossatura del sistema economico e produttivo italiano rappresentando il 99,9% del numero totale delle imprese del territorio nazionale. La dimensione ridotta delle imprese e la natura familiare della proprietà hanno spesso reso gli imprenditori restii ad aprire il capitale all’ingresso di nuovi soci finanziatori o a reperire fondi sul mercato di borsa o presso investitori istituzionali tanto che oggi l’Italia risulta essere uno dei paesi avanzati in cui la borsa è meno rappresentativa del tessuto produttivo e industriale. Un dato che consente di cogliere chiaramente il differenziale di sviluppo del mercato dei capitali è dato dal rapporto tra capitalizzazione di borsa e PIL. Con riferimento al 2017, questo rapporto ha assunto un valore pari al 128% nel Regno Unito, al 100% in Francia, al 58% in Germania e al 37% in Italia. La crisi finanziaria degli ultimi anni dal canto suo ha condotto l’Unione Europea nella fase di recessione più lunga di tutta la sua storia ed ha conseguentemente riportato all’attenzione dei politici e degli economisti europei il ruolo strategico delle piccole e medie imprese (soprattutto quelle manifatturiere) come propulsore della crescita e della capacità di innovazione tecnologica e sociale. Tant’è che per agevolare lo sviluppo delle piccole e medie imprese si è giunti a mettere in discussione la tradizionale diffidenza verso ogni forma di intervento pubblico nelle traiettorie di sviluppo industriale poiché si è capito che tra dirigismo e liberismo vi sono molte strategie di politica industriale intermedie perseguibili. Lo stimolo alla crescita e alla competitività per sostenere e rafforzare la ripresa è diventata la priorità essenziale per la Commissione Europea nella consapevolezza che la mera integrazione attraverso l’eliminazione delle barriere (ossia tramite il completamento del Mercato Unico) è condizione certamente opportuna e necessaria ma non sufficiente