51 research outputs found

    Documenti d'arte impegnata: "Tra rivolta e rivoluzione: immagine e progetto", Bologna, 1972-1973

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    Questo contributo analizza la mostra "Tra rivolta e rivoluzione: immagine e progetto", organizzata dall’Ente Bolognese Manifestazioni Artistiche e tenutasi in diverse sedi nella città emiliana tra il novembre 1972 e il gennaio 1973. Ideata come primo momento di riflessione sugli esiti della passata stagione contestativa (1968-1972), la mostra attraversava diverse discipline (arte, cinema, teatro, musica, architettura e urbanistica) tentando di fare il punto sui rapporti tra pratica culturale e impegno politico. A questo proposito, si avvaleva dell’esposizione di materiali prodotti dai movimenti come di opere artistiche, film, spettacoli e progetti di urbanistica, cercando di affrontare il recente passato ed esaminare le possibili proposte culturali nel clima di tensione dei primi anni Settanta in Italia. In particolare, si discute qui la sezione "Arte/Iconografia politica" a cura del critico Franco Solmi e dell’artista Concetto Pozzati, dove un eterogeneo gruppo di documenti e opere d’arte era esposto secondo criteri di “contenuto” politico, al di là delle rispettive poetiche o tecniche espressive. Sono messe quindi in luce le contraddizioni sorte nell’utilizzare la mostra come dispositivo di documentazione “parziale” (al tempo selettiva e militante) rivolta al grande pubblico e di “autocritica” indirizzata ai professionisti del settore. Questo atteggiamento ù inoltre considerato all’interno delle ambizioni, ideologiche, di “interdisciplinarietà” e “decentramento” delle attività culturali, caratteristiche del dibattito istituzionale in quegli anni

    Dalla distruzione dell’oggetto all’ “ambiente come sociale”. Esperienze in Italia tra arte, architettura e progettazione culturale, 1969-1978

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    Sull’onda delle contestazioni del 1968 riprende vigore l’esigenza di mutamento emersa negli anni precedenti, la denuncia del sistema culturale si accompagna alla volontĂ  di rifondazione disciplinare e all’interrogarsi sul ruolo del creativo nella societĂ . Tra le diverse posizioni e azioni di dissenso, questa ricerca focalizza l’attenzione su quelle esperienze, individuali e collettive, che ponendosi a cavallo tra arte e architettura, hanno cercato di sviluppare un nuovo metodo di lavoro creativo e di gestione culturale nel e per lo spazio pubblico, inteso come urbano e sociale. A partire dalle dichiarazioni piĂč radicali di distruzione dell’oggetto artistico e della progettazione tecnica, vengono considerati quei casi in cui il rifiuto della produzione e del costruire trova nell’azione partecipata e nel contesto urbano il proprio terreno di sperimentazione e proposizione. Iniziative che negli anni Settanta si sviluppano in Italia attorno alle parole chiave ‘animazione’, ‘decentramento’, ‘didattica’, e applicano differenti metodi di indagine e ‘riappropriazione’ urbana, attivitĂ  di ‘laboratorio’ e progettazione ‘dal basso’, nel tentativo di incidere sul tessuto sociale e sulla gestione culturale del territorio. Esperienze documentate in parte nelle mostre “Avanguardie e cultura popolare” (G. M. Accame, C. Guenzi, Galleria d’arte moderna di Bologna, 1975) e “Ambiente come sociale” (E. Crispolti, R. De Grada, Biennale di Venezia, 1976) e nelle rassegne alla Cooperativa Alzaia (Roma, 1975-78) e al Centro Internazionale di Brera (Milano, 1976-77), ma che sono rintracciabili soprattutto grazie alle riviste e quaderni degli stessi ‘operatori estetici’, veri e propri momenti di ‘animazione’ e creazione organica di un luogo cartaceo per la realizzazione di progetti e il dibattito teorico. Scopo della ricerca Ăš la ricostruzione storica di queste vicende, in seguito citate come ‘arte nel sociale’ (Crispolti, 1994; Pansera, Vitta, 1986), e un loro corretto collocamento non solo all’interno del dibattito critico artistico e architettonico, ma in particolare nei mutamenti politici e sociali coevi. Contestualizzazione necessaria per comprenderne le motivazioni profonde, il lessico e le metodologie di lavoro interdisciplinare sperimentate, come per chiarire le differenti posizioni e rilevarne problematicitĂ  e contraddizioni

    Le formule di proscioglimento nella fase dibattimentale

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    Il proscioglimento dell’imputato dal fatto contestato puĂČ avvenire in dibattimento per diversi motivi a seconda dei quali il giudice adotta una formula diversa. La prova dubbia (contraddittoria o insufficiente) legittima il proscioglimento con la formula piena. La declaratoria di colpevolezza e di condanna deve essere emessa nel caso in cui il giudice ritiene provata, oltre ogni ragionevole dubbio, sulla base degli atti acquisiti ed utilizzabili, la sussistenza del fatto reato contestato, l’attribuibilitĂ  dello stesso all’imputato e l’esclusione di una causa di giustificazione o di una causa personale di non punibilitĂ . La presente tesi nella prima parte (capitolo primo) si incentra sullo studio delle formule di proscioglimento nel processo penale - che rappresentano un istituto tipico della realtĂ  italiana - dapprima focalizzando l’attenzione sulle passate codificazioni e poi analizzando la disciplina attualmente vigente. Nella seconda parte (capitolo secondo) sarĂ  preso in esame un caso di cronaca giudiziaria

    Peri-operative red blood cell transfusion in neonates and infants: NEonate and Children audiT of Anaesthesia pRactice IN Europe: A prospective European multicentre observational study

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    BACKGROUND: Little is known about current clinical practice concerning peri-operative red blood cell transfusion in neonates and small infants. Guidelines suggest transfusions based on haemoglobin thresholds ranging from 8.5 to 12 g dl-1, distinguishing between children from birth to day 7 (week 1), from day 8 to day 14 (week 2) or from day 15 (≄week 3) onwards. OBJECTIVE: To observe peri-operative red blood cell transfusion practice according to guidelines in relation to patient outcome. DESIGN: A multicentre observational study. SETTING: The NEonate-Children sTudy of Anaesthesia pRactice IN Europe (NECTARINE) trial recruited patients up to 60 weeks' postmenstrual age undergoing anaesthesia for surgical or diagnostic procedures from 165 centres in 31 European countries between March 2016 and January 2017. PATIENTS: The data included 5609 patients undergoing 6542 procedures. Inclusion criteria was a peri-operative red blood cell transfusion. MAIN OUTCOME MEASURES: The primary endpoint was the haemoglobin level triggering a transfusion for neonates in week 1, week 2 and week 3. Secondary endpoints were transfusion volumes, 'delta haemoglobin' (preprocedure - transfusion-triggering) and 30-day and 90-day morbidity and mortality. RESULTS: Peri-operative red blood cell transfusions were recorded during 447 procedures (6.9%). The median haemoglobin levels triggering a transfusion were 9.6 [IQR 8.7 to 10.9] g dl-1 for neonates in week 1, 9.6 [7.7 to 10.4] g dl-1 in week 2 and 8.0 [7.3 to 9.0] g dl-1 in week 3. The median transfusion volume was 17.1 [11.1 to 26.4] ml kg-1 with a median delta haemoglobin of 1.8 [0.0 to 3.6] g dl-1. Thirty-day morbidity was 47.8% with an overall mortality of 11.3%. CONCLUSIONS: Results indicate lower transfusion-triggering haemoglobin thresholds in clinical practice than suggested by current guidelines. The high morbidity and mortality of this NECTARINE sub-cohort calls for investigative action and evidence-based guidelines addressing peri-operative red blood cell transfusions strategies. TRIAL REGISTRATION: ClinicalTrials.gov, identifier: NCT02350348

    Maieutica del progetto. Riccardo Dalisi tra architettura, design e “animazione”, 1967-1974

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    Noto per il suo contributo al movimento del “design radicale” italiano negli anni Settanta, l’opera dell’architetto e designer napoletano Riccardo Dalisi Ăš stata raramente studiata alla luce del dibattito architettonico, artistico e sociale dell’Italia post-Sessantotto. Ricostruendo brevemente lo svilupparsi del suo lavoro – dai primi progetti di spazi “flessibili” a metĂ  anni Sessanta, ai laboratori tenuti nelle periferie napoletane tra 1971 e 1974 – questo articolo propone una nuova lettura delle sperimentazioni dell’architetto, teorico di quella che da lui Ăš stata definita come “tecnica povera”, nonchĂ© tra i fondatori nel 1973 del collettivo di designer noto come Global Tools. Attraverso un’analisi accurata degli scritti e delle iniziative di Dalisi, si tenta qui di chiarificare le sue posizioni riguardo alcuni problemi chiave: il ruolo dell’architetto nella societĂ , tra produzione di massa e speculazione edilizia, l’introduzione di metodologie partecipative nel processo progettuale, la fiducia nelle potenzialitĂ  della creativitĂ  come mezzo di emancipazione individuale e sociale. In particolare, l’articolo rileva l’interesse suscitato dal metodo dialettico di Dalisi sia nei circoli del design d’avanguardia sia tra quegli “operatori culturali” che, negli anni Settanta, andavano sviluppando una serie di progetti nello spazio urbano con la partecipazione di gruppi e comunitĂ  emarginate.Renowned for his contribution to the Italian ‘counter-design’ movement in the 1970s, the Neapolitan architect and designer Riccardo Dalisi’s work has seldom been considered in the light of the architectural, artistic and social debate occurring in Italy from the 1968 onwards. By shortly retracing the development of his work – from the first projects of ‘flexible’ spaces in the mid 1960s to the workshops he held in the suburbs of Naples between 1971 and 1974 – this paper aims to provide a new way of understanding the experimental activities of the theorist of the so-called ‘tecnica povera’ (minimal technology), whose artistic personality is to be held among the founders of the design collective Global Tools in 1973. An accurate analysis of Dalisi’s writings and initiatives will allow an insight in the artist’s positions regarding key issues such as: the role of the architect between mass production society and increasing speculative building, the introduction of participatory methodologies in the design process, and the trust in the potentiality of creativity as a means to attaining personal and social emancipation. Especially, this paper will highlight the interest raised by Dalisi’s dialectic method both within the coteries of design avant-garde and among those ‘operatori culturali’ (art workers) who were then proposing a series of artistic projects in the urban space with the collaboration of emarginated groups and communities in the mid of the 1970

    Merve Kılıçer

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    Scheda dell'opera dell'artista Merve Kılıçer, in mostra e a catalogoArtist Merve Kılıçer's catalogue entr

    "L'ambiente come sociale alla Biennale di Venezia 1976": note da un libro mai realizzato

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    Oramai conclusasi la XXXVII Biennale d’arte di Venezia, nel gennaio del 1977 lo storico e critico d’arte romano Enrico Crispolti scrive all’ente veneziano a proposito della mostra della sezione italiana da lui curata insieme a Raffaele De Grada. Intitolata "L’ambiente come sociale", la mostra aveva risposto al tema progettuale indicato dall’ente, "Ambiente, partecipazione e strutture culturali", presentando «proposte, azioni, esperienze, documenti di ricerca per nuovi modi di intervento creativo nell’ambiente sociale». Nella lettera, Crispolti chiede il materiale di documentazione della mostra e propone di raccoglierlo in una pubblicazione. Il volume avrebbe dovuto riunire, ampliandoli, i testi e le illustrazioni pubblicate nell’opuscolo realizzato per l’occasione, le trascrizioni delle interviste ai partecipanti e del dibattito "Nuova domanda e modi di produzione culturale nel campo delle arti visive", alcuni documenti del convegno sul decentramento e il resoconto degli incontri del ciclo "Documentazione aperta". Infine, avrebbe incluso una nota sull’allestimento della mostra, a opera di Ettore Sottsass, e sulle tecniche audiovisive impiegate. Il libro non fu mai realizzato, ma le note che scandiscono il progetto editoriale e i materiali allegati aiutano a orientarsi tra le eterogenee proposte di questa mostra, rimasta ai margini del racconto storiografico. A che cosa si riferiva il critico parlando di «ambiente come sociale»? Che intendeva come “nuovi modi di intervento creativo” e in che cosa consisteva una «documentazione aperta»? Questi sono i nodi discussi in questo intervento, che ricostruisce la presenza della partecipazione italiana all’interno della Biennale veneziana del 1976
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