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A Carrington-like geomagnetic storm observed in the 21st century
In September 1859 the Colaba observatory measured the most extreme
geomagnetic disturbance ever recorded at low latitudes related to solar
activity: the Carrington storm. This paper describes a geomagnetic disturbance
case with a profile extraordinarily similar to the disturbance of the
Carrington event at Colaba: the event on 29 October 2003 at Tihany magnetic
observatory in Hungary. The analysis of the H-field at different locations
during the "Carrington-like" event leads to a re-interpretation of the 1859
event. The major conclusions of the paper are the following: (a) the global Dst
or SYM-H, as indices based on averaging, missed the largest geomagnetic
disturbance in the 29 October 2003 event and might have missed the 1859
disturbance, since the large spike in the horizontal component (H) of
terrestrial magnetic field depends strongly on magnetic local time (MLT); (b)
the main cause of the large drop in H recorded at Colaba during the Carrington
storm was not the ring current but field-aligned currents (FACs), and (c) the
very local signatures of the H-spike imply that a Carrington-like event can
occur more often than expected.Comment: 18 pages, 2 figures, accepted for publication in SWS
Supergranular-scale magnetic flux emergence beneath an unstable filament
Here we report evidence of a large solar filament eruption on 2013, September
29. This smooth eruption, which passed without any previous flare, formed after
a two-ribbon flare and a coronal mass ejection towards Earth. The coronal mass
ejection generated a moderate geomagnetic storm on 2013, October 2 with very
serious localized effects. The whole event passed unnoticed to flare-warning
systems.
We have conducted multi-wavelength analyses of the Solar Dynamics Observatory
through Atmospheric Imaging Assembly (AIA) and Helioseismic and Magnetic Imager
(HMI) data. The AIA data on 304, 193, 211, and 94 \AA sample the transition
region and the corona, respectively, while HMI provides photospheric
magnetograms, continuum, and linear polarization data, in addition to the fully
inverted data provided by HMI.
[...]
We have observed a supergranular-sized emergence close to a large filament in
the boundary of the active region NOAA11850. Filament dynamics and magnetogram
results suggest that the magnetic flux emergence takes place in the
photospheric level below the filament. Reconnection occurs underneath the
filament between the dipped lines that support the filament and the
supergranular emergence. The very smooth ascent is probably caused by this
emergence and torus instability may play a fundamental role, which is helped by
the emergence.Comment: 9 pages, 6 figures, online material at Journa
Report dei seminari del 20-21 ottobre 2010, 19-20 maggio 2011, 20-21 giugno 2011
Questo report descrive il lavoro del seminario del 20-21 giugno 2011, che grazie
alla produttiva collaborazione dei partecipanti, ci ha permesso di avere
un’idea complessiva e approfondita delle attività di comunicazione
dell’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia (INGV), delle criticità a esse connesse,
e del loro possibile sviluppo coordinato nel quadro di un piano di comunicazione a medio termine.
Gli incontri precedenti di maggio 2011 e ottobre 2010, e la visione di molti dei materiali prodotti
da INGV in questi ultimi anni, hanno completato il quadro.
L’INGV è sempre stato molto attivo nella comunicazione della scienza rivolta a pubblici di ogni genere.
L’Istituto, infatti, nella sua sede di Roma ma anche nelle sezioni presenti in altre città
e nelle sedi distaccate produce pubblicazioni e materiali video e multimediali;
organizza programmi didattici; produce mostre interattive e gestisce collezioni museali;
è spesso presente nei media, non solo in tempi di emergenza ecc.
A questo si aggiunge il lavoro dell’ufficio stampa, che è uno degli elementi
che compongono l’immagine pubblica di un ente e contribuiscono a farne conoscere la vita e i risultati.
Come in quasi tutti gli altri istituti di ricerca italiani, data la relativa giovinezza
della comunicazione della scienza come campo di intervento professionale,
le diverse attività sono nate in tempi diversi e grazie al lavoro di gruppi diversi cosicché,
pur nella ricchezza delle offerte, si percepisce la mancanza di una gestione coordinata,
che permetterebbe invece di ottenere maggiore impatto e contemporaneamente
una gestione più efficace delle risorse. È chiaro che l’attuale mole di lavoro,
ma anche quella che può prevedersi nel futuro, richiede l’impegno a tempo pieno di alcune persone,
ma anche il contributo di molte altre, che dedicano solo parte del loro tempo per fornire contenuti
e materiali, controllare la correttezza scientifica di contenuti, incontrare i media o il pubblico ecc.
Inoltre coordinamento significa anche presentare un’immagine coerente dell’Ente,
che oggi non traspare appieno; un vero e proprio brand (che significa nello stesso tempo marchio e stile)
riconoscibile in ogni prodotto e attività, con un conseguente effetto di accumulo e
di moltiplicazione dell’impatto in termini di conoscenza e fiducia. Un brand preciso,
che accompagni una diffusa consapevolezza della natura e dei compiti dell’Istituto,
è reso indispensabile anche dalla necessità di differenziarlo da altri enti che si muovono
nel medesimo ambito, primo fra tutti il Dipartimento della Protezione Civile.
La comunicazione dell’Istituto è resa più difficile (ma nel contempo più necessaria,
anzi di importanza nazionale) dalla necessità di muoversi secondo due principali binari:
Da un lato ci sono le attività che potremmo dire dei “tempi di pace”: in assenza di crisi
(quali eventi catastrofici) l’Istituto si impegna a promuovere una migliore cultura scientifica,
anche in vista della convivenza con un rischio ambientale impossibile da eliminare.
Dall’altro, nei “tempi di guerra”, ossia in presenza di eventi catastrofici in corso
(ma anche della loro sola presenza mediatica) l’Istituto deve rispondere ai bisogni
di informazione dei cittadini, ponendosi come fonte autorevole di conoscenze.
Dato tutto ciò, occorrerebbe:
Produrre un piano di comunicazione a breve e medio termine, che tenga presente obiettivi,
pubblici, risorse e risultati attesi (e questo documento può offrire materiale per la discussione
e la preparazione di tale piano) e una prima definizione del brand dell’Istituto e delle linee guida
per la sua azione comunicativa.
Disegnare una struttura unica per realizzare questo primo piano, come poi per valutarne i risultati
e aggiornarlo periodicamente; una struttura forte perché organizzata in modo chiaro ma anche perché
in possesso di linee guida condivise, e in questo modo capace di integrare i contributi di persone
diverse in un unico sforzo coerente (si veda nelle conclusioni a pagina 29 una proposta di organigramma).
Definire delle sotto strutture dedicate alle diverse aree di intervento, di cui l’ufficio stampa
in senso tradizionale è solo una componente. Pur nella specificità degli ambiti, queste strutture
dovranno essere capaci di dialogare e lavorare insieme quando determinati progetti lo richiedano
(anche da qui la necessità di una direzione generale coerente). La struttura dovrebbe essere quindi
organizzata per “dipartimenti” ma anche per progetti (ad esempio l’open day è un progetto a cui
collaborano ufficio stampa, ufficio didattica ecc.).
Preparare protocolli e linee guida che permettano di passare da un funzionamento “normale”
a un funzionamento in tempi di emergenza, istituire cioè una vera e propria unità di crisi anche
per i problemi della comunicazione (verso i media, tradizionali e non, ma anche direttamente verso
le popolazione colpite).
Mettere in atto dei processi di valutazione, in modo da poter periodicamente confrontare sforzi,
obiettivi e risultati. Questi processi non devono essere visti come mero controllo, ma come modalità
di riflessione e crescita, secondo cioè la logica delle formative evaluation, che sono uno strumento
interno di lavoro e non già uno strumento esterno di giudizio.
Citiamo in questo sommario anche tre idee forti, emerse durante il seminario di giugno,
che potrebbero completare (ma in parte anche aiutare a riordinare) le attività di comunicazione
dell’ente:
La preparazione di protocolli e di linee guida per la comunicazione dell’Istituto in tempi di
emergenza e in tempi “normali”, e la predisposizione di una unità di crisi anche per la comunicazione.
Masterclass per giornalisti e operatori dei media. Dato il ruolo fondamentale che i giornalisti
possono giocare ora come alleati, ma talvolta anche come avversari dell’Istituto (quando, ad esempio,
alcuni hanno cavalcato l’affare Giuliani), instaurare un rapporto di fiducia e conoscenza più stretta
con alcuni di questi, grazie a periodiche giornate di aggiornamento a loro dedicate, potrebbe rivestire
un’importanza strategica.
La giornata nazionale dei terremoti, un evento annuale, con grande rilevanza mediatica,
che sulle orme dell’Open Day 2011 (ma anche delle omologhe iniziative straniere)
permetta di costruire progressivamente una consapevolezza diffusa della mitigazione
e della gestione del rischio.
Infine vorremmo chiarire che questo lavoro di analisi e riflessione progettuale sulla comunicazione
dell’istituto, a cui tutti i partecipanti agli incontri hanno contribuito con entusiasmo e competenza,
non deve in alcun modo essere visto come una critica all’esistente, ma come la naturale evoluzione
di un’area che dopo molti anni di attività proficua in situazioni anche difficili, grazie
all’esperienza acquisita, può porsi obiettivi più ambiziosi
Dendroclimatic relevance of “Bosco Antico”, the most ancient living European larch wood in the southern Rhaetian Alps (Italy).
The ongoing increase in the global mean temperature at an unprecedented recorded rate is well documented. Nevertheless, knowledge of past climate variations is fundamental for a better understanding of ongoing climate change. This need is crucial in high mountain areas, where the effects of global warming are amplified and induce an accelerated glacial retreat. Thus, the use of climatic proxies such as tree-ring width offers tools to better understand the environmental dynamics in remote, sensitive sites. Here, we present the “Bosco Antico” site chronology, a six-century long dataset from the most ancient living stand in the Val di Sole area (southern Rhaetian Alps, Italy), and its relationship with summer mean temperatures. The analyses were performed on earlywood and latewood separately, as well as on tree-ring widths using static and moving correlations. The results showed that tree-rings and earlywood width are linked with June temperatures, whereas latewood width is mainly driven by July temperatures. All the analysed series were greatly influenced by June to July and June to August temperatures. Finally, a mean summer latewood-based temperature reconstruction since 1525 is proposed. It highlighted that during the last six hundred years, the summer temperatures span between -2.3 to +1.9 °C compared to the 1960–90 mean temperature (between 6.2 and 10.4 °C at the stand elevation). The coolest phase is recorded in the 1810s-20s underlining the strongest pulse of the Little Ice Age; other phases of negative anomalies are recorded in the first half of the 17th century, around 1700, and 1900 and during the 1970s. Our results add an important dataset for a specific climatic area, providing new information that will contribute to a better understanding of the climate dynamics for the study site as well as on a larger scale
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