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    L’uso del decreto legge nella XVII legislatura

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    Quale ruolo ha assunto il decreto legge all’interno delle fonti normative negli ultimi anni? In questo articolo si esamina il ricorso a detto strumento nella XVII legislatura, tanto dal punto di vista del suo utilizzo quantitativo, quanto da quello qualitativo. Attraverso uno studio dei dati sulla produzione normativa ed unconfronto con le statistiche relative alle legislature precedenti, è stato possibile cogliere alcune tendenze in atto. Mentre la quantità di decreti legge emanati rimane sostanzialmente costante, aumenta progressivamente l’ampiezza dei singoli provvedimenti, spesso caratterizzati da un alto livello di eterogeneità. Il numero e l’entità delle modifiche apportate dalle Camere in sede di conversione rimane estremamente elevato, in parziale contrasto con la tesi dell’uso della decretazione d’urgenza quale strumento, nella disponibilità dell’esecutivo, per ridimensionare il ruolo parlamentare nella produzione normativa. Anche il ricorso alla questione di fiducia in fase di conversione sembra essere dovuto più alla volontà di evitare il decorso del termine di decadenza che a quella di impedire l’approvazione di emendamenti. Dall’analisi dei dati è stato possibile, dunque, ipotizzare che i decreti legge siano utilizzati in sostanziale fungibilità con un disegno di legge ordinario, e che tale scelta del Governo sia motivata primariamente dai vantaggi procedurali e di celerità garantiti dalla procedura di conversione del decreto.What is the role taken by the Degree-law in the rule-production system during the last years? In this article the use of this instrument has been analysed in both a quantitative and a qualitative way. The study was primarily based on data and statistics about the Law production in the latest legislatures. By this means it has been possible to identify some trends. While the number of Degree-Laws keeps stable, their length keeps growing, as their complexity and heterogeneity. During the procedure of conversion into law, the Parliament tends to make a large number of changes to the original text of the Degree-law, thus partially reappraising the thesis which identifiesthis procedure as used for reducing the Parliament’s role in Law-making procedures. In the same way, the demand for a vote of confidence during the procedure of conversion into law seems to be due to avoiding the 60-days term of decadence of the Degree-law rather than to limit the Parliament’s intervention. The data analysis led to the conclusion that the current use of the Degree-law is often similar to the one of a draft law. The Government tends to opt for the Degree-law primarily for the procedural gains and the rapidity of the conversion into law, in comparison to the normal law-making procedure

    Una fonte a geometria variabile. La direttiva sul disbrigo degli “affari correnti”

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    The essay aims to organically analyze the directive for current affairs in the Italian system of legal sources. An instrument of difficult normative categorization, the directive on current affairs provides important evidence of the multiple transformations happening nowadays between Parliament and Government. The following pages aim precisely at the analysis of an instrument designed to guarantee the principle of institutional continuity and which, in the Italian legal system, has in recent decades come to be consolidated and expanded also and above all due to political factors

    Il Governo legislatore. La decretazione d'urgenza tra crisi economico-finanziaria e vincoli europei

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    The thesis regards a classic theme – the emergency decrees adopted by the government - developed on new fields and following an original method. The hypothesis is that the increasing importance of emergency decrees in the italian system represents both the symptom and the product of deeper structural changes that occurred in the relations between European institutions and national constitutional powers. Through the analytical examination of emergency decrees in the last three legislatures, linking quantitative and qualitative approaches, an inductive study is carried out to locate any stabilizing trends that may eventually go beyond momentary political-institutional balances. The identification of these trends is to define the field of further investigation, that aims to reconstruct ratio below the existence and the endurance of regularity. Emergency decree shows a new nature: neither an exceptional source nor ordinary legislation. It rather becomes the instrument to concretize goals that are largely co-determined by the government in the intergovernmental seats; the realization of which the government itself is the guarantor at the domestic level. This demonstrates that a new step in European integration is taken: the government does not respond only to its parliamentary majority but it also is the guarantor in front of the European institutions of the effectiveness of decisions that insert into supranational coordinated policies

    The "role" of the President of the Council of ministers between government activity and inter-institutional coordination

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    La ricerca ha ad oggetto lo studio dell’evoluzione del ruolo del Presidente del Consiglio dei ministri all’interno delle dinamiche di funzionamento della forma di governo italiana. Difatti, la ricostruzione sistematica di tale figura sembra essere rimasta sempre in secondo piano rispetto alle complesse analisi riguardanti la forma di governo parlamentare. Dal totale silenzio dello Statuto albertino sul punto, agli svariati tentativi non sempre riusciti nel periodo statutario di disciplinare le competenze presidenziali con atti normativi, alle “fumose” parole dell’articolo 95 della Costituzione, che hanno lasciato coesistere interpretazioni divergenti sulla collocazione del Presidente del Consiglio all’interno della compagine governativa, sino alla tardiva attuazione del disposto costituzionale con la legge n. 400/88, con grande difficoltà tale figura è riuscita ad avere un riconoscimento espresso e stabile delle proprie attribuzioni costituzionali. Il lavoro di ricerca, pertanto, si propone di ricostruire il “ruolo” costituzionale di tale figura soprattutto alla luce delle recenti evoluzioni che hanno caratterizzato la forma di governo nazionale. Ponendo al centro l’analisi di tali fenomeni, il lavoro si sviluppa seguendo tre direttrici evidenziate dalla tre parti in cui esso si divide: un’analisi storico-evolutiva; un’analisi orizzontale e “di sistema” dell’impianto organizzativo dell’esecutivo e del suo vertice e un’analisi concreta di due “casi di studio”. La finalità della ricerca è quella di proporre una lettura del ruolo costituzionale del Presidente del Consiglio in una chiave più estesa: non limitato esclusivamente al coordinamento e alla direzione dell’attività endogovernativa, declinata principalmente nel campo normativo, ma che ricomprende anche il coordinamento delle politiche pubbliche di governo e funzionale allo svolgimento di un coordinamento “inter-istituzionale” e “di sistema”, che coinvolge le diverse strutture governative, il Parlamento e i diversi livelli di governo, anche sovranazionale.The present thesis deals with the evolution of the role of the President of the Council of Ministers within the operating mechanisms of the Italian form of government. The systematic reconstruction of this institutional figure has always been in the background of more complex analyses concerning the parliamentary form of government. While the “Statuto Albertino” did not even mention such role, various unsuccessful attempts to regulate the president’s prerogatives with legislative acts were made during the “periodo statutario”. Then, an obscure definition given in the Article 95 of the Italian Constitution allowed divergent interpretations on the position of the President of the Council within the governmental structure, until the late implementation of the constitutional provision, in Law No. 400/88, managed to have expressly recognised the constitutional attributions of this figure. Thus, the aim of this research is to reconstruct the constitutional ‘role’ of the PCM, especially on the basis of recent developments in the national form of government. In this sense, the interpretation of the constitutional role of the President of the Council we propose in this research is not limited to the coordination and direction of activities within the Council of Ministers. On the contrary, the role is interpreted in a broader sense. In fact, it encompasses the coordination of public government policies and is functional to the performance of a ‘systemic’ coordination of the entire constitutional structure. Such coordination is made possible also through the determination of inter-institutional procedures, involving various governmental structures, the Parliament and different levels of government, including the supranational ones

    I riflessi del Pnrr sulla forma di governo e sui processi di indirizzo politico

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    Il procedimento euro-nazionale di elaborazione del Pnrr e la gestione delle risorse e degli interventi previsti da questo programma epocale di riforme ed investimenti, affidato ad una articolata geografia di poteri e funzioni riconducibili in larga parte alla attività di direzione e coordinamento del Presidente del Consiglio dei ministri, conducono lo studioso a interrogarsi sul ruolo assunto dal Parlamento nella formulazione dei contenuti del Piano e a riflettere sulla perdurante vitalità del principio collegiale come valore cardine dei processi di definizione e conduzione delle scelte di indirizzo politico

    Il principio autonomista nel regionalismo italiano. Bibliografia ragionata

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    INDICE 1. REGIONALISMO E FEDERALISMO, STATO REGIONALE E STATO FEDERALE 2. DAL RISORGIMENTO A STURZO 3. IL PERIODO DELLA COSTITUENTE E I PRIMI TENTATIVI DI ATTUARE IL REGIONALISMO: GLI ANNI ‘50-‘70 4. GLI STRUMENTI DI RACCORDO STATO-REGIONI NEL PREVIGENTE TITOLO V DELLA COSTITUZIONE 5. IL PRINCIPIO DI AUTONOMIA REGIONALE DOPO LE RIFORME DEL 1999- 2001 6. ALCUNE CONCLUSIO

    I PARLAMENTI NAZIONALI NELL\u2019UNIONE EUROPEA. GLI EFFETTI DELL\u2019INTEGRAZIONE SULLA FUNZIONE DI CONTROLLO PARLAMENTARE

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    Le implicazioni dell\u2019integrazione europea sulle dinamiche istituzionali e politiche interne agli stati membri e sui rapporti fra gli esecutivi e i parlamenti nazionali sono state oggetto di crescente attenzione di pari passo con l\u2019approfondirsi dello stesso processo di integrazione nel continente. Il tema, che ovviamente include le questioni relative alla partecipazione dei Parlamenti nazionali al processo decisionale europeo, \ue8 tornato ad essere di grande attualit\ue0 in seguito all\u2019approvazione del Trattato di Lisbona e ad alcune recenti evoluzioni negli equilibri istituzionali indotte dalla crisi economico e finanziaria del 2008. L\u2019obiettivo di questa tesi \ue8 esaminare le modalit\ue0 di partecipazione dei Parlamenti nazionali nelle decisioni volte a definire le politiche e il diritto dell\u2019Unione Europea con particolare attenzione al caso italiano e agli effetti legati a tali importanti innovazioni. Pi\uf9 precisamente, il lavoro mira a verificare quale sia il ruolo svolto dai parlamenti nazionali nella formazione della pozione nazionale che i rispettivi governi sono chiamati a sostenere nel quadro di quei processi decisionali intesi ad elaborare specifici atti europei. Sebbene l\u2019obiettivo principale della tesi sia quello di indagare i meccanismi interni di coordinamento tra parlamento e governo funzionali all\u2019attivit\ue0 di indirizzo del primo sul secondo, non mancheranno cenni anche in relazione agli altri canali di intervento parlamentare (quelle modalit\ue0 di coinvolgimento cd. \u2018dirette\u2019), laddove ci\uf2 sia funzionale a meglio comprendere il sistema di controllo e indirizzo interno. Per quanto riguarda i casi di studio, come anticipato, il lavoro si concentra prevalentemente sul caso italiano. Tuttavia, \ue8 stata svolta anche un\u2019analisi comparata. Sulla base della consolidata suddivisione elaborata COSAC, la scelta \ue8 ricaduta in particolare su due sistemi rappresentativi del modello document-based (Regno Unito e Germania) \u2013 anche il caso italiano \ue8 stato tradizionalmente incluso in tale modello \u2013 e su di uno riconducibile al modello mandating-based (Danimarca) Il primo capitolo della tesi ricostruisce le tappe della storia europea verso la soluzione del problema del riconoscimento di un ruolo dei parlamenti nazionali nei processi decisionali e nell\u2019architettura istituzionale delle Comunit\ue0 prima e dell\u2019Unione poi. Tale processo si \ue8 sviluppato su due livelli: uno proprio dei singoli ordinamenti nazionali, che hanno progressivamente affinato specifiche pratiche di controllo e creato strutture appositamente dedicate agli affari europei; e un altro proprio del diritto europeo, che ha riconosciuto poteri informativi e poi poteri di interlocuzione non mediata dai governi con le istituzioni europee. Il capitolo discute anche l\u2019evoluzione delle teorie dottrinarie, a partire dalle prime ricostruzioni del legame esistente tra la partecipazione dei parlamenti nazionali e il problema del deficit democratico, e affronta alcuni elementi definitori e classificatori utili per meglio comprendere gli aspetti comuni alle varie esperienze nazionali del controllo parlamentare. Il secondo capitolo \ue8 dedicato all\u2019analisi comparata. Per ciascuna delle esperienze nazionali scelte (Danimarca, Germania e Regno Unito) sono analizzate le fonti di disciplina dei poteri interni di controllo parlamentare \u2013 siano esse disposizioni normative, regolamentari, prassi sperimentali \u2013, le strutture parlamentari e governative coinvolte nello scrutiny interno e i meccanismi predisposti per rafforzare il potere parlamentare e migliorare il raccordo con il governo. L\u2019effettivo utilizzo del controllo dipende, infatti, oltre che dalla volont\ue0 del parlamento, dalla funzionalit\ue0 delle strutture e degli strumenti operativi di cui dispone e dalla presenza di un efficace raccordo con le competenti strutture dell\u2019esecutivo. Il capitolo approfondisce anche l\u2019aspetto dinamico dell\u2019attuazione delle disposizioni, ovvero il funzionamento concreto delle strutture e degli strumenti di indirizzo e di raccordo. Le prassi applicative costituiscono la fonte primaria della ricerca, poich\ue9 l\u2019attivit\ue0 di controllo interno sugli affari europei \ue8 sottoposta a continue influenze esterne (prodotte dai progressi dell\u2019integrazione) e a processi interni di adattamento che ne impongono costanti modifiche, spesso approntate tramite procedure sperimentali e operazioni interpretative non formalizzate in fonti normative. Questa analisi \ue8 funzionale a individuare eventuali buone prassi per lo svolgimento di un\u2019efficace partecipazione al processo decisionale dell\u2019Unione. Al contempo, si cercher\ue0 di valutare se gli strumenti normativi e le prassi applicative hanno avuto l\u2019effetto di riequilibrare le dinamiche dei rapporti tra le assemblee parlamentari e i rispettivi esecutivi negli affari europei. Gli ultimi due capitoli saranno interamente dedicati ad approfondire il caso italiano. In particolare, nel capitolo 3 \ue8 ricostruita la disciplina italiana dell\u2019indirizzo e del controllo dalle origini fino alla legge 234 del 2012. Lo studio \ue8 effettuato tenendo conto del peculiare sistema di fonti che caratterizza la disciplina italiana dei meccanismi di scrutiny interno e che si ricava dalla combinazione della legge ordinaria di procedura, dei regolamenti parlamentari e delle prassi sperimentali che nel tempo si sono sviluppate in adeguamento, per via interpretativa, delle procedure regolamentari alle fonti europee. Il capitolo 4 sar\ue0 quindi dedicato alle dinamiche attuative delle disposizioni normative e regolamentari precedenti e successive all\u2019entrata in vigore della legge 234 del 2012. L\u2019analisi empirica \ue8 svolta unicamente con riferimento al canale interno di indirizzo e controllo del parlamento sulle attivit\ue0 del governo nella elaborazione di specifici atti dell\u2019Unione, dedicando solo alcuni cenni ai poteri parlamentari in relazione a specifici settori e alla fase pre-legislativa. Sono oggetto di analisi le fasi che vanno dalla trasmissione degli atti e dall\u2019informazione qualificata del Governo, all\u2019istruttoria parlamentare e all\u2019elaborazione degli indirizzi, fino all\u2019informativa sul seguito governativo agli indirizzi formulati. Da un punto di vista temporale, invece, si \ue8 deciso di dare conto di alcune prassi a partire dalla XIII legislatura. La scelta di limitare l\u2019indagine a tale periodo deriva dalla consapevolezza che la partecipazione alla fase ascendente del diritto comunitario da parte di Camera e Senato \ue8 fenomeno relativamente recente, per cui il periodo antecedente si caratterizza per l\u2019esiguit\ue0 di prassi e di profili applicativi di rilievo soprattutto in riferimento all\u2019esame di specifici atti dell\u2019Unione. Per quanto riguarda invece l\u2019evoluzione delle pratiche parlamentari successive all\u2019entrata in vigore della legge 234 del 2012, il punto di partenza temporale dell\u2019analisi corrisponde al momento di avvio della XVII legislatura (15 marzo 2013) e al periodo di stallo politico-istituzionale conclusosi con la nomina del Governo Letta il 28 aprile del 2013. Per quanto riguarda le fonti utilizzate nell\u2019analisi empirica, centrale \ue8 stato il ruolo della documentazione degli uffici per gli affari europei di Camera e Senato e delle banche dati sulle attivit\ue0 non legislative degli organi parlamentari deputati. Inoltre, si \ue8 ritenuto utile ricorrere ad alcune interviste ad attori privilegiati (funzionari parlamentari di Camera e Senato): le informazioni emerse e la documentazione raccolta nel corso delle interviste si sono rivelate essenziali per integrare i dati quantitativi e qualitativi laddove carenti. Nelle conclusioni, infine, sono brevemente richiamati i principali risultati della tesi, sono discussi i problemi ancora aperti nel caso italiano e sono avanzate alcune proposte \u2013 anche sulla scorta dell\u2019analisi comparata \u2013 per migliorare il processo di controllo parlamentare e il raccordo parlamento-governo negli affari europei

    PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA E CRISI DI GOVERNO

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    Nella forma di governo parlamentare, la presentazione delle dimissioni da parte dell’organo posto al vertice del potere esecutivo comporta l’apertura di una crisi di Governo, definibile come rottura o comunque interruzione della regolarità istituzionale, per un periodo più o meno lungo. Tale fenomeno può derivare da molteplici circostanze, solo in parte riconducibili al dettato costituzionale, che lo rendono non unitario e mutevole nel tempo. Sulla base di queste premesse, lo scritto mira a ricostruire le varie tipologie di crisi governativa (parlamentare, extraparlamentare e necessaria) nonché il ruolo del Capo dello Stato nella loro gestione, richiedente l’uso di poteri decisionali destinati ad incidere sulle stesse dinamiche della forma di governo. Si dimostrerà, altresì, come tale gestione delle crisi risenta delle condizioni in cui versa il sistema partitico, in piena conformità alla celebre metafora della “fisarmonica presidenziale”.In the form of parliamentary government, the presentation of resignation by the body at the top of the executive power involves the opening of a government crisis, which can be defined as a break or in any case an interruption of institutional regularity, for a more or less long period. This phenomenon can derive from multiple circumstances, only partly attributable to the constitutional provision, which make it non-unitary and changeable over time. On the basis of these premises, the paper aims to reconstruct the various types of government crisis (parliamentary, extra-parliamentary and necessary) as well as the role of the Head of State in their management, requiring the use of decision-making powers intended to affect the same dynamics of the form of government. It will also be demonstrated how this crisis management is affected by the conditions in which the party system finds itself, in full compliance with the famous metaphor of the "presidential accordion"

    Democrazia e potere economico

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    È un anno di ricorrenze quello che stiamo vivendo, ma non per questo di celebrazioni. Cadono settant’anni dall’approvazione della Costituzione repubblicana, sessanta dalla sottoscrizione del Trattato di Roma, venticinque da quella del Trattato di Maastricht, dieci da quella del Trattato di Lisbona. Il plesso dei rapporti tra la democrazia e il potere economico, oggetto di questa relazione, investe ciascuno di quei documenti giuridici, considerati ora in sé, nella loro attitudine a dar corpo ad un ordinamento giuridico determinato, ed ora per sé, nelle vicendevoli e mutevoli interrelazioni che ne sono scaturite nel corso di oltre mezzo secolo di esperienza giuridica. La presente trattazione si svolgerà in tre tempi. In una prima parte, il tema della democrazia e del potere economico sarà centrato sull’ordinamento statale. All’interno di questo, si apprenderà lo sforzo incessante prodotto dalla Carta repubblicana per avvicinare i due termini della relazione, attraverso un processo dinamico di integrazione tra sfere precedentemente caratterizzate come separate e distinte (infra, § 1.1). Seguendo questa prospettiva, si affronterà un aspetto specifico della combinazione tra la democrazia e il potere economico, dato dalla previsione della collaborazione dei lavoratori alla gestione delle aziende, di cui all’art. 46 Cost. Si tratta, com’è noto, di una disposizione costituzionale non solo rimasta inattuata, ma anche ritenuta ambigua, poco perspicua e perciò in qualche modo destinata all’oblio. Non è questa l’opinione che si intende qui formulare. Laddove, infatti, si riuscisse a dimostrare la perdurante, se non accresciuta, attualità di tale enunciato così poco considerato in sede legislativa, giurisprudenziale e dottrinale, ciò potrebbe valere a gettare una luce nuova, ed anche in qualche modo complessiva, sulle potenzialità rimaste ancora inesplorate della Carta repubblicana proprio nei confronti del tema qui trattato (infra, § 1.2). Sulla scorta di tali considerazioni, si passerà quindi a tratteggiare il ruolo connettivo della dimensione sociale nell’orizzonte costituzionale italiano, posta al crocevia tra la sfera politica e la sfera economica e alle quali la prima risulta in più di un luogo espressamente affiancata. Questa dimensione, declinata nel diritto costituzionale in una chiave ora soggettiva (sotto forma di diritti sociali) ed ora oggettiva (in particolare, nella disciplina costituzionale dell’economia), costituisce la risultante di una visione della società non assunta come un aliquid datum, ma investita da un progetto di trasformazione complessiva, in cui la democrazia e il potere economico vicendevolmente si compenetrano (infra, § 1.3). Proprio la considerazione della dimensione sociale, per come questa viene riguardata all’interno del diritto statale, consentirà in una seconda parte di volgere lo sguardo all’Unione europea, con riferimento, in primo luogo, all’attuale previsione dell’“economia sociale di mercato”, di cui all’art. 3, § 3, co. 1, TUE. Tuttavia, tanto una disamina genealogica di tale formula, quanto la sua esplicitazione all’interno dei Trattati, quanto ancora la sua recente utilizzazione giurisprudenziale farà emergere una fondamentale alterità del concetto di sociale nel diritto sovranazionale rispetto a quello stilizzato nella trama costituzionale italiana e, dunque, un altro modo di intendere i rapporti tra la democrazia e il potere economico (infra, § 2.1). Al fine di illustrare tale assunto, si tratterà più nel dettaglio una delle c.d. quattro libertà, la libertà di circolazione dei capitali, disciplinata agli artt. 63 ss. TFUE, in quanto essa, dopo un impetuoso sviluppo normativo occorso a partire dagli anni ottanta del Novecento, si caratterizza per la sua evidente incidenza sulla sfera economica e, ad un tempo, per l’insuscettibilità di qualunque sua prospettazione in chiave sociale (infra, § 2.2). Successivamente, si passerà ad affrontare quello che si ritiene essere, a pieno titolo, il principio di struttura della dimensione economica dell’Unione europea, dato dalla separazione tra la (disciplina della) politica economica e la (disciplina della) politica monetaria. Ciò porterà a verificare l’incidenza di tale divisione tra due sfere comunque ritenute “politiche” – una delle quali, la politica monetaria, è però affidata ad un’istituzione algidamente indipendente, qual è la Banca centrale europea – sul plesso formato dalla democrazia e dal potere economico nell’ordinamento sovranazionale (infra, § 2.3). La disamina così svolta dei due ordinamenti in questione consentirà, in una terza parte, di metterne a tema le interrelazioni, anche attraverso il prisma della dottrina giuspubblicistica italiana che più ne ha studiato le inflessioni rispetto all’oggetto osservato. Si procederà, pertanto, ad incrociare la disciplina costituzionale e quella sovranazionale dell’economia; e da ciò si trarrà una certa diversità di impostazione dei due ordinamenti considerati, quanto alla relazione tra la democrazia e il potere economico (infra, § 3.1). Successivamente, si coglieranno due momenti di snodo per la riflessione giuspubblicistica italiana, a vent’anni di distanza l’uno dall’altro, da individuarsi negli anni 1991-1992 e 2011-2012. Il biennio 1991-1992 non solo centra l’istituzione dell’unione monetaria, destinata a sedimentare nel coevo Trattato di Maastricht, ma accoglie altresì un’ampia e ricca discussione tra i costituzionalisti in merito all’attualità della disciplina costituzionale dell’economia, in considerazione delle incipienti trasformazioni interordinamentali. La prospettiva assunta a quel tempo sembra intendere, con poche voci dissonanti, il processo di integrazione europea come la soluzione alla profonda crisi istituzionale, politica ed economica che colpisce l’Italia del tempo, anche a costo di mettere in ombra il dettato costituzionale in materia e, in qualche caso, di trascolorare verso suggestioni de iure condendo (infra, § 3.2). Il biennio 2011-2012 coincide anch’esso con l’acme di una nuova e profonda crisi che investe l’Italia, alla quale si risponde con un articolato strumentario di matrice internazionale, sovranazionale e costituzionale. Al contempo, tale più recente evoluzione istituzionale sembra dare l’avvio, vent’anni dopo, a un certo ripensamento critico negli studi giuspubblicistici italiani circa l’essenza e il valore dell’Unione europea nel momento attuale, vista non più solo come una soluzione, ma anche come un problema, in ragione delle sempre più profonde tensioni a cui il diritto sovranazionale sottopone lo snodo costituzionale della democrazia e del potere economico (infra, § 3.3). In conclusione, le crescenti disarmonie che scaturiscono dal piano delle relazioni interordinamentali, rispetto all’oggetto qui in esame, inducono a proporre una configurazione più stringente dei rapporti tra il diritto costituzionale e il diritto sovranazionale, attraverso la (ri)affermazione di un criterio non solo ordinante, ma anche ordinario, che assuma la Carta repubblicana quale necessario fondamento di giustificazione e, al tempo stesso, quale fisiologico e permanente elemento di valutazione delle limitazioni di sovranità consentite a beneficio di ordinamenti giuridici “altri” rispetto all’ordinamento statale
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