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Quale che sia l’opinione in merito alle teorie economiche dominanti in Europa sembra indubbio che le dinamiche del mercato unico e della governance economica abbiano inciso sul “modello sociale europeo” con ricadute sui diritti sociali nazionali. Ciò si è reso tanto più evidente in seno all’UEM dove, oltre alla moneta unica, vige un sistema rafforzato di sanzioni e di coordinamento delle politiche economiche e di bilancio. Sulla base di questo scenario, il “dialogo tra le Corti”, che pure tanto ha fatto nella tutela multilivello dei diritti, ha poco o punto funzionato, non essendo – finora – riuscito a rinvenire adeguati ed efficaci strumenti di “contenimento” delle prioritarie finalità economico-finanziarie e dell’impatto sociale delle connesse misure rigoriste. Le Corti costituzionali nazionali si sono pertanto trovate sole, con l’imbarazzo di “bilanciare” grandezze economiche e fondamentali diritti sociali. Finalmente, però, qualcosa sembra si stia muovendo in seno all’UEM dove, soprattutto a partire dal 2015, la «social fairness» dei processi di governance economica ed un «european pillar of social rights» stanno divenendo le parole d’ordine di una nuova fase di “maturazione” tecnico-politica. L’obiettivo, messo in atto da recenti iniziative della Commissione, mira ad andare oltre il MAC, per integrare la dimensione sociale nel cuore dei processi di governance economica e riequilibrarne la posizione “deteriore” rispetto ai prevalenti valori “economicisti”
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