Infarto del miocardio: un nuovo marcatore prognostico. (FAR 2011)

Abstract

Dagli anni ’70 ad oggi, la creazione e l’evoluzione di ottimali ed efficaci strategie in campo cardiovascolare (trombolisi, angioplastica), hanno drasticamente ridotto la mortalità in acuto per infarto (grafico A). Al contrario, la completa assenza di tests prognostici rapidi ed informativi, e l’insufficiente possibilità di trattare cronicamente ed in modo personalizzato i pazienti sopravvissuti, hanno contribuito ad aumentare drasticamente il numero di morti e di ricoveri di pazienti con insufficienza/scompenso cardiaco post-infartuale (grafico B e C). Riconoscere in anticipo quei pazienti a rischio di sviluppare scompenso cardiaco (frequente complicanza post-infarto) per sottoporli a tempestivo e personalizzato trattamento migliorerebbe drasticamente la prognosi. Esiste una potenziale breve finestra temporale durante la quale si può intervenire sui pazienti a rischio di anomalo rimodellamento, ma ad oggi non esistono tests di laboratorio e terapie in tal senso (Circulation, 2010; 121:2437 ). Le capacità intrinseche di wound-healing del cuore risultano al massimo nella prima-seconda settimana post-infarto in cui la lesione cardiaca è biologicamente altamente attiva (elevato turn-over cellulare, digestione/deposito di collagene e altre molecole costituenti la nuova matrice cellulare, angiogenesi). Questa frenetica attività porta necessariamente al consumo di specifiche molecole deputate alla riparazione tessutale

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Last time updated on 12/11/2016

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